Thomas Schiese, Leviathan oder Die beste der Welten
[Dal volume Naufraghi della pace, a cura di G. Crainz, R. Pupo, S. Salvatici, Roma, Donzelli 2008.]
Eva Banchelli
Un «bagaglio invisibile»: così Leonore Leonhardt definiva nel 1972 i racconti delle terre d’origine e della fuga che i profughi tedeschi, espulsi dai territori orientali del Reich, portavano con sé nel paese di accoglienza, unico patrimonio superstite della brutale espropriazione subìta. Quelle testimonianze – affidate inizialmente alla trasmissione orale o a forme scritte non elaborate – assolvevano a molteplici funzioni e urgenze. Volevano lasciare traccia autentica di una pagina di storia che già alla fine degli anni quaranta stava per essere inglobata dalla retorica delle commemorazioni ufficiali; avviavano una prima, difficile elaborazione di traumi tanto estremi da sfidare l’indicibilità; mettevano in salvo frammenti di identità violentemente negate e, nel contempo, si offrivano come veicolo di comunicazione verso un ambiente estraneo, spesso indifferente se non ostile. Continua a leggere in pdf