Lavinia Mazzucchetti. Impegno civile e mediazione culturale nell’Europa del Novecento

Fabrizio Cambi

Passando di recente in Piazza Strozzi a Firenze davanti a una storica bancarella di libri di antiquariato mi è caduto l’occhio su un volume ingiallito, avvolto dal venditore in un cellophane evidentemente per preservarlo dall’incuria del tempo nell’attesa di un possibile acquirente bibliofilo. Si trattava della Vita di Goethe seguita nell’epistolario di Lavinia Mazzucchetti, edito da Sperling & Kupfer nel 1932, un libro che Thomas Mann accolse con grande favore, considerandolo «la biografia più intima, più viva e più personale che sia apparsa in occasione del centenario goethiano» (lettera del 2 aprile 1932) e che Ernesto Rossi, cui l’autrice era legata dalla comune lotta antifascista, poté leggere nel carcere di Piacenza. Mi mancava questa edizione, corredata di 24 tavole, alcune rare, per averla sempre consultata in prestito nell’Istituto di Letteratura tedesca dell’Università di Pisa, fondato pochi anni dopo, nel 1936, da Giovanni Vittorio Amoretti. Adesso ce l’ho davanti, insieme alla raccolta di saggi di Mazzucchetti Novecento in Germania (Mondadori 1959), con accanto il volume Lavinia Mazzucchetti. Impegno civile e mediazione culturale nell’Europa del Novecento, oggetto di questa recensione nella speranza di rafforzarne la diffusione e contribuire alla discussione sul transfer culturale fra Italia e Germania, cui Mazzucchetti, oggi nota spesso solo come traduttrice e consulente editoriale, diede in particolare nella prima metà del Novecento un apporto e un impulso fondamentali.

Dobbiamo a Michele Sisto – per anni infaticabile coordinatore della ricerca su più vettori LT.it – Letteratura tedesca in Italia (Storia e mappe digitali della letteratura tedesca in Italia nel Novecento: campo letterario, editoria, interferenza) – e a un gruppo di altri studiosi (Anna Antonello, Massimo Bonifazio, Arturo Larcati, Mario Rubino, Luisa Finocchi) la costituzione del Laboratorio Mazzucchetti «allo scopo di incentivare le ricerche sulla figura della germanista e traduttrice milanese a partire dai fondi archivistici custoditi alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori» (p. 8). Un primo risultato è stato il libro a lei dedicato «Come il cavaliere sul lago di Costanza». Lavinia Mazzucchetti e la cultura tedesca in Italia (2015), a cura di A. Antonello, cui hanno fatto seguito il convegno Lavinia Mazzucchetti: transfer culturale e impegno civile nell’Europa del Novecento, svoltosi nel 2015 alla Fondazione Mondadori, e la pubblicazione degli atti nel volume edito dall’ Istituto Italiano di Studi Germanici.

Nei dieci saggi, suddivisi in due sezioni: L’intellettuale, la germanista, le relazioni e L’insegnamento, la traduzione, il lavoro editoriale si esaminano nella loro pluralità e trasversalità le molteplici attività di Mazzucchetti, germanista, docente di Letteratura tedesca (fino al 1929 quando non le fu rinnovato l’incarico universitario per il suo antifascismo), traduttrice, autrice di saggi critici, recensioni, voci enciclopediche, monografie storiche, pareri di lettura, direttrice di collana, infaticabile consulente editoriale, tessitrice di intensi rapporti con scrittori e intellettuali. Questa versatilità e ampiezza di aspetti hanno due costanti principi di riferimento fra loro strettamente collegati: come già aveva sottolineato Paolo Chiarini nella prefazione a Novecento in Germania (1959), Mazzucchetti lavorava in una «dimensione storica piena» e questa si combinava con la necessaria relazione di etica e politica che dovrebbe alimentare anche la sfera estetica e la letteratura mirata alla conoscenza e alla comunicazione. Questa impostazione ideologica e ideale ispira e sostanzia l’azione e l’impegno culturale e scientifico di Mazzucchetti, intellettuale indipendente, orgogliosamente laica, refrattaria a ogni ideologia totalitaria, mediatrice di una cultura che abbatta confini e prefiguri un’Europa pacificata e unita. Giorgio Mangini nel denso e documentatissimo saggio introduttivo In nome del passato. Lavinia Mazzucchetti tra Arcangelo Ghisleri, Ernesto Rossi e Ferruccio Parri ne delinea il profilo intellettuale ricostruendo l’humus culturale milanese nel primo Novecento grazie al lavoro del padre, cronista al «Secolo» e poi collaboratore della casa editrice Sonzogno. Mangini fa ben vedere come Mazzucchetti recepisca e condivida la lezione liberale del mazzinianesimo paterno con il suo «richiamo ad una religione civile, ad una certa idea democratica di ‘italianità’» (p. 30) postrisorgimentale in aperto contrasto con lo stravolgimento nazionalistico e autoritario nell’epoca fascista. La condivisione delle idee di Bianca Ceva, Ernesto Rossi, Clemente Rebora, Arcangelo Ghisleri sulla lotta antifascista intesa come secondo Risorgimento non impedisce a Mazzucchetti, con la sua «capacità di muoversi su più piani contemporaneamente» (p. 33), di tenere nel dicembre 1924 all’Università di Genova la prolusione su Mazzini e Schiller mossa da una forte tensione civile, di sottoscrivere il manifesto antifascista crociano e nello stesso tempo di entrare in rapporto con Giovanni Gentile collaborando all’Enciclopedia Italiana e alle edizioni scolastiche Sansoni con il figlio Federico.  

