Il trapassatoio

[Bentornato, Paolo. M.S.]

Paolo Nori

L’altra settimana ero in ospedale, per un trauma cranico, stavo già ormai quasi bene, eran quasi le nove di sera, dormivo, e un infermiere mi ha svegliato per darmi la pillola di sonnifero che mi davano tutte le sere verso le 21.

Ecco: esser svegliato per prendere una pillola per il sonnifero è una di quelle cose che uno normale pensa non gli succederanno mai, nella vita, come uno che festeggia il fatto che ha smesso di bere bevendosi una bottiglia di grappa, o uno che festeggia il primo chilo che ha perso nella dieta con un panino con la nutella, o uno che festeggia il fatto di aver smesso di fumare accendendosi un toscano, che non ne aveva mai fumati, e, non essendo capace, lo respira, anche, o come due che festeggiano il matrimonio con una richiesta di separazione, o come uno che festeggia l’acquisita democrazia andando a votare e delegando a qualcun altro di decidere per sé, non lo so perché mi vengono in mente queste cose, forse perché son stato ventidue giorni in ospedale, e in ospedale, la cosa stranissima, che diventa importante tutto quello che fai, ma anche delle cose, la cacca, la pipì, che nel mondo normale cerchi di non pensarci di non nominarle neanche ti fanno anche un po’ schifo, in ospedale sono dei reperti da analizzare con la massima attenzione e poi conservarli sottovuoto per anni e anni, come la merda d’artista di Manzoni, tutti artisti, in ospedale, in un certo senso.

A me, non so perché, ricorda Birkenau, l’ospedale, che andare a Birkenau, le cose che si dicono, le cose che si pensano, i respiri che si fanno, sono cose che rimangono, non sono cose che passano senza lasciare il segno. Se qualcuno di voi ha, per caso, in programma un viaggio a Birkenau, si prepari al fatto che, a Birkenau, gli inscatoleranno la sua merda, se così si può dire, e la stessa cosa succede in un ospedale, che è, tra le altre cose, «un trapassatoio», come scrive Thomas Bernhard, cioè «un  centro di produzione della morte che funzionava senza soste e intensamente e spietatamente, un centro continuamente rifornito di nuova materia prima la quale incessantemente veniva elaborata», e quando penso alla materia prima non penso solo a noi, pazienti, ma a qualsiasi oggetto che entri nell’universo ospedaliero, un uovo di pasqua sul davanzale verde che Pasqua è passata da quindici giorni, con dentro le sorprese più raffinate, c’è scritto, chissà chi le vedrà mai, un’orchidea, stesso davanzale, dentro un vasetto con sopra disegnato un orsetto, che se l’avessi vista fuori dall’ospedale non ci avrei mai fatto caso ma in ospedale le cose son tutte fuori dal loro imballaggio non puoi non guardarle, e chissà se qualcuno si prenderà cura di quell’orchidea. Continua a leggere su paolonori.it

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