Dante dopo Auschwitz: l’Inferno di Peter Weiss

Peter Weiss, Le macchine assalgono l’umanità, 1934 (via Elephant & Castle)

[Ripropongo un mio saggio sul Progetto Divina Commedia di Weiss uscito sul fascicolo XIV, 3 (2011) di Critica del testo, dedicato a Dante oggi, pp. 293-315. C.M.]

Camilla Miglio

(…) e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive.
(Pg 32, 104-105)

1. Il Dante nascosto
È recente l’acquisizione alla letteratura tedesca del “dopo Auschwitz” di un vasto e multiforme corpus di testi raccolti sotto il titolo di Progetto Divina Commedia da uno degli artisti più controversi e interessanti della Germania postbellica, lo scrittore e drammaturgo, pittore, cineasta, regista e polemista Peter Weiss (1916-1982). Di origine ebraico-tedesca, figlio di un’attrice di teatro svizzera e di un produttore tessile di nazionalità ungherese che dopo il crollo dell’Impero austroungarico assume la cittadinanza cecoslovacca, Weiss vive un’infanzia caratterizzata da grande mobilità: tra Polonia, Cecoslovacchia, e infine Germania (Brema, Berlino). Diciannovenne, nel 1935 abbandona con la famiglia una Berlino pressata dalle leggi razziali. Dopo tappe a Londra e a Praga si stabilisce in Svezia, prendendone la cittadinanza e rimanendovi tutta la vita, salvo sporadici ma importanti soggiorni in terra tedesca. La sua prima vocazione è pittorica. Weiss soprattutto dipinge, ma scrive anche, fino alla fine degli anni quaranta solo in svedese, abbandonando la propria madrelingua. I successi letterari gli arrivano però nel momento in
cui torna alla lingua madre, soprattutto nei romanzi autobiografici Congedo dai Genitori e Punto di Fuga, elaborati negli anni cinquanta e pubblicati subito dopo, nei drammi documentari degli anni sessanta, Marat/Sade, L’istruttoria, e nel grande romanzo saggio degli anni settanta, L’estetica della resistenzaContinua a leggere in pdf

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