In un ampio quadro storico-culturale si muove anche Maria Pia Casalena che nel saggio Un’intellettuale europea nel ‘secolo breve’ traccia nitidamente il ritratto di una intellettuale indipendente, votata a «vero e proprio apostolato della mediazione culturale che si sarebbe dipanato ben oltre il Ventennio» (p. 57), «democratica, laica, fiancheggiatrice della Resistenza partigiana, dialogante con comunisti e socialisti… eppure fieramente ‘antitotalitaria’» (p. 60). Casalena sottolinea la stretta relazione fra impegno culturale ed editoriale e progetto politico che dalla «giovanile linea europeista» passa a una prefigurazione degli «Stati Uniti d’Europa» affermata per la prima volta a Ventotene.

Alla base delle molteplici attività di Mazzucchetti per sua formazione e obiettivi resta costante nel tempo l’intento di porsi come «dispensatrice della ‘buona’ Germania». Lo conferma il ricco saggio di Anna Antonello che, grazie allo spoglio integrale delle lettere di Dora Mitzky, insegnante e traduttrice austriaca di origine ebraica, inviate a Mazzucchetti fra il 1914 e il 1958, ricostruisce tramite l’amicizia e il sodalizio culturale delle due germaniste le modalità dell’interscambio e del transfer della letteratura italiana e tedesca. Di particolare interesse, anche per la loro assoluta novità, risultano le notizie sul primo contatto di Mazzucchetti con Thomas Mann, favorito, anzi sollecitato proprio da Mitzky, ma anche dal poeta Adolf von Hatzfeld, fatto risalire all’invio allo scrittore dell’articolo della germanista italiana sui fratelli Mann. Come osserva Antonello, questo consente di retrodatare alla primavera 1920 la prima lettera di Mann a Mazzucchetti correggendo l’affermazione di quest’ultima nell’introduzione alla sezione Lettere a italiani nell’Epistolario 1889-1936 delle Opera omnia.

Questo fa da premessa al saggio di Elisabetta Mazzetti I carteggi di Lavinia Mazzucchetti con Thomas Mann, Hans Carossa e Gerhart Hauptmann. La soddisfazione «di servire la causa della libertà e bollare la barbarie» e la fuga dalla realtà. Alla consistente letteratura critica sul rapporto tra Mazzucchetti e Mann, sostanziato da circa 60 lettere dello scrittore e 17 della germanista dal 4 luglio 1920 al 10 agosto 1955, Mazzetti, che già vi ha contribuito nel suo libro Thomas Mann und die Italiener (Peter Lang, Frankfurt a.M. 2009), aggiunge un quadro ricostruttivo in chiave diacronica in cui le lettere riflettono le drammatiche circostanze storiche dalla prospettiva dell’esilio manniano e dell’emigrazione interna della corrispondente italiana. Come scrive Mazzetti, «lo scambio epistolare tra Lavinia Mazzucchetti e Thomas Mann rappresenta un unicum nei rapporti dello scrittore con gli italiani non soltanto per l’estensione temporale, l’intensità, la simpatia e l’attualità degli argomenti trattati, ma anche perché ha costituito un contatto più che autentico dello scrittore con l’Italia» (p. 101). Un discorso diverso riguarda il carteggio con Hans Carossa, di cui sono attestate 29 lettere contro una sola di Mazzucchetti, che nei confronti dello scrittore tedesco, molto apprezzato negli anni della Repubblica di Weimar e da lei introdotto in Italia con la traduzione di due suoi romanzi, dimostra il proprio profondo rigore etico e civile maturando nei suoi confronti una irrevocabile rottura nel 1935 per l’ambigua adesione al Nazionalsocialismo.

