La letteratura tradotta come fattore di cambiamento nel campo letterario italiano (1945-1970)

 

[Questo saggio è uscito nel volume Letteratura italiana e tedesca 1945-1970: campi, polisistemi, transfer / Deutsche und italienische Literatur 1945-1970: Felder, Polysysteme, Transfer, a cura di Irene Fantappiè e Michele Sisto, Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici, 2013. M.S.]

Michele Sisto

Analogamente alle altre discipline letterarie nazionali, l’italianistica elegge a proprio oggetto un corpus selezionato di testi prodotti sul territorio italiano da autori italiani in lingua italiana[1]. Non prende invece in considerazione un altro corpus molto vasto e influente, anch’esso il lingua italiana: la letteratura tradotta. Poiché esso non viene preso in carico da altre discipline – o lo è da prospettive oblique, come nei translation studies, nella storia dell’editoria o nella comparatistica – cade come nel vuoto: nell’attuale divisione disciplinare del lavoro la traduzione dell’Uomo senza qualità non appartiene più alla letteratura tedesca, ma nemmeno alla letteratura italiana. La nozione di ‘letteratura tradotta’, proposta da Itamar Even-Zohar nell’ambito della teoria dei polisistemi, e quella di ‘campo letterario’ elaborata da Pierre Bourdieu[2] possono aiutarci a dare cittadinanza a questo corpus di testi e a ricostruirne il ruolo effettivo nelle trasformazioni del sistema letterario che lo ha (ri)prodotto. L’importazione in un sistema letterario di un testo o di un autore “straniero” (con tutte le sue specificità di contenuto, di stile, di postura, di poetica, ecc.) può infatti contribuire in misura assai più rilevante di un testo “autoctono” alla modificazione dello ‘spazio dei possibili’ (Bourdieu).

Ma a cosa si deve l’importazione di un nuovo testo (o di un qualsiasi altro item, come direbbe Even-Zohar, allargando di molto la nozione di traduzione)? Bourdieu individua il principio del mutamento sociale nell’entrata in scena di pretendenti che hanno interesse a mettere in discussione l’ordinamento prodotto dei loro predecessori. Lo stesso vale per la letteratura: «Ce sont les nouveaux entrants qui créent le mouvement»[3].

Una delle principali valvole di comunicazione tra la Weltliteratur e ciascun sistema letterario nazionale è l’editoria. L’editore, scrive Bourdieu, «ha il potere assolutamente straordinario di garantire la pubblic-azione, vale a dire di far accedere un testo e un autore all’esistenza pubblica (Öffentlichkeit), conosciuta e riconosciuta»[4]. Nel Novecento è generalmente l’editore-industriale a fare da gate keeper, ovvero a prendere l’iniziativa di far tradurre un testo letterario (precedentemente poteva essere uno scrittore, un traduttore, o altri attori del campo). Le prese di posizione degli editori contribuiscono dunque, insieme a quelle di scrittori, critici, gruppi e altri attori e istituzioni, a far avanzare le lancette del tempo letterario, vale a dire a mutare lo stato e la problematica del campo[5].

La traduzione, dunque, non è solo un fenomeno linguistico, ma in primo luogo una sequenza di operazioni sociali: di selezione, marcatura e lettura[6]. Né la traduzione o meno di un testo risponde esclusivamente a ragioni di mercato, come la storia dell’editoria e la sociologia della letteratura italiane sembrano generalmente dare per scontato[7]. In realtà, «il lavoro di fabbricazione materiale non è nulla senza il lavoro di produzione del valore dell’oggetto fabbricato»[8], senza la sua consacrazione. L’editore «è inscindibilmente colui che sfrutta il lavoro dell’artista commercializzandone i prodotti e colui che, immettendolo nel mercato dei beni simbolici […] assicura al prodotto della fabbricazione artistica una consacrazione tanto più autorevole quanto più è consacrato egli stesso»[9]. La lotta per l’appropriazione di questo o quell’autore straniero fa parte a pieno titolo della lotta che gli editori, insieme agli altri attori (tutti italiani) del campo combattono per l’egemonia concorrendo tra loro per l’accumulazione di tre tipi di capitale: quello economico, quello politico e quello culturale (nel nostro caso: letterario)[10]. Se dunque concentriamo la nostra analisi sui nuovi entranti nel campo editoriale (o sull’ingresso di un editore in un mercato per lui nuovo, come quello delle traduzioni) in un dato momento storico abbiamo buone probabilità di cogliere l’origine di una trasformazione sia del sistema della letteratura tradotta, sia del campo letterario nel suo insieme.

Assai consapevole di avere un ruolo centrale nella modificazione del ‘repertorio’, ovvero dell’«insieme di leggi ed elementi (singoli, collegati o modelli complessivi) che governa la produzione di testi»[11], è il ‘letterato-editore’[12], la figura che fa da principale anello di congiunzione tra il polo autonomo del campo letterario, dove si generano le poetiche e i canoni, e il campo editoriale, dove viene concretamente modificato il repertorio dei testi disponibili all’interno del sistema. Sul risvolto dei volumi della collana Corona, da lui diretta tra il 1939 e il 1943, Elio Vittorini scrive: «Ad ogni epoca la cultura cambia aspetto; continuamente rigetta opere che un tempo aveva magari venerato, e accoglie creazioni nuove, riscopre testi che aveva trascurato, esige che antichi o recenti capolavori stranieri vengano ritradotti»[13]; e, riferendosi al suo lavoro editoriale, negli anni sessanta Italo Calvino afferma: «Sono uno che lavora (oltre che ai propri libri) a far sì che la cultura del suo tempo abbia un volto piuttosto che un altro»[14].

