Diario berlinese 22: Gesichter

                                                                                                                               Matteo Galli

Scrivere di libri mi riesce, credo. E anche di film, direi. La politica pure, in fondo l’ho sempre seguita. Non ho praticamente mai parlato di musica, perché in questi giorni c’era ben poco di cui parlare (sono stato tentato di andare a Spandau a sentire gli “Elements of Crime”, ma mi ha fatto fatica e costava troppo, Joe Cocker per carità, Max Raabe già visto e anche quello troppo caro, martedì al Berghain, la più nota discoteca di Berlino c’era un concertino di alternative rock di un gruppo che non conoscevo, Kurt Vile & The Violators che mi ispirava, ma mi è passato di mente). Anche di mostre alla fine riesco a parlare, meglio se sono mostre documentarie: quella di Marienfelde, quella su Kleist, quella sul muro visto dai soldati di frontiera orientali; ma in fin dei conti anche per quella sugli storyboards (sempre tangente al cinema) e persino per la mostra fotografica di Kertesz ho la sensazione di riuscire ad esprimere impressioni e giudizi un minimo circostanziati. Poi, però, si arriva ad una mostra storico-artistica “pura”, la mostra dell’estate a Berlino, devo assolutamente parlarne, i miei avidi lettori lo chiedono, e non so se mi riesce (prima di cominciare a scrivere, però, mi sono documentato: ho letto la recensione di Hanno Rauterberg sulla “Zeit” e quella di Andreas Kilb sulla “FAZ”, davvero bravi, non mi riuscirà mai scrivere così!). Ieri si inauguravano i “Gesichter der Renaissance” (“Volti del Rinascimento”) e siccome era l’unica occasione di vederla insieme al figlio diciottenne che stamattina all’alba è ripartito per l’Italia (a Firenze troverà 37 gradi, ma anche qui non si scherza oggi, ne sono previsti 31), mi sono messo in coda. 10 minuti e avevamo in mano il biglietto. Con un servizio SMS ti dicono, mezz’ora prima, quando potrai entrare. Ho fatto un paio di conti e ho pensato che ci sarebbe toccato di lì a tre ore, verso le 17, speriamo non tanto più tardi perché alle 19 dovevamo giocare a calcio. Facciamo altri giri per la città, torniamo anche a casa, è possibile controllare anche dal computer l’avanzamento della fila. Improvvisamente arriva un SMS piuttosto intimidatorio con scritto “Sofortiger Einlass” (“Ingresso immediato”), alla faccia del preavviso, nella pagina web della mostra il “Ticketzähler” (“contatore”) segnava improvvisamente 00.00 e dava come orario attuale le 23:00. Ma che è successo? Con molta calma riprendiamo le biciclette e ci riavviamo verso il “Bode-Museum”. Mi rivolgo a un addetto, mi dice che il software è andato in tilt, dimenticando che il giovedì il museo sta aperto fino alle 22:00 e sono partiti 400 SMS impazziti a tutti quelli che aspettavano di entrare. Mentre eravamo in bicicletta l’avevano rimesso a posto, il software; il nostro slot per l’ingresso: 17:30-17:40. Poi potevamo restare dentro quanto volevamo (ma alle 19:00 dovevamo essere nei pressi del “Kanzleramt”). Entriamo già verso le 17:10, ci scannerizzano il biglietto non meno di tre volte, ci danno l’audio-guida, compresa nel prezzo, fin quando ci ritroviamo nei pressi dell’ingresso ad aspettare il nostro turno, un display fa il conto alla rovescia. Scatta l’ora x. Ed entriamo in una sala particolarmente buia, la prima di forse otto/nove sale, tutte egualmente buie e malgrado la presenza di alcuni gruppi con guida, abbastanza silenziose.

Leggo che Stefan Weppelmann, curatore della mostra e della collezione italiana e spagnola della Gemäldegalerie di Berlino (nonché, leggo, autore di una monografia su Spinello Aretino, uscita da Polistampa quest’anno, dichiaro ufficialmente che non conosco Spinello Aretino, e risparmio facili giochi di parole) ha impiegato la bellezza di sette anni per metterla su. Sette anni, accidenti, sono davvero tanti. Immagino – ma non ne ho certezza – che la maggior parte del tempo un curatore la passi a cercare di convincere i direttori dei musei a darti l’opera che vorresti. Chissà come funziona? C’è un borsino dei prestiti? Un Botticelli per due Bellini? Ghirlandaio è più difficile da avere di Carpaccio? Dovrò farmelo spiegare da chi ne sa di più. Non possiedo dati esatti, ma un buon 50% di opere esposte Weppelmann ce l’aveva in casa, a Berlino, poi sono arrivate le opere del Metropolitan che co-produce l’evento. E poi c’era da andare a chiedere in giro: agli Uffizi, al Louvre, alla National Gallery, al Bargello, all’Accademia Carrara e ovviamente al museo Czartoryski che ospita Cecilia Gallerani, alias Dama con l’Ermellino, visibile a Berlino solo fino a fine ottobre. Alla fine i musei e le gallerie che hanno prestato opere a Berlino sono ben 45! Eppure ci sono state rinunce: Kilb scrive che il curatore voleva il Doge Loredan di Giovanni Bellini della National Gallery, ma non gliel’hanno dato. Chissà perché.

La mostra è tutta sul Quattrocento, termina con la fine del secolo, la dama di Leonardo è datata 1488-1490, sforamenti solo all’indietro, con qualche moneta e scultura romana. La struttura della mostra è la più semplice, la più banale (ma sto sicuramente dicendo un’eresia) che ci si poteva immaginare ossia agglutinazione spaziale: sale monografiche su Firenze, Venezia, Milano, più sale con le “piccole” corti ducali o granducali, Ferrara, Mantova, Urbino. Di seguito alcune delle numerose questioni che mi sono venute in mente guardando la mostra: le diverse funzioni del ritratto nei diversi contesti relativamente alla committenza e alle ragioni di opportunità politica, la centralità dell’io, del volto nel Rinascimento, il significato del passaggio dal profilo, ai tre quarti, al ritratto frontale, il desiderio di permanenza dopo la morte, il ritratto come strategia di auto-promozione dell’artista, il rapporto fra soggetto e contesto spaziale (gli interni, la natura), le infinite declinazioni degli sguardi, gli abiti, i gioielli, soprattutto nelle donne, la predominanza del rosso. E soprattutto quanti pittori che il visitatore profano (io) non aveva mai sentito nominare e che riservano grandi sorprese: Andrea d’Assisi detto l’Ingegno, Jacometto Veneziano, Pietro di Spagna.

La Dama l’avevo già vista a Cracovia, c’era meno gente.

Matteo Galli

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