Premio Ursula Bavaj

[Lo scorso 28 giugno il premio per la migliore tesi di laurea magistrale intitolato a Ursula Bavaj è stato assegnato, nella sua prima edizione, a Maddalena Graziano. Dalla tesi è nato un volume in corso di pubblicazione per Carocci con il titolo Oltre il romanzo. Racconto e pensiero in Musil e Svevo. Proponiamo qui un estratto dall’introduzione. L’immagine ritrae Robert Musil nel suo studio. M.S.]

Maddalena Graziano

Questa è la situazione di una persona d’intelletto (incline a osservare, conoscere, riprodurre intellettualmente) che si trova di fronte alla domanda: poetare, ricercare, agire [Dichten, Forschen, Handeln]. Questa, risolta contro la poesia, è la domanda del secolo.[1]

Le frasi sono ritagliate dallo sciame di riflessioni incompiute che nel 1935 Robert Musil conduce nei suoi canovacci per un’introduzione alla raccolta di prose Pagine postume pubblicate in vita. Sono appunti sparsi e labirintici − si tratta di una dozzina di pagine manoscritte suddivise in quattro sezioni −, la maggior parte dei quali non entrerà nella versione definitiva pubblicata nel 1936. Per spiegare le ragioni della raccolta e del suo titolo paradossale, Musil sembra aver bisogno di radunare tutta l’esperienza della sua scrittura, afferrandone i lembi più lontani e attirandoli a sé. Si ritrova così a parlare del romanzo d’esordio I turbamenti del giovane Törless (1906), delle novelle di Incontri (1911), del dramma I fanatici (1921). In mezzo a questa tela larga e cangiante, Musil stringe tra le mani un unico centro, un interrogativo fondamentale: se il proprio scopo è la conoscenza, quale strumento di lavoro si deve scegliere, che cosa bisogna fare − poetare (Dichten), indagare con i mezzi della scienza e della filosofia (Forschen) o risolversi ad agire politicamente (Handeln)? Musil afferma di aver cominciato, con fatica, a rispondere a questa domanda a partire da Incontri, l’unico suo libro di cui sopporta ancora di leggere qualche pagina senza provarne troppo imbarazzo.

Sebbene Musil non ne faccia parola, una questione simile era stata posta già molti secoli prima: da Platone nella Repubblica, e anche allora la risposta era stata rovesciata contro la poesia; secondo Musil, tuttavia, si tratta della «domanda del secolo». Il problema, per Musil come per Platone, gravita intorno alle forme del rapporto con la verità. Musil cerca di raccogliere diverse osservazioni, confrontando febbrilmente la letteratura al sapere e alla filosofia (la letteratura si mantiene sulla superficie, non trasmette il sapere ma si serve del sapere, la letteratura non è mai una «-logia»), ma non riesce ad arrivare ad alcuna conclusione. Tuttavia, verso la fine del complesso di testi e osservazioni che si accavallano e si sormontano, ci imbattiamo in un breve appunto molto interessante, che getta luce sul percorso poetico musiliano, ma anche oltre i suoi confini: «lo scarto (la svolta evidente: perché già nel Törleß se ne era fatto accenno) dal realismo alla verità».[2] Muovendosi nel solco di Platone, per Musil esiste una distinzione, un «antagonismo» dei percorsi di verità: da una parte il sapere come riflessione, teoria, filosofia e dall’altra la letteratura come mimesis e rappresentazione. Musil però aggiunge al quadro ‘platonico’ un ulteriore tassello: lo «scarto», la «svolta». Attribuisce alla distinzione platonica se non una data nascita, almeno una data di morte e un’articolazione interna: se quella della letteratura era una ‘sottoverità’ − una verità, sulla scorta di Platone, delle superfici e delle apparenze −, si trattava soltanto della verità a cui aspirava un tipo particolare di letteratura, che Musil chiama realismo. Si può immaginare invece un’altra, una nuova forma di espressione letteraria, nebulosa e incerta, ma inevitabile, che riformuli da capo a piedi gli antichi rapporti. Si riaprono problemi, questioni placate. […]

Come avvertiva Musil, la «domanda» sembra davvero appartenere al suo «secolo»: più o meno negli anni in cui lavorava febbrilmente all’edificazione del suo più grande tentativo di risposta − l’Uomo senza qualità − molti altri scrittori in tutta Europa sembrano essersi misurati con lo stesso problema. Eccone solo alcuni nomi, i più celebri: Thomas Mann, Hermann Broch, Marcel Proust, Luigi Pirandello, Italo Svevo. Un’intera generazione di romanzieri nata all’incirca nell’ultimo terzo dell’Ottocento cerca di compiere, nel primo terzo del Novecento, la stessa parabola descritta da Musil: spostare la letteratura dal ‘realismo’ alla ‘verità’. La funzione tradizionale del romanzo come mimesis autentica, «specchio» trasparente e spregiudicato della realtà, viene scomposta e sostituita. Lo scopo non è più offrire una rappresentazione ancora più autentica del mondo; secondo le osservazioni di Musil il problema si colloca su un piano diverso e più vasto e strutturale. Si tratta di riuscire a capire a quale strumento, a quale discorso o dispositivo ricorrere per cercare di esprimere la verità: narrare o riflettere?