Per brevità vorrei concentrarmi su due momenti, nei quali il sistema letterario italiano conosce una rapida trasformazione in seguito all’ingresso di un nuovo editore nel campo editoriale e in particolare nel settore della letteratura tradotta: con Einaudi, intorno al 1947, e con Feltrinelli, intorno al 1959.

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[1] Ci sono naturalmente eccezioni, dalla letteratura in lingua latina o in dialetto a quella degli italiani all’estero e dei migranti in Italia, ma sono appunto eccezioni,  e restano ai margini della “grande narrazione” storico-letteraria sia sul piano simbolico (si tratta cioè di opere e autori generalmente considerati ‘minori’) che sul piano pratico (rari, perché accademicamente poco remunerativi, sono gli studi a essi dedicati). Un interessante tentativo di decostruire questa narrazione è il recente Altlante della letteratura italiana Einaudi (2010-2012), curato da Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà. Se ne veda la discussione in «Allegoria», 65-66 (2012), pp. 279-311, in particolare il contributo di Anna Boschetti.

[2] I riferimenti d’obbligo sono a Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario [1992], traduzione di Emanuele Bottato e Anna Boschetti, Milano, Il Saggiatore, 2005 e a Itamar Even-Zohar, Polysystem Studies, in «Poetics Today», 11/1, 1990 (sul concetto di ‘translated literature’ si riflette in particolare alle pp. 45-55).

[3] Pierre Bourdieu, Une révolution conservatrice dans l’édition, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 126-127 (1999), p. 19. Sulle basi gettate da Bourdieu si sta sviluppando, soprattutto in Francia, un’innovativa ‘sociologia della traduzione’: si vedano in particolare i lavori di Gisèle Sapiro, L’importation de la littérature hébraïque en France: entre communautarisme et universalisme, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 144 (2002), pp. 80-98, Translation and the field of publishing. A commentary on Pierre Bourdieu’s ‘A conservative revolution in publishing’ from a translation perspective, in «Translation Studies», 2008, 1/2, pp. 154-167, e i due volumi da lei curati: Translatio. Le marché de la traduction en France à l’heure de la mondialisation. Paris, CNRS Editions, 2008 e Les contradictions de la globalisation éditoriale, Paris, Nouveau Monde, 2009. Si vedano inoltre i due numeri tematici degli «Actes de la recherche en sciences sociales» curati dalla stessa Sapiro e da Johann Heilbron nel 2002, Traduction: les échanges littéraires internationaux (144) e La circulation internationale des idées (145), il saggio di Joseph Jurt, Traduction et transfert culturel, in De la traduction et des transferts culturels, a cura di Christine Lombez e Rotraud von Kulessa, Paris, L’Harmattan, 2007, pp. 93-111, e infine il volume Constructing a Sociology of Translation, a cura di Alexandra Fukari e Michaela Wolf, Amsterdam/Philadelphia, Benjamin’s, 2007.

[4] P. Bourdieu, Une révolution, cit., p. 3 (trad. mia).

[5] Sul concetto di ‘problematica’ e sull’avanzamento del tempo letterario si vedano P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., pp. 307-319 e Pascale Casanova, Le méridien de Greenwich: Réflexions sur le temps de la littérature, in Qu’est-ce que le contemporain?, a cura di Lionel Ruffel, Paris, Defaut, 2010, p. 113-145.

[6] Si veda il fondamentale articolo di Bourdieu, Les conditions sociales de la circulation internationale des idées, in «Actes de la recherche en sciences sociales» 145 (2002), pp. 3-8.

[7] Penso in particolare ai pur utilissimi lavori di Gian Carlo Ferretti e Vittorio Spinazzola. In Francia, per contro, anche nella storia dell’editoria si è cominciato a tener conto dell’aspetto simbolico del problema, studiando le forme di accumulazione e riproduzione del capitale culturale: si veda l’Histoire de l’édition française curata da Roger Chartier e Henri-Jean Martin, Paris, Fayard, 1989-90.

[8] P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 242.

[9] P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 237. La pubblicazione di un testo tradotto partecipa alla riproduzione dell’illusio, l’«adesione collettiva al gioco che è contemporaneamente causa ed effetto dell’esistenza del gioco»: «l’artista che fa l’opera è lui stesso fatto, in seno al campo di produzione da tutti coloro che contribuiscono a “scoprirlo” e a consacrarlo in quanto artista “noto” e riconosciuto»..

[10] Si vedano Pascale Casanova, Consécration et accumulation de capital littéraire. La traduction comme échange inégal e Hervé Serry, Constituer un catalogue littéraire, entrambi in «Actes de la recherche en sciences sociales», 144 (2002), pp. 7-20 e 70-79.

[11] I. Even-Zohar, Polysystem Studies, op. cit., p. 17: «Di norma il centro del polisistema coincide con il più prestigioso repertorio canonizzato».

[12] Cfr. Alberto Cadioli, Letterati editori, Milano, Il Saggiatore, 1995, che si occupa in particolare di Papini, Prezzolini, Debenedetti e Calvino.

[13] Citato in Gian Carlo Ferretti, L’editore Vittorini, Torino, Einaudi, 1992, p. 46.

[14] Lettera a Antonella Santacroce del 22 aprile 1964, in Italo Calvino, I libri degli altri, a cura di Giovanni Tesio, Torino, Einaudi, 1991, pp. 465-66.

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