Klaus Wagenbach, La libertà dell’editore


Michele Sisto

Klaus Wagenbach, noto al lettore italiano soprattutto per i suoi libri su Kafka, è uno dei maggiori editori tedeschi del secondo novecento: non per dimensioni, paragonabili a quelle di Sellerio, che oggi pubblica questo volumetto a metà tra autobiografia e pamphlet, ma per influenza culturale, in certa misura omologa a quella di Feltrinelli, un compagno di strada ricordato qui con commozione. Fondata a Berlino (ovest) nel 1965, la casa editrice di Wagenbach vive almeno tre grandi stagioni, che la storica Fiammetta Balestracci ha ripercorso in un ben documentato saggio apparso sullo «Jahrbuch für Internationale Germanistik» (n. 38, 2006). Ai suoi esordi l’editore, poco più che trentenne, si interessa soprattutto alla giovane letteratura delle due Germanie, trovando i suoi autori di punta nei poeti Erich Fried e Wolf Biermann, ma anche all’avanguardia internazionale, incluso Giorgio Manganelli, conosciuto agli incontri del Gruppo 63. Tra il ’68 e il ’78 prende parte attiva ai movimenti politici, inaugurando una gestione collettiva dell’azienda e dando alle stampe la rivista «Kursbuch» di Enzensberger, i «libri rossi» degli studenti socialisti e scritti di Che Guevara, Rudi Dutschke, Edoarda Masi e Ulrike Meinhof, che gli causano interminabili procedimenti giudiziari. Dal ’78, infine, con il grande successo degli Scritti corsari di Pasolini, che diventano un testo di riferimento del neonato partito dei Verdi, Wagenbach è tra gli artefici del boom della cultura italiana in Germania, e da allora ne diviene uno dei principali mediatori: traduce Gadda, Malerba, Celati, Bufalino, Benni, Cavazzoni e più di recente Scarpa, Nori, Celestini e Murgia, ma pubblica anche una serie di ammiccanti guide letterarie e “introduzioni” agli usi e costumi degli italiani, che ne fanno uno dei principali esponenti della corrente politico-culturale radical-chic detta Toskana-Fraktion. Nel 2008 la casa editrice dei longseller festeggia il suo primo bestseller: in piena crisi economica La sovrana lettrice di Alan Bennett, una storia di libri e di lettura (uscita in Italia da Adelphi), vende 230.000 copie in sei mesi.

Mescolando scritti editi e inediti, La libertà dell’editore, qui presentato in edizione ridotta e in una traduzione non sempre limpida, non si limita a fissare alcuni momenti di una vita trascorsa fra i libri – a volte in pagine di scabra efficacia, come quella sul ritorno in una Berlino rasa al suolo dai bombardamenti – ma, com’è nello stile dell’autore, intende essere un libro utile, trasmettere cioè conoscenze che si possano tradurre in pratica. Il baricentro del volume va cercato dunque nella sezione centrale, dedicata all’editoria, e in particolare negli scritti Il lettore selvaggio e Il sasso di Michelangelo. Il primo fa un ritratto del lettore di domani che si fa beffe delle stereotipate proiezioni degli esperti di marketing, e proprio per questo è di grande interesse: sarà un lettore, scrive Wagenbach, «abbandonato a se stesso», che «non legge più seguendo l’idea di cultura di una classe sociale e neanche si fa più consigliare dal prete, dall’insegnante o dal proprio genitore (ammesso che questi abbiano ancora qualcosa da dirgli)»; né prenderà la via della contestazione, perché «non è facile opporsi al nulla». Crescerà in un vuoto culturale, allo stato brado, selvatico. Ma potrà ugualmente diventare un lettore, e un cittadino attivo, attingendo le proprie energie – dialetticamente! – proprio dove meno ci si può aspettare: «dalle forze che gli sono ostili». Un’intuizione, questa, su cui non solo gli editori dovrebbero meditare.

