Simone Caforio
Il 2019 è l’anno in cui si celebra l’anniversario dei trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino avvenuta nella notte del 9 novembre 1989. Durante questi trent’anni numerosi sono gli autori, che si sono cimentati nella narrazione di eventi che, in un modo o nell’altro, fossero legati al non più esistente Stato costituito dalla DDR. In Ein weites Feld (1995) Günter Grass è riuscito a riprodurre l’atmosfera di una passeggiata verso la porta di Brandeburgo di due personaggi, Fonty e Hoftaller, allegorie dei due stati tedeschi ormai riunificati. E ancora, solo per fare qualche esempio, Der geteilte Himmel (1963) di Christa Wolf, Simple Storys. Ein Roman aus der ostdeutschen Provinz (1998), una raccolta di racconti di Ingo Schulze, così come Helden Wie Wir (1995) di Thomas Brussig, un romanzo incentrato sulla vita di un ragazzo, Klaus, sulla sua giovinezza e sulla sua formazione fino alla fatidica notte della caduta del muro.
Così come tre sono i decenni ormai trascorsi dalla notte della Wende, tre sono i romanzi, che vengono presi in analisi in quest’articolo, per descrivere l’esperienza della DDR in tre diversi lassi temporali: il passato, il presente e il futuro. Il passato è affidato ad un lungo romanzo familiare, accolto da molti critici come il definitivo Wenderoman, le cui azioni si dilatano in un lasso temporale che va dal 1982 al 1989. Si tratta del La Torre di Uwe Tellkamp, testo che, sin dal titolo, viene farcito con continui richiami letterari ad autori classici tra cui Goethe, E.T.A. Hoffmann e Thomas Mann. La Torre oltre ad essere un richiamo alla società della torre goethiana è il quartiere in cui prendono vita le vicende della famiglia Hoffmann.
Il presente della DDR viene narrato nelle pungenti pagine del romanzo di Juli Zeh Turbine, romanzo in cui la DDR sembra assumere unicamente la forma di un lontano ricordo per prendere successivamente, lentamente ma con forza, le sembianze di un fantasma che fatica a sparire definitivamente ma di cui i ricordi a volte sembrano non corrispondere all’effettiva realtà. A Unterleuten la scrittrice ambienta il caos, che viene generato in seguito all’annuncio dell’installazione di dieci turbine eoliche nella campagna adiacente al paese.
Se per i protagonisti di Turbine la DDR è solo un aspetto del passato, in Piano D di Simon Urban Berlino Est è ancora divisa dalla sua controparte occidentale, dal momento che, in seguito alla Riunificazione e al grosso esodo di berlinesi verso l’Ovest, il partito ha optato per una soluzione drastica, la Rianimazione. In tal modo l’autore colloca l’episodio di un omicidio in una Germania che risulta ancora divisa dal muro nel 2011.
Simon Urban, Juli Zeh e Uwe Tellkamp diventano attraverso le loro opere l’espressione del sentimento di un’Ostalgie, rappresentato numerose volte dalla descrizione di quelli che sono stati gli oggetti della quotidianità della DDR. Per Juli Zeh la DDR fa parte del passato e gli oggetti legati a quel periodo non possono non essere che dei ricordi. Tuttavia, tra le pagine del romanzo numerosi sono i riferimenti a oggetti prodotti nella DDR, volti ad esprimere sempre uno stato di fatiscenza (successivamente si prenderà in analisi l’esemplare episodio di una ringhiera).
Ben diverso è il discorso se si prendono in considerazione i romanzi di Tellkamp e Urban. La colossale opera di Tellkamp è colma, quasi in misura esagerata, di oggetti, nomi e persino barzellette di carattere satirico, che provengono dal mondo della DDR. L’autore descrive tutti questi elementi con precisione e in maniera maniacale. Questa sua attenzione al dettaglio lo costringe così a lunghe pause, che interrompono il flusso narrativo a favore di lunghe digressioni descrittive sull’aspetto della città e sul cibo tradizionale, sulle pratiche militari dell’epoca e sulle innovazioni raggiunte dalla medicina, sulle edizioni dei libri e persino sulla qualità della carta utilizzata per stamparli con la sua relativa scarsa reperibilità. A seguire un paio di esempi in cui Tellkamp interrompe o rallenta notevolmente il ritmo dell’azione per descrivere al meglio gli oggetti coinvolti.