Arturo Larcati nel saggio «Resistenza senza fucile». Lavinia Mazzucchetti e «Die andere Achse» esamina con un ricco inquadramento critico Die andere Achse, una raccolta dei contributi di un simposio su Deutsch-italienische Kulturbeziehungen im Widerstand gegen den Faschismus trasmesso dal Süddeutschrundfunk di Stoccarda il 12 dicembre 1962 e pubblicato nel 1964 a cura di Alfred Andersch e Lavinia Mazzucchetti. Die andere Achse che, come scrive Larcati, «è un invito a fare un viaggio, anche avventuroso, per scoprire le diramazioni di un movimento per certi versi ‘eversivo’ che attraverso un lavoro in buona parte clandestino ha cercato di sormontare o piuttosto di aggirare l’Asse Roma-Berlino» (p. 121), è un libro di grande rilievo di cui sarebbe bene suggerire una (ri)lettura non soltanto perché vi è tracciata una sorta di bilancio dell’attività di Mazzucchetti e del suo sodalizio professionale e di amicizia con Andersch. Nei saggi di traduttori, germanisti, filosofi, storici dell’arte, musicologi (fra i quali Emilio Castellani, Remo Cantoni, Benedetto Croce, Giulio Carlo Argan, Luigi Rognoni, Ferdinando Ballo) si ricostruisce infatti, con richiami a numerosi scrittori, in primo luogo a Stefan Zweig, il fitto tessuto di rapporti culturali fra Italia e Germania nella prima metà del Novecento, che Andersch, nella postfazione, esalta offrendo «una testimonianza cruciale della sua identificazione con gli ideali democratici resistenziali sostenuti dagli artisti, scrittori e gli intellettuali di sinistra del nostro paese nonché un contributo tutto tedesco al mito della Resistenza» (p. 133).

Nella seconda sezione del libro si affrontano temi e aspetti più inerenti all’attività di Mazzucchetti autrice di grammatiche di lingua tedesca, traduttrice e consulente editoriale. Francesca Boarini nel contributo Lavinia Mazzucchetti e la manualistica per l’insegnamento della lingua tedesca esamina i testi scolastici pubblicati dall’editore Trevisini fra il 1916 e il 1933 analizzando l’impostazione metodologica nel quadro della manualistica per l’insegnamento delle lingue straniere, «un genere ancora in via di definizione» nei primi decenni del secolo scorso. Boarini rileva come la novità metodologica dell’autrice, alimentata anche qui da un piglio combattivo e polemico che la fa andare controcorrente, più che dall’originalità è data dalla proposta di un manuale di grammatica basato su presupposti di concretezza e «inteso come un compendio di argomenti, elementi, regole e testi raccolti e riadattati che possano finalmente far fronte alle reali esigenze di docenti e discenti alle prese con la lingua tedesca nei loro primi anni di studio» (p. 152).

Com’è noto Mazzucchetti è stata una valente e infaticabile traduttrice in stretto e coinvolgente rapporto con l’autore, ma non ha lasciato lavori teorici organici sulla traduzione. Merito di Paola Maria Filippi, nel saggio Lavinia Mazzucchetti. La ‘teoria implicita’ nelle sue traduzioni, è quello di estrapolare dall’opera di mediazione interlinguistica dettata dall’«urgenza di ‘comunicare in testo’» una teoria ricavabile dall’habitus comunicativo della traduttrice. Per Filippi il modus operandi traduttivo si basa preliminarmente sullo studio dell’autore di cui si traduce l’opera e quindi su una visione globale entro la quale collocare il testo da traghettare nella lingua d’arrivo. «Nella concretezza delle pagine saggistiche viene sottolineato che lo studio ha sempre da precedere la traduzione» (p. 174). Si potrebbe dire che la traduzione va a iscriversi in un orizzonte germanistico unito a un’attenzione per le esigenze del fruitore. Uno degli esempi più significativi esaminati da Filippi è dato da Schiller, uno fra gli autori più studiati da Mazzucchetti – si pensi al noto saggio Schiller in Italia del 1913 – ma anche da lei fra i meno tradotti. In realtà le traduzioni inedite del Tell e della Verschwörung des Fiesko, qui contestualizzate in sei appendici di appunti commentati da Filippi, confermano lo stretto connubio di «riflessione critico-storiografica» e impegno traduttivo.

