Diario berlinese 9: Grenzkinos

Matteo Galli

Forse ricorderete la scena di “Berlin Ecke-Schönhauser” (1957), uno dei classicissimi della DEFA, con la regia di Gerhard Klein e la sceneggiatura di Wolfgang Kohlhaase in cui uno dei ragazzi protagonisti, Kohle, viene inquadrato mentre va al cinema sul Kurfürstendamm, a vedere “Rächer der Unterwelt” (che poi sarebbe lo straordinario “I gangsters” di Robert Siodmak). Forse quel film Kohle poteva andarselo a vedere solo lì, forse a Klein/Kohlhaase premeva innanzitutto mostrare lo sfarzo illusorio, le false promesse di glamour e benessere del Ku’damm in pieno boom economico, ma forse, invece, Kohle avrebbe potuto anche fare meno strada perché vicino alla Schönhauserallee, in direzione di Wedding c’erano non meno di una decina di cinema, i cosiddetti “Grenzkinos” (“cinema di confine”), piccole sale di Berlino Ovest che offrivano ai cittadini di Berlino Est film di ogni genere, per lo più B-Movies, tedeschi e americani che nelle sale della parte orientale della città non arrivavano: spettacoli soprattutto pomeridiani, pensati appositamente per cittadini orientali, a prezzi stracciati, dove si poteva ovviamente pagare in marchi orientali. Lo scopo politico-culturale era evidente: mettere i berlinesi dell’Est a confronto e in conflitto con il modello propugnato dal cinema che veniva distribuito nelle sale orientali, un modello che – per lo meno fino all’avvento della coppia Klein/Kohlhaase già fortemente influenzata dal Neorealismo italiano – aveva fatta propria l’estetica del Realismo Socialista, celebrava non senza retorica i valori dell’antifascismo, della costruzione del socialismo, di cui, per i primi anni ’50, può valere ad esempio il duplice biopic dedicato a Ernst Thälmann (Ernst Thälmann Sohn seiner Klasse del 1954 e Ernst Thälmann Führer seiner Klasse del 1955, entrambi girati da Kurt Maetzig).

E invece nei “Grenzkinos” arrivavano gli “Heimatfilme” occidentali, il cinema americano con tutta la sua declinazione in generi, dal western al noir, fino ai primi film che esaltavano l’avvento del rock (i primi film con Elvis Presley, Rock around the Clock). Si trattava di un lavoro capillare sulla mentalità soprattutto dei giovani, i quali se ne tornavano a est magari con una minore disponibilità a lasciarsi indottrinare sul piano estetico ma anche sul piano politico o comunque avendo importato modelli potenzialmente pericolosi. Non è un caso che uno dei più severi (e ottusi) critici di regime, il famigerato Karl Eduard von Schnitzler, il responsabile di “Der schwarze Kanal”, la trasmissione della televisione orientale, in cui si additavano tutte le malefatte del sistema (e della TV) occidentale, proprio il giorno della costruzione del muro, allorché i “Grenzkinos” persero d’un colpo buona parte del loro pubblico, ebbe ad affermare: “Nun ist es vorbei mit der Vergiftung unserer Jugend in den Grenzkinos” (“Ora finalmente si è posto un termine all’avvelenamento dei nostri giovani nei cinema dei frontiera”). Giova ricordare che a Est si tentò seppur in modo sporadico un’operazione uguale e contraria, creando una piccola rete di “Grenzkinos” a uso degli occidentali per far conoscere i prodotti della DEFA.  Il successo di questa iniziativa fu modesto, “hielt sich in Grenzen”, potremmo dire.

Una mostra, un breve ciclo di film e un progetto – a onor del vero un po’ ingenuo, un po’ troppo “heimatkundlich”, ancora tutto in costruzione – ricordano questo importante fenomeno di microstoria culturale nella città divisa. La mostra si inaugura oggi, il ciclo si è inaugurato ieri sera, in uno dei più famosi “Grenzkinos”, il “Lido” nella Cuvrystraße a Kreuzberg, che adesso solo sporadicamente programma film, ora è prevalentemente una discoteca peraltro molto amata. Il ciclo è iniziato con il film che venne presentato l’ultima sera, il 12 agosto 1961, prima che il muro mettesse termine se non alla programmazione, quanto meno al fine ultimo di quest’attività di neanche troppo strisciante propaganda culturale. Il film si intitolava “Der Teufel spielte Balalaika”, (“Il diavolo suonava la balalaika”), un film del regista tedesco Leopold Lahola, con un giovanissimo Götz George, in veste di protagonista, ambientato in Siberia in un campo di prigionia. Nel “Vorspann” un lacrimevole appello alla condivisione pacifica, il film insopportabilmente noioso, difficile utilizzarlo come strumento di propaganda.

Matteo Galli

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