Günther Anders, La catacomba molussica

Micaela Latini

Strana storia quella della Molussische Katakombe, il romanzo scritto da Günther Stern/Anders negli anni 1930-32, e che ha attraversato un lungo periodo di oblio. Pubblicato per la prima volta nel 1992, ben sessant’anni dopo la sua stesura, è stato recentemente edito in versione italiana dalla casa editrice Lupetti, in una traduzione di Alba Mantovani, nella collana “I rimossi”. Günther Anders è un autore da sempre rimosso, nonostante sia in crescente aumento la traduzione e la diffusione delle sue opere in Italia, e questo anche grazie alle scelte editoriali di Bollati-Boringhieri. Soprattutto il romanzo Catacomba molussica ha con la rimozione molto a che spartire. A tessere la trama di quest’opera andersiana sono un centinaio di storie tra loro intrecciate e ambientate in un paese immaginario, di nome Molussia, dominato da un sistema totalitario. L’argomento affrontato sotto traccia da Anders è la dinamica del fascismo, trattato in forma metaforica. Vi si raccontano storie di prigionieri rinchiusi in un sotterraneo, una cripta, della mai citata “Gestapo” molussiana. Alla loro memoria è affidata la trasmissione della verità. Si tratta di un sapere segreto, composto da fiabe alla Mille e una notte, da massime filosofiche, da parabole tramandate dai prigionieri della vecchia generazione (che di volta in volta assumono il nome di Olo) ai nuovi, i Yegussa che devono impararle a memoria per poi raccontarle ai nuovi arrivati e così assurgere al ruolo di Olo. Da carcerato a carcerato, da messaggero a messaggero si snoda una staffetta per la verità, attraverso la trasmissione di “corpus d’insegnamenti” necessari per la prosecuzione della battaglia per la libertà. Al centro del romanzo è una sorta di “memoria del sottosuolo”, che custodisce e preserva la verità, fino a quando, allo scoppio della rivoluzione, gli insegnamenti potranno rivedere la luce. Sono i carcerieri ad annotare questi dialoghi di vaga rimembranza platonica tra Olo e Yagoussa: «i factotum della prigione che erano costretti ad ascoltare le parole dei prigionieri giorno e notte». Anche il fittizio curatore del romanzo dichiara di scrivere in un tempo buio, di generale derisione dello spirito e dell’istupidimento generalizzato: un riferimento anche non troppo celato al nazionalsocialismo.

Come nota il curatore del romanzo, Massimo Rizzardini, «il tramandamento sotterraneo della verità, che resiste alla propaganda della menzogna, trascende l’individuo e si pone in una dimensione altra, assumendo, pagina dopo pagina, i tratti di una memoria d’oltretomba» (p. 6). Il romanzo di Anders, pronto per la stampa già all’inizio del 1933, venne inviato dall’autore, per intercessione di Brecht, all’editore Kiepenheuer. Nel frattempo però la drammatica ascesa di Hitler costrinse Anders a lasciare la Germania. Negli anni bui del nazismo, l’editore Kiepenheuer, astutamente, tenne nascosto il manoscritto sotto una carta dell’Indonesia sulla quale aveva fatto aggiungere l’isola di Molussia. Quando la Gestapo fecce irruzione nella casa editrice, requisì tutti i manoscritti, compreso quello di Anders. Ma il testo venne assolto dai censori, che leggendolo solo superficialmente e ingannati dalla carta geografica indonesiana, lo bollarono come una raccolta di “favole dei mari del sud”. Alla pubblicazione tuttavia non pervennero che due esigui frammenti del volume, intitolati Die Freiheitspost e Die Brüder. Dalla carta geografica, il romanzo finì nella carta pergamena. È così, appeso in un affumicatoio, accanto a salami e prosciutti, che venne conservato da alcuni amici di Anders, quando questi decise di abbandonare la Germania e di riparare in Francia. Fu la moglie, Hannah Arendt, che, quando decise di raggiungere il marito a Parigi, si prese la briga di portare il romanzo oltreconfine, nascondendolo tra i suoi bagagli.

Nella capitale francese Anders si dedicò con costanza e tenacia alla stesura di alcuni racconti, tra i quali spicca Learsi, una storia-odissea dell’assimilazione di chiara ascendenza kafkiana, e Der Hungermensch, sul fallimento degli intellettuali alla guida della rivoluzione capeggiata dal messicano Om. Ma ad occupare le sue energie fu anche una seconda stesura di Die Molussische Katakombe. In questi anni di esilio parigino il romanzo venne radicalmente rivisitato modificato, ampliato, anche sulla scia offerta dal confronto con Arendt, che in questo periodo era intenta al suo studio sul totalitarismo. In linea con la moglie, Anders impiega la sua energia e concentra i suoi sforzi teorici in un tentativo di spiegazione della genesi del regime e dei meccanismi che lo tengono in piedi. Di stampo didattico-politico, il romanzo di Anders risente dell’influsso delle favole di Brecht, per la tecnica del montaggio e per la critica alla ideologia. Nella versione definitiva presenta un sottotitolo molto significativo: “lezioni di menzogne”, a ribadire una fedeltà al primo titolo scelto da Anders per il suo romanzo: “Manuale di verità”. Anche la dedica iniziale, “alle persone istruite che trascurano la verità” svolge la stessa funzione.

A guardar bene il vero nucleo concettuale di quest’opera è il rapporto controverso tra verità e menzogna, tra suolo e sottosuolo, tra dimensione ctonia e mondo olimpico. In un paesaggio nel quale ogni falsità si presenta sotto le mentite spoglie della verità (“Anch’io sono sincera ogni menzogna gridava”, p. 13), ecco che la verità può aspirare a essere accolta solo se finge di essere falsa. Proprio questo intreccio di verità e menzogna fa del romanzo di Anders (definito a giusto titolo emblema delle utopie negative del XX secolo) un messaggio di questioni di stringente attualità: la necessità di scoprire in un mondo in cui è calato ogni confine tra finzione e realtà, almeno “il contenuto di verità della menzogna”.

Micaela Latini

Günther Anders, La catacomba molussica, Lupetti, Milano, 2008, euro 18

da: “Cultura tedesca”, numero speciale su Sionismo, n. 41, 2011, pp. 195-196.

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