Incipit: Come mio fratello

Uwe Timm

Essere sollevato in aria – riso, esultanza, una gioia irrefrenabile – questa sensazione accompagna il ricordo di un attimo, un’immagine – la prima immagine che mi si è impressa nella mente – con la quale comincia con me la consapevolezza di me stesso, la memoria: dal giardino entro in cucina dove ci sono gli adulti, mia madre, mio padre, mia sorella. Stanno lì e mi osservano. Avranno detto qualcosa che non ricordo più, forse: Guarda, o forse avranno chiesto: Vedi qualcosa? E avranno girato gli occhi verso l’armadio bianco, un armadio per le scope, come mi hanno detto in seguito. Là, l’immagine mi si è impressa con chiarezza, dall’armadio spuntano dei capelli, capelli biondi. Dietro si è nascosto qualcuno – e poi sbuca fuori, il fratello, e mi solleva in alto. Non ricordo la sua faccia, nemmeno quel che indossava, forse l’uniforme, ma la situazione è molto chiara: tutti che mi osservano e io che scopro i capelli biondi dietro l’armadio, e poi la sensazione di essere sollevato – sospeso in aria.
È l’unico ricordo di mio fratello, sedici anni più grande di me, che pochi mesi dopo, alla fine di settembre, venne gravemente ferito in Ucraina.

30 settembre 1943
….Caro papà,
purtroppo il giorno 19 sono stato ferito gravemente un colpo di fucile per granate anticarro mi ha trapassato le gambe che adesso mi hanno amputato. La gamba destra me l’hanno amputata sotto il ginocchio e quella sinistra alla coscia non fa più molto male consola la mamma tutto passa fra un paio di settimane sarà in Germania e allora potrai venire a trovarmi non sono stato uno spericolato
….Adesso ti lascio un saluto a te e alla mamma, a Uwe e a tutti gli altri.
….Tuo Kurdel

Il 16 ottobre 1943 alle ore 20 morì all’ospedale da campo 623.

Assente e tuttavia presente mi ha accompagnato per tutta l’infanzia, nel dolore della madre, nei dubbi del padre, nelle allusioni scambiate fra i genitori. Si raccontava di lui, piccoli episodi sempre simili che lo dipingevano come valoroso, uno come si deve. Anche quando non se ne parlava era comunque presente, più presente di altri morti grazie alle storie, alle foto e ai paragoni del padre nei quali rientravo anch’io, l’ultimo nato.

Diverse volte ho tentato di scrivere su mio fratello. Ma non andavo mai oltre il tentativo. Leggevo le sue lettere mandate per posta militare e il diario che aveva tenuto durante la sua missione in Russia. Un piccolo quaderno con la copertina beige e la scritta Appunti.

Volevo confrontare le annotazioni di mio fratello con il diario di guerra della sua divisione, la SS-Totenkopfdivision, per ricavarne dettagli più precisi e scoprire qualcosa al di là delle sue annotazioni laconiche. Ma ogni volta che mi immergevo nella lettura del diario e delle lettere, subito mi interrompevo.

Una ritirata timorosa come mi succedeva da bambino di fronte a una fiaba, la storia del cavaliere Barbablù. Di sera la mamma mi leggeva le favole dei fratelli Grimm, molte me le leggeva e rileggeva più volte e così quella di Barbablù, ma era l’unica di cui non volevo ascoltare la fine. Era così angosciante, quando la moglie di Barbablù, dopo la sua partenza, nonostante il divieto vuole entrare nella stanza chiusa. Arrivati a quel punto supplicavo la mamma di non leggere più. Solo anni dopo, oramai adulto, ho letto fino in fondo la fiaba.

Allora girò la chiave e quando la porta si aprì un rivolo di sangue sgorgò verso di lei, e appesi tutt’intorno alle pareti vide corpi di donne morte, di alcune era rimasto solo lo scheletro. Si spaventò talmente che rinchiuse subito la porta, ma la chiave schizzò fuori dalla serratura e cadde nel sangue. Si precipitò a raccoglierla, cercò di lavare via il sangue ma era inutile, non appena la puliva da un lato subito la macchia ricompariva dall’altro.

Un’altra ragione era mia madre. Finché lei era viva non mi era possibile scrivere di mio fratello. Sapevo fin dall’inizio cosa avrebbe risposto alle mie domande. I morti bisogna lasciarli in pace. Solo dopo la morte di mia sorella, l’ultima che l’aveva conosciuto, mi sono sentito libero di scrivere, e libero vuol dire poter fare tutte le domande senza dover mostrare riguardi nei confronti di nulla e di nessuno.

Ogni tanto lo sogno. In genere sono semplici brandelli di sogno, qualche immagine, situazioni, parole. Un sogno mi si è impresso con particolare chiarezza.

Qualcuno sta cercando di entrare in casa. C’è una figura all’esterno, scura, sporca, infangata. Vorrei chiudere la porta. La figura, che non ha volto, cerca di infilarsi dentro. Faccio pressione con tutte le mie forze, respingo quell’uomo senza volto che pure, lo so bene, è mio fratello. Alla fine riesco a chiudere e a sprangare la porta. Ma con orrore tengo nelle mani una giacca rozza, a brandelli.

Mio fratello e io.

In altri sogni ha la stessa faccia delle foto. In una soltanto indossa l’uniforme. Ci sono molte fotografie di mio padre che lo ritraggono con e senza l’elmetto d’acciaio, in berretto d’ordinanza, in uniforme di servizio e da libera uscita, con la pistola e con il pugnale della Luftwaffe. Di mio fratello in uniforme c’è invece solo questa immagine in cui appare, il fucile in mano, nel cortile della caserma durante un’adunata. È così lontano e si distingue così male che solo mia madre riusciva ad affermare di averlo riconosciuto immediatamente.

Da quando mi sono messo a scrivere di lui tengo sulla libreria una sua foto in abiti civili, scattata probabilmente all’epoca in cui si arruolò volontario nella Waffen-SS: presa un po’ dal basso, si vede il viso magro, glabro e la ruga verticale accennata tra le sopracciglia gli dà un’espressione pensosa e severa. Capelli biondi, la riga a sinistra.

Una storia che mia madre continuava a raccontare era quella di quando voleva arruolarsi volontario nelle SS, ma aveva perso la strada. La raccontava come se le cose successe dopo si sarebbero potute evitare. Una storia che ho ascoltato così presto e così spesso che me la vedo davanti agli occhi, quasi l’avessi vissuta anch’io.

 Uwe Timm

Uwe Timm, Come mio fratello, (tit. orig. Am Beispiel meines Bruders, 2003), trad. it. di Margherita Carbonaro, Mondadori, Milano 2007, pp. 7-10.

Immagine: Réverbère http://theia.over-blog.com

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