“[…] dietro una tenda a fiori verdi palude, sorvegliati dalle boccette da farmacia, c’erano i libri di Hermann Hesse delle vecchie edizioni S. Fischer, rilegati in lino blu scolorito, con le scritte in oro, in caratteri gotici Unger, e quelli delle edizioni Aufbau, in lino verde chiaro, scolorito, con le sovracopertine giallo sabbia e i caratteri Garamond.” [1]
“[…] lasciò la frizione troppo presto, il carro partì con uno scossone: su per la rampa più dritto possibile, il cannone sopra la testa proiettava una forte ombra, a sinistra un proiettore alogeno lo abbagliava, ecco l’inclinazione della rampa, il carro doveva essere allineato dritto a piombo davanti al vagone, Frittata doveva aspettare il momento giusto per la rotazione, un carro armato non ha un raggio di curvatura ma gira sul posto e i cingoli sarebbero sporti dal vagone a destra e sinistra, Frittata agitò il gagliardetto, Christian tirò la leva di sterzo […] Christian avrebbe voluto spegnere il motore azionando la leva posta al di sopra della manopola zigrinata, ma era paralizzato, vedeva la leva, l’ovale marrone del dischetto di duroplast che si poteva abbassare e spostare qua e là e con il quale si regolava il numero di giri del motore, ma non ci arrivava.”[2]
Alla precisione di Tellkamp si contrappone l’estro creativo di Urban, il quale capisce che non può semplicemente limitarsi ad annunciare una Germania ancora divisa dal muro, e proseguire narrando la storia. Deve creare un ambiente veritiero e per rendere credibile l’atmosfera che si è venuta a creare, Urban ha bisogno di adattare gli oggetti che facevano parte della quotidianità della DDR all’eventualità di un tale stato ancora esistente nel momento storico scelto per l’ambientazione del romanzo.
Nella Berlino Est di Piano D è ancora attiva la Deutscher Fernsehfunk, l’ente della Radiotelevisione tedesca che nella realtà ha cessato di esistere nel 1990. Così come in ogni stato occidentale, soprattutto negli ultimi dieci anni, si è vissuta una vera e propria proliferazione delle reti televisione, anche la DFF ha ampliato la propria offerta, portando il telespettatore a scegliere fino a 5 canali diversi, laddove nella DDR antecedente alla Wende si poteva usufruire solo di due canali[3]. Simon Urban inserisce nella Berlino Est di Piano D il KaDeO[4] (Kaufhaus des Ostens), creato sulla falsa riga del KadeWe (Kaufhaus des Westens), ovvero il grande centro commerciale, già famoso negli anni della guerra fredda e che mostrava tutta la ricchezza della Germania dell’Ovest: tale costruzione era infatti ben visibile dai cittadini della parte orientale. Se nella parte occidentale ha grande successo il noto marchio telefonico costituito dall’Iphone, nella parte orientale si sviluppano e si producono modelli che si definiscono persino maggiormente avanzati a livello tecnologico rispetto al grande colosso statunitense, ovvero il Minsk. Le Trabi sono ormai state sostituite dalle Phopos e la Wartburg è ancora presente sul mercato:
“’Da voi si riesce ad avere il Minsk anche senza contratto?” Chiese Brendel aggirando la Wartburg. […] “Si riesce, ma costa una sassata”. “È una leggenda metropolitana che la DDR ha mantenuto un vantaggio significativo nella telefonia sfruttando la tecnologia della Stasi?” “Non è una leggenda” rispose Wegener. “Pare che la Stasi stia usando apparecchi più avanti di due generazioni rispetto a qualsiasi cosa si trovi nei circuiti commerciali. Si dice che siano già all’M9.”[5]
Uno dei fili rossi che unisce in maniera netta questi tre romanzi, se analizzati in relazione alle condizioni sociali dei protagonisti, è una perpetua e quasi mai raggiunta ricerca di stabilità. In relazione ai romanzi prodotti nell’epoca post Wende Erhard Schütz si esprime con queste parole:
„Die Zeitgeschichtsforschung hat jüngst für die Politikgeschichte der Bundesrepublik als Leitmotiv die „Suche nach Sicherheit“ ausgemacht; unter dieser Prämisse wäre die ubiquitäre Erinnerungskultur als versichernde und absichernde Vergangenheitskontrolle zu verstehen. Die allermeisten der sich Historie aufladenden oder sich mit Historie aufladenden Romane haben sich dem attachiert und sind bislang eher eine Allianz mit der allfälligen Erinnerungskultur eingegangen, statt sich der Zeitgeschichte mit ihrem tendenziell zukunftsoffeneren Blick anzuschließen.“[6]
In Turbine ogni personaggio è impegnato a operare laddove, come unico scopo finale, sia ravvisabile il proprio tornaconto. Con la scomparsa della DDR i tedeschi dell’Est si vedono costretti ad una vera e propria rivoluzione burocratica. Tra tutte le accuse che vengono scagliate su Gombrowski, fondamentale è quella rivoltagli da Kron, secondo il quale, Gombrowski si sarebbe venduto al nuovo governo, cambiando la ragione sociale della vecchia “Buona speranza” (Gute Hoffnung LPG) in “Ecologika Srl” (Ökologica GmbH): con tale azione Gombrowski si sarebbe arricchito, cercando la propria stabilità, alle spalle dell’intera popolazione di Unterleuten. Tuttavia, per Gombrowski questa mossa si rivela indispensabile, non tanto per il proprio interesse, quanto per il benessere di tutti i suoi concittadini, che solo grazie al suo intervento sarebbero riusciti a sopravvivere alle novità che avrebbero seguito la Wende.
