Diario berlinese 10: Gedenkstätten

Matteo Galli

Non giungerò ad affermare che ieri ho ignorato le celebrazioni del 50esimo anniversario della costruzione del muro. Non mi ricordo dov’ero quando alle 12:00 la città intera per un minuto si è fermata, verso le 15:30 sono passato brevemente a piedi nelle vicinanze di Checkpoint Charlie e tornando a casa, verso le 18:00, mi sono fermato per un’oretta nei pressi della “Gedenkstätte Berliner Mauer” (“Memorial del Muro di Berlino”), sulla Bernauerstraße, dove erano stati allestiti due palcoscenici in cui si alternavano testimoni, politici e anche scrittori.
Sono rimasto ad ascoltare buona parte della breve “Lesung” di Susanne Schädlich, che all’incirca un anno fa ha pubblicato un volume autobiografico “Immer wieder Dezember. Der Westen, die Stasi, der Onkel und ich” (“Dicembre per sempre. L’Ovest, la Stasi, lo zio e me”). Susanne è la figlia di Hans-Joachim Schädlich, che emigrò a Ovest nel 1977, dopo che Rowohlt aveva pubblicato “Versuchte Nähe” (“Tentativi di avvicinamento” che Cases fece prontamente tradurre per Einaudi). Il libro di Susanne racconta del trasferimento a ovest visto dalla prospettiva della ragazzina all’epoca dodicenne, dal “Märchenviertel” di Köpenick, il quartiere dove le strade si chiamano “Rotkäppchenstraße” (“Via Cappuccetto Rosso”), “Schneewittchenstraße” (“Via Biancaneve”), “Dornröschenstraße” (“Via Bella Addormentata”), da un’esistenza se non proprio da fiaba certamente protetta, nell’ovest dove si era trattato di ritrovare una nuova scuola, nuovi amici e anche una nuova gatta. Ma il libro racconta soprattutto della scoperta sconvolgente che lo zio, che la bambina tanto aveva amato, per anni (anche dopo il trasferimento a ovest) aveva spiato l’intera famiglia in qualità di collaboratore informale della STASI. Proprio con il suicidio dello zio nel 2007 il libro si apre; e si capisce che la tortuosa ricostruzione di Susanne Schädlich cercherà di fornire una spiegazione a quel dramma – una storia familiare come molte altre nei 40 anni in cui è esistita la DDR, con un epilogo certamente più drammatico. Non ho letto il libro, mi è sembrato un po’ patetico, ma non del tutto privo d’interesse.

Da Checkpoint Charlie sono passato solo per andare a riprendere la bicicletta che avevo lasciato al Martin Gropius Bau, dove in tarda mattinata avevo visto una mostra sull’opera del fotografo André Kertesz, di cui parlerò prossimamente. Tornandovi si passa attraverso l’edificio – adesso ristrutturato – che ospita la mostra “Topographie des Terrors” (“Topografia del terrore”), in quello che era stato il cuore del sistema poliziesco e repressivo del nazismo. Oltre alla mostra permanente e a una serie di mostre temporanee, vi è anche un’informativa e succinta serie di pannelli en plein air che illustrano la storia del nazismo, dagli inizi fino alla fine della guerra. Fra i vari pannelli, verso la fine, ce n’è uno che mi ha particolarmente colpito perché presenta una cartina di Berlino con le sue centinaia di “Gedenkstätten” sulle vittime del Nazionalsocialismo e della Shoah: dagli “Stolpersteine” (le “pietre d’inciampo”) fino al cosiddetto “Holocaust-Mahnmal” (la denominazione corretta è in realtà: “Memoriale per l’eccidio degli ebrei d’Europa”) fra la porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz.

E’ inutile negare che il turismo memoriale è diventato una delle principali attrazioni di Berlino. Non voglio arrivare a dire che sia un’attività in cui l’amministrazione pubblica e gli operatori del settore deliberatamente investono, ma è innegabile quanta importanza rivestano per l’identità di Berlino come meta turistica i lieux de memoire. Sono convinto che la percentuale di turisti stranieri che ieri hanno affollato la “Gedenkstätte Berliner Mauer” era nettamente maggioritaria. Di turisti italiani mi sembrava che ce ne fossero davvero tanti. Chi a Berlino ci è nato o ci abita da più tempo mostra una sovrana indifferenza quando non un leggero fastidio nei confronti di questa talora eccessiva coazione alla memorializzazione. La mia paura è che questa doverosa e capillare riconsiderazione del passato (e delle ferite che la storia ha inferto alla città) non stia andando di pari passo – anche soltanto sul piano turistico – con un’adeguata valorizzazione di ciò che la città ha da offrire in termini di prospettive future. Per uno che abita a Firenze e che da cinquant’anni convive con la musealizzazione è molto forte il timore che anche Berlino, sia pure in un senso diverso rispetto a Firenze, si stia un po’ troppo musealizzando.

Matteo Galli

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