Profilo di Christa Wolf

[Dalla rivista il Mulino, 2012, n. 5, pp. 914-920. Immagine via rosalux.de. M.S.]

Valentina Di Rosa

«La speranza è un animale feroce».
[Heinrich Böll]

«Aus allen Himmeln stürzen», cadere dalle nuvole: comincia così la Città degli angeli (2010), l’ultimo libro dato alle stampe da Christa Wolf, un anno prima di morire. Un’immagine tenuta sapientemente in bilico tra senso figurato e senso letterale, come il lettore intuisce dal principio, ma comprende appieno solo seguendo fino in fondo il filo delle 415 pagine dell’edizione originale. A partire dall’atterraggio all’aeroporto di Los Angeles fino alle sequenze finali del testo, allusivamente sospese oltre la linea d’orizzonte della Death Valley, il libro dipana un lungo racconto a sfondo autobiografico che è insieme una ricostruzione del soggiorno californiano dell’autrice e la cronaca di una sofferta vicenda interiore.

Dal punto di vista cronologico, il periodo di permanenza negli Stati Uniti rinvia all’anno 1992-93, in cui Christa Wolf è ospite della Fondazione Getty, a breve distanza dagli eventi dell’autunno 1989 che, dalla caduta del Muro di Berlino in poi, hanno impresso una vorticosa accelerazione alla storia tedesca, riproiettando la Germania al centro dei destini del mondo e ponendo la scrittrice stessa di fronte alla percezione amara di un fallimento. «Gioia? Trionfo? Sollievo? No. Qualcosa di simile allo spavento. Alla vergogna. Allo scoramento. E rassegnazione». Mentre i cittadini tedesco-orientali festeggiano la liberazione da un regime totalitario, Christa Wolf rimedita in disparte il proprio disagio, interrogando le ragioni del suo impegno di intellettuale e di artista, e avviando un tormentato processo di autocoscienza, che a tratti sembra coincidere con una vera e propria crisi d’identità. Continua a leggere in pdf

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