Nel secondo scritto, non a caso il più lungo del volume, Wagenbach consegna ai giovani editori una sorta di vademecum per tempi difficili. Per delineare l’orizzonte ricorda, citando Editoria senza editori di André Schiffrin, il destino della casa editrice d’avanguardia americana Random House, che, acquistata dal gruppo tedesco Bertelsmann, riorganizzata in senso aziendalistico (leggi: assurdamente gerarchico e burocratico) e spremuta per ricavarne profitti del 15% (contro il 3-4% fisiologico dell’editoria di cultura), ha visto crollare in pochi anni il prestigio accumulato in decenni di faticoso lavoro culturale. Lo stesso accade in Italia, dove diversi marchi storici sono stati travolti dal processo di concentrazione: la stessa Einaudi da tempo ha perso la propria indipendenza e recentemente ha dovuto chiudere i battenti Libri Scheiwiller, rilevata dal «Sole24Ore» (promotore del “Manifesto per la cultura”!) appena qualche anno fa. Contro questi giganteschi e distruttivi Golia, Wagenbach evoca il David di Michelangelo, che nella sua apparentemente inerme nudità nasconde nella mano un sasso, pronto a colpire. Lo fa dal punto di vista militante di chi ha inaugurato la sua prima collana con l’autobiografia di Kurt Wolff, l’editore di Kafka, e dunque sa bene che «le sperimentazioni letterarie, così come l’innovazione scientifica o l’avanguardia politica, non vengono presentate in televisione, non compaiono con una tiratura di centomila esemplari, spesso non vengono nemmeno recensite»; ma sa altrettanto bene, al di là della retorica della purezza di cui i piccoli editori di cultura non possono fare a meno, che la libertà di un editore è legata ai capitali di cui dispone, alle dimensioni complessive del mercato librario in cui opera, alle regole del gioco economico e politico del suo tempo, e dunque alla capacità di venire a compromessi, ma solo nella misura indispensabile a sopravvivere, e mai al prezzo di perdere la propria identità.

Quali sono, dunque, le strategie di sopravvivenza che suggerisce alla piccola editoria indipendente? 1) non aggregarsi a gruppi editoriali, ma conservare la propria indipendenza, innanzitutto sul piano societario; 2) investire sulla backlist, ovvero sui titoli longevi che non si esauriscono nel giro di una stagione, perché il catalogo non è solo la spina dorsale di una casa editrice, ma anche il suo vero capitale; 3) perseverare nelle proprie persuasioni, anche se passano per follie, perché «non ha senso non servirsi della propria indipendenza»; 4) mantenere viva e costante la comunicazione con i redattori, i consulenti, i grafici, gli autori, i librai; 5) non curarsi troppo dell’estetica alla moda, ma fare libri fisicamente ben riconoscibili, che i lettori fidelizzati possano «trovare alla svelta»; 6) mantenere il proprio territorio (che per Wagenbach è la letteratura italiana), ma anche integrarlo coltivando il contesto (p.es. con saggi sulla storia italiana, libri di cucina, guide); 7) mantenere alti i prezzi dei libri che si vendono bene (non disdegnando di «inventarsi» titoli di successo né di ripubblicare vecchi titoli in una nuova veste, poiché «tutto è nuovo per i lettori giovani») e finanziare coi profitti extra i (decisivi) progetti in perdita; 8) non correre dietro al frenetico mercato delle opzioni, ma prendersi il tempo per leggere i libri che non hanno «prospettive di tiratura superiori ai 500 esemplari»; 9) coltivare la parsimonia e la precisione, come un grande editore non può permettersi di fare; 10) perseguire una crescita moderata, commisurata alle proprie forze, evitando il più possibile i «casi editoriali», che attirano l’attenzione su un solo libro, oscurando gli altri.

È possibile che queste indicazioni non possano essere raccolte che in parte dai piccoli editori italiani, che com’è noto operano in un mercato molto più ristretto e segmentato di quello tedesco. Non importa. Quel che conta è la direzione indicata, la capacità di disegnare un orizzonte futuro che per una volta non è appaltato alla tecnologia dematerializzata degli ebook ma torna a farsi a misura d’uomo, e della sua esigenza di lentezza e di durata. «In considerazione dei frenetici mutamenti che contrassegnano l’epoca», scrive Wagenbach, «Davide deve star lì a ripetersi – a mo’ di conforto – che insieme alla velocità aumenterà anche il numero di persone che tirano giù il freno di emergenza per dedicarsi alle cose lente e belle, e quindi ai libri. Deve essere consapevole del fatto che oltre a lui ci sono anche altri idioti».

Michele Sisto

Klaus Wagenbach, La libertà dell’editore. Memorie, discorsi, stoccate, trad. dal tedesco di Natascia Barrale, Palermo, Sellerio, 2013.

da: L’Indice dei libri del mese, novembre 2013.

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