Sebbene per sciogliere questa esitazione Mann, Broch, Proust, Pirandello, Musil o Svevo ricorrano a mezzi declinati secondo modi e intensità ogni volta diversi, la forma intorno a cui tende a rapprendersi la loro sfrangiata riflessione è quella del romanzo-saggio. Qui verrà esplorata da un punto di vista teorico e comparatistico: a una prima parte dedicata alle questioni che inquietano la forma del romanzo-saggio seguirà una seconda parte concentrata invece sulle soluzioni particolari adottate da due figure, allo stesso tempo affini e diverse, di romanziere-saggista − Robert Musil e Italo Svevo.

Il primo capitolo offrirà una prima, sommaria ‘carta d’identità’ del romanzo-saggio: luoghi e date di nascita, genealogia di breve durata, caratteristiche principali. Poi cercherà di scomporlo nei due elementi che lo costituiscono: il romanzo e il saggio. Separare e prendere ‘alla lettera’ la coppia nominale con cui in italiano siamo soliti indicare questa particolare forma di romanzo può sembrare un gesto semplificatore e quasi rozzo; ma ci permette di osservare il linguaggio critico come un materiale cedevole sui cui si imprimono alcune costellazioni teoriche di lunga durata: il trattino tra le due parole scava il confine simbolico non solo tra due forme di espressione e due generi letterari, ma tra due dispositivi di conoscenza considerati diversi e indipendenti, eppure immersi in una fitta maglia di connessioni reciproche. Accostando e confrontando le concezioni di realtà e verità che il saggio e il romanzo esprimono e su cui si fondano, cercherò di mostrare come il romanzo-saggio primonovecentesco possa essere letto come estensione e sviluppo di alcune tendenze del romanzo ʻclassicoʼ ottocentesco.

Sulle sfaccettature di questo problema si concentrerà soprattutto il secondo capitolo: in quali punti il modello tradizionale romanzesco viene aggredito e alterato dal progressivo spostamento del romanzo dalle forme della narrazione a quelle della riflessione? Che cosa permane invece del modello ottocentesco? E soprattutto: quali sono le ragioni che spingono i romanzieri a operare questi cambiamenti?

La seconda parte del lavoro cercherà invece di attribuire sostanza concreta alle riflessioni condotte nella prima. Per farlo ricorrerà all’esplorazione di due diversi paradigmi di romanzo-saggio: L’uomo senza qualità (1930-42) e La coscienza di Zeno (1923). […] Musil e Svevo verranno studiati nella loro singolarità. Ciascuno di loro definisce a suo modo una declinazione possibile del saggismo nel romanzo. Il saggismo di Musil è evidente, dispotico, problematico: Musil vuole proclamarlo e nello stesso tempo deve arginarlo, lo espande e lo teme, lo teorizza e lo respinge. Il saggismo musiliano è ‘esploso’ e occupa sotto diverse forme vasti territori della sua scrittura: la funzione e il ruolo del saggio, della filosofia e della scienza rispetto alla narrazione sono oggetto di continue riflessioni e contrattazioni. In Svevo, invece, il saggismo non è mai teorizzato o pronunciato; si tratta piuttosto di un’istanza capillare e pervasiva che conduce segretamente il romanzo, senza che l’autore spenda molte parole per metterci in guardia. L’indagine del saggismo sveviano ci costringerà ad aguzzare gli occhi e a trattare con delicatezza alcuni punti della sua opera − angoli, pieghe, ripostigli − come possibili indizi disseminati dallo scrittore intorno all’inclinazione riflessiva e saggistica del romanzo, una segreta ʻteoriaʼ del romanzo-saggio ricostruibile solo per bagliori e intuizioni. […]

C’è un punto, soprattutto, su cui in questo modo vorrei cercare di fare luce. Musil e Svevo rappresentano due condizioni singolari e diverse di soluzione di un problema comune, il problema romanzesco-saggistico per eccellenza: il tentativo di interrogare e riscrivere il confine tra ordine del racconto e ordine della riflessione, tra impulso saggistico e impulso narrativo della conoscenza. La ricostruzione dei modi e degli strumenti con cui Musil e Svevo affrontano e sciolgono questo nodo sarà l’asse che cerca di attraversare e collegare gli ultimi due capitoli. Si tratta di seguire la strada indicata da Musil in apertura a questa premessa, di spingere ancora un po’ più avanti le domande che, in quei suoi appunti del ’35, lasciava interrotte. Si tratta quindi di capire come l’interrogativo «del secolo» − la scelta del migliore ‘dispositivo di verità’ − affetta la letteratura e si coagula al fondo del romanzo, quali questioni inquietano la forma del romanzo-saggio e perché questa tende a essere la forma letteraria che molti tra i più significativi scrittori primonovecenteschi scelgono di costruire.

Maddalena Graziano



[1] R. Musil, Vorwort IV (Fallengelassenes Vorwort zu: Nachlaß zu Lebzeiten), in Id., Klagenfurter Ausgabe. Kommentierte digitale Edition sämtlicher Werke, Briefe und nachgelassenen Schriften, hrsg. von W. Fanta, K. Amman, K. Corino, Klagenfurt, Robert-Musil Institut der Universität Klagenfurt, 2009 (consultabile all’interno della sezione Transkriptionen & Faksimiles; vista la rilevanza poetologica delle riflessioni contenute in questi appunti, una versione non completa del testo è accolta anche nella sezione Gedichte, Aphorismen, Selbstkommentare, Bd. 14). Cfr. anche Id., Gesammelte Werke in neun Bänden, hrsg. von A. Frisé, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt, 1978, Bd. 7, p. 969.

[2] Ibidem.

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