In sintonia con Filippi si muove Natascia Barrale che nel saggio «Tradurre è una cosa seria e necessaria». Lo studio sull’arte del tradurre di Lavinia Mazzucchetti esamina e commenta un fascicolo di appunti manoscritti e dattiloscritti in preparazione di una probabile conferenza sulla traduzione. La loro datazione, non antecedente al 1961, fa di questa documentazione una testimonianza a bilancio dell’intensa attività di traduttrice alle spalle. Nel consueto approccio pragmatico, refrattario alla letteratura teorica sulla traduzione e in generale alla nascente traduttologia, colpisce il reticolo citazionistico di supporto, da Wilhelm von Humboldt a Schopenhauer, Nietzsche e Croce, ma soprattutto Goethe, per tratteggiare a tinte forti il profilo del traduttore «vicino a uno scrittore-artigiano – più – che a uno scrittore-poeta». Grazie alla riesumazione di questi appunti possiamo raccogliere regole e suggerimenti preziosi per una buona traduzione nell’ottemperanza al «dovere culturale di comunicare». L’esplicitazione del suo metodo in un elenco di affermazioni assertive per il buon traduttore (ad esempio: «tradurre soltanto dalla lingua che davvero si possiede, si parla, si sogna, si gusta, si giudica», p. 194) permette di rivisitare il vastissimo complesso delle traduzioni di Mazzucchetti trovando conferme o magari smentite.

Negli ultimi due saggi si discute la lunga e spesso problematica attività di Mazzucchetti di consulente editoriale nella casa editrice Mondadori. Nel primo, Lavinia Mazzucchetti: le schede di lettura come autoritratto, Mariarosa Bricchi ne ripercorre la collaborazione, fin dal primo incontro con Arnoldo Mondadori nell’ottobre 1926, fatta di consulenze, lettere editoriali, pareri di lettura, traduzioni, curatele, mossa dall’intento costante di scoprire scrittori validi da proporre nelle collane dei «Romanzi della Palma» e della «Medusa», nate nei primi anni Trenta. Bricchi osserva giustamente che nei pareri di lettura c’è più che partecipazione, la loro formulazione nasce infatti da un coinvolgimento che rasenta l’autoritratto, l’esibizione. L’ironica e narcisistica autodefinizione ex negativo di «stupidissima Lavinia» è la risposta dell’intellettuale, che vorrebbe rivendicare una sua autonomia di giudizio e di scelte, alle dinamiche aziendali della casa editrice e la consapevolezza delle delusioni e dei frequenti «divorzi» editoriali da scrittori di successo, uno su tutti Hans Fallada. Ancora una volta le correzioni e inversioni di rotta sono determinate da «una valutazione ideologica in divenire legata al doloroso presente della storia tedesca» (p. 202).

Nell’ultimo saggio, Lavinia Mazzucchetti, Elio Vittorini e la letteratura tedesca in Mondadori (1956-1965), Michele Sisto approfondisce le dinamiche all’interno di Mondadori sui processi decisionali e i criteri di valore ai fini della selezione e della scelta di un’opera da dare alle stampe. Partendo dal presupposto che la letteratura e i loro autori si muovono nel complesso mondo fatto di interazioni e trasversalità che ne determina l’orizzonte e il terreno di azione, Sisto verifica la dialettica di «tre logiche che presiedono alla circolazione transnazionale dei testi letterari: la logica del mercato, […] la logica della politica, […] la logica specifica della letteratura» (p. 215). Entro queste categorie si ripercorrono le posizioni e le discussioni nei vari livelli ‘gerarchici’ nella casa editrice sui titoli da accogliere nel catalogo. Sisto rappresenta la collaborazione di Mazzucchetti, consulente e lettrice di formazione accademica, nel costante confronto con Elio Vittorini che col tempo diviene «il vero gate-keeper per quanto riguarda la specifica logica letteraria» (p. 226). Ne sono esempi emblematici i pareri di lettura, anche altalenanti nel tempo, su Gerd Gaiser e lo stesso Heinrich Böll, che Sisto riassembla ribadendo i percorsi tortuosi e non sempre condivisi per la selezione di un libro che fosse rispondente all’incontro delle tre logiche, seguendo l’itinerario di Mazzucchetti fino alla metà degli anni Sessanta, ancora «un’autorità, ma un’autorità misconosciuta e in declino» e comunque minata, per sua sottovalutazione, per non aver portato in Mondadori L’uomo senza qualità di Musil e Il tamburo di latta di Grass.

A lettura ultimata del libro non si può non guardare retrospettivamente a Mazzucchetti come a una figura tutta d’un pezzo, «di tradizioni radicali, sempre all’opposizione e sempre all’avanscoperta», una figura versatile e spigolosa, per molti versi purtroppo inattuale nel nostro presente che le tragedie della prima metà del Novecento avevano plasmato e orientato nella rigorosa triangolazione di impegno civile, mediazione culturale e attenzione per la qualità letteraria.

Fabrizio Cambi

da: Osservatorio critico della germanistica, in Studi Germanici 15/16 (2019)

Anna Antonello – Michele Sisto (a cura di), Lavinia Mazzucchetti. Impegno
civile e mediazione culturale nell’Europa del Novecento, Istituto Italiano di StudiGermanici, Roma 2017, pp. 272, € 28

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