Joseph Roth, A passeggio per Berlino

E. L. Kirchner, "Nollendorfplatz"Valentina Savietto

Il volume A passeggio per Berlino (trad. di Vittoria Schweizer, Firenze, Passigli Editori, 2012, 126 p.) raccoglie una selezione di scritti di Joseph Roth (1894-1939), di piglio giornalistico-documentario. Il punto focale è legato all’esperienza berlinese maturata negli anni ’20 e si snoda su diciannove brani risalenti alla collaborazione con il feuilleton Berliner Börsen-Courier, la Frankfurter Zeitung, la Neue Berliner Zeitung, sino al periodo 1929-1930, che lo vide impegnato con il quotidiano Münchner Neueste Nachrichten e con Das Tagebuch. Gli articoli costituiscono i “negativi” di un album composito, bonario e al contempo incredulo, nel quale Roth tenta di catturare l’impressione provocata dai mutamenti nell’assetto della città. Vi si costruisce inoltre una mappa della Berlino dei cabaret e della malavita, i cui quartieri Wedding, Schöneberg o lo Scheunenviertel pullulavano di esuli ebrei provenienti da est, ma anche di mendicanti, prostitute e ladruncoli della più variegata provenienza geografica. Una subcultura decisamente multiculti.

Per tutto il testo, in stile prettamente paratattico, non si perde la sensazione di essere affianco all’autore nelle sue passeggiate o in ambigui ritrovi notturni. Benché la metropoli non sia mai riuscita a conquistarsi la simpatia di Roth, egli manifesta per i parchi, per la nuova architettura e soprattutto per i personaggi che vivono Berlino un’attenzione partecipe. I tipi umani colpiscono l’osservatore grazie alla loro dimensione mitica: così, Riccardo il rosso è il gobbo «defloratore» delle notizie fresche di stampa, non solo colui che vende i giornali quindi, ma un autentico «anfitrione della moderna letteratura» e al contempo un «mecenate». Roth riporta con tono asciutto storie scaturite da una miseria personale ed economica; egli sembra tuttavia a suo agio nel tour di questi dubbi Cafés, o ancora nei rifugi di Schöneberg, connotati come «un atlante etnografico aperto» (Il rifugio dei senza patria, p. 43). La collezione si completa con osservazioni, piuttosto laconiche, circa il rapporto dell’uomo moderno con la natura («L’europeo occidentale va nella natura come se andasse a un ballo in maschera», A passeggio, p. 9), l’industria del divertimento («L’unico scopo di tutto questo grottesco macchinario è quello di mostrare alle persone che confidano in esso la loro tragica inadeguatezza.», Fiera Primaverile, p. 71), la nascita dei grattacieli o la riapertura notturna dei bagni turchi, «cesura tra un baccanale notturno di poco conto e l’attività lavorativa quotidiana.» (Ai bagni turchi di notte, p. 87). Infine, il giornalista riporta alcune considerazioni sul ghetto e la sua atmosfera orientale, triste e singolare: gli ebrei appaiono a Roth in tutta la loro complessità, che viene caricaturata in un affresco ironico e intenso: «Ci vuole, credo, un vero amore divino per fare proprio di questo il popolo eletto. Ce n’erano tanti altri simpatici, condiscendenti e ben educati» (Il muro del pianto, p. 82).

Questa selezione di articoli offre, nel complesso, una ricostruzione divertente, gustosa e fresca di uno strato metropolitano “basso”, eppure paradigmatico e zeitgemäß; essa è arricchita dalla riflessività disincantata e pungente di un autore che, giunto a Berlino nella piena miseria del primo dopoguerra, tenta di ricostruire da reporter i cocci di un paese sbandato e di alcuni paria, la cui peculiarità, come per il popolo ebraico, è di «soffrire di essere straniero tra stranieri in quanto ‘diverso’.» (Il muro del pianto, pp. 83-84).

Valentina Savietto

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