Rafik Schami, “Il lato oscuro dell’amore”

Anna Chiarloni

In Germania la produzione letteraria degli scrittori migranti costituisce da diversi anni un genere di notevole successo editoriale. Un tempo, ancora negli anni Settanta, si parlava di Gastarbeiterliteratur – letteratura dei lavoratori ospiti – oggi si dice Migrantenliteratur, un termine connesso col flusso particolarmente vivace verso la Germania di esiliati, profughi e rifugiati politici che hanno adottato la lingua del paese di accoglienza. Scrivono infatti tedesco non solo diversi autori appartenenti alla corposa comunità turca interna – come Emine Oezdemar e Feridan Zaimoglu, ma anche immigrati italiani come Gino Chiellino e Franco Biondi. Mentre tra i più giovani è il popolare Wladimir Kaminer, ebreo russo trasferitosi a Berlino dopo la caduta del muro e, di prossima pubblicazione anche in Italia, l’ungherese Terezia Mora. In genere si tratta di scrittori che pur non rinunciando alle loro radici originarie s’immettono sulla scena intellettuale tematizzando la loro nuova esistenza, asprezze e difficoltà comprese, con una produzione spesso sostenuta dal Deutscher Fonds e ampiamente promossa dalla critica letteraria, un dato che dimostra come la Germania sia un paese particolarmente attivo nel sostegno della dimensione interculturale.
Anche il siriano Rafik Schami, nato a Damasco nel 1946 è costretto all’esilio dal 1971, ha esordito nell’area della Gastarbeiterliteratur: laureato in chimica a Heidelberg, Schami è rapidamente passato dalla provetta alla penna, fondando con altri immigrati il gruppo letterario “Südwind”, impegnato nell’integrazione intellettuale delle minoranze. Di scrittura facile e generosa, i suoi testi, oggi oltre la ventina, sono stati insigniti di svariati premi e tradotti in diverse lingue straniere. In Italia Schami era noto come autore di libri per ragazzi. Ora, con un notevole coraggio, Garzanti pubblica invece il suo ultimo poderoso romanzo: circa 850 pagine suddivise in 304 “tessere” che propongono Schami come multiforme affabulatore del mondo siriano.

Vero è che la molla originaria del testo, dichiarata dall’autore nell’ultima, interessante tessera metanarrativa, era quella di “scrivere un romanzo che parlasse di tutti i tipi di amore proibito in Arabia”: dunque una merce che ha mercato, soprattutto in occidente, e qui di scene estreme ce ne sono – a cominciare dal giovane Elias Mushtak che, eccitato dall’estro di un’asinella, le piomba addosso penetrandola. Ma strada facendo le tessere si sono moltiplicate conferendo al progetto un taglio storico- sociale, mosso dall’altro amore proibito per l’esiliato Schami: la sua terra, luogo del ricordo e della nostalgia. Resta tuttavia di mole alluvionale questo mosaico che l’autore disperde nei mille rivoli narrativi di una faida tra famiglie nemiche – una cristiana, l’altra ortodossa – nella Damasco del Novecento.

Innegabile è d’altra parte la perizia dell’autore nell’ incorporare attraverso le continue scorribande di senso e di mente dei suoi personaggi la travagliata storia siriana lungo tre generazioni. Una storia che si accende a lampi alterni di amore e ripulsa anche nei confronti della cultura europea: raffinata ma infida, liberale ma proterva nell’asserire i suoi interessi petroliferi in una Siria arretrata e corrotta, stretta nelle contraddizioni interne. Non è tenero Schami col suo paese e certamente il romanzo non potrà uscire in arabo. Anche perché offre al lettore un’ antropologia del quotidiano che addita nel privato la polla della violenza: “La famiglia salvò gli arabi dal deserto e nel contempo li schiavizzò”, si legge alla 36. tessera. Così il vecchio Mushtak vieta ai bambini di toccare il suo pane, così tra padri e figli sibila l’odio e voci coniugali offrono il loro duetto d’oltraggio e di morte.

Soprattutto l’autore denuncia lo sprezzo dei maschi – puttanieri e gelosi, persino dei cavalli – nei confronti delle donne, vittime destinate di un vincolo familiare ferreo e immobile nel tempo. Ma nel romanzo resiste per contro ‘il lato oscuro dell’amore’, e con impronta orientale accende il testo: sono fanciulle di giunco, dal corpo caldo “come vespa in pieno sole”, donne fragranti di gelsomino che invitano al gioco erotico – all’entrata “in paradiso” – infrangendo la legge del clan. La forza dirompente del sentimento – sottolinea Shami in una recente intervista – può scardinare le barriere. Come Rana che, sfidando una faida di sangue, “ha osato fare il cactus, sopravvivere al deserto e poi fiorire. Perché in lingua araba la parola pazienza ha a che fare con coraggio e resistenza, e non con sopportazione. Sabr significa infatti sia pazienza che cactus”.

Anna Chiarloni

Rafik Schami, Il lato oscuro dell’amore, edizione originale 2004, traduzione dal tedesco di Rossella Zeni, Milano, Garzanti, 2006, 847 p.

da: “L’Indice”, Aprile 2006

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