Il fallimento del tentativo di sopravvivenza di una nuova società basata sulle rovine della DDR è riscontrabile in due episodi significativi: nei primi capitoli del romanzo Linda cerca invano di ripulire dalle finestre macchie di sporco, che risalgono direttamente dall’epoca della DDR. La sporcizia accumulata toglie al vetro quella sua naturale caratteristica, ovvero la trasparenza.[7] Questo diventa un aspetto interessante soprattutto se si considera la scelta del vetro come materiale di costruzione per la cupola del Reichstag, proprio per simboleggiare la trasparenza della politica tedesca. Successivamente tale fallimento si manifesta con una vera e propria caduta fisica di Elena in seguito al cedimento di una ringhiera la cui produzione risale direttamente agli anni della DDR.
“Dall’altro lato della strada c’era la vecchia recinzione di Björn, era fatta con semplici pannelli di rete metallica e risaliva ai tempi della DDR. […] Lei corse alla recinzione. I lenzuoli erano appesi con lacci fermacavi. Afferrò la stoffa, la scritta “SCIACALLO” si perse fra le righe. La strattonò ma non riuscì a strapparla. Era un lenzuolo robusto. Si aiutò con l’altra mano, tirò e strattonò con tutta la forza che aveva. Anziché il tessuto, cedette la recinzione. Björn le gridò qualcosa che lei non capì, ma ormai i pannelli di rete metallica le stavano precipitando addosso. Cadde per terra in un fracasso assordante.”[8]
Nella distopia messa in scena da Simon Urban è principalmente al personaggio di Wegener, che viene a mancare questo senso di stabilità. Lo stesso autore, in un’intervista rilasciata a Joachim Feldmann, si esprime su tale caratteristica del personaggio con queste parole[9]:
„Deshalb habe ich Martin Wegener quasi von der Welt gestalten lassen, mit der er sich herumschlagen muss: Er misstraut allem und jedem, er ist in einer DDR der Gegenwart natürlich unglücklich, er ist aber vor allem moralisch gefährdet. […] Wegener wird im Laufe des Romans selbst schuldig, er muss in dieser Welt – wie alle anderen auch – ein Spielmacher werden, um ans Ziel zu kommen.“[10]
Così come nell’89 i Berlinesi dell’Est hanno avuto la possibilità di riunirsi finalmente ai concittadini dell’Ovest, per poi ricadere dopo poco tempo succubi e schiavi della DDR, anche Wegener è riuscito a godere, seppure temporaneamente, di questa sensazione di stabilità, sia a livello professionale che personale. Nella sua personale lotta per rincorrere uno stralcio di verità nella difficile realtà della DDR Wegener aveva un alleato, ovvero il suo collega Früchtl. In seguito alla sua improvvisa scomparsa per ragioni sconosciute Wegener arriverà ad indagare contro la stessa Stasi, rischiando non solo di perdere il lavoro ma anche di subire pesante ripercussioni personali.
Questa sua condizione lo porterà a sviluppare una visione quasi paranoica della propria vita e la conseguenza sarà un allontanamento dalla sua amata Karolina. Dopo aver perso tutto, privo di qualsiasi punto di riferimento, che la DDR è riuscita direttamente o indirettamente a sottrargli, Wegener si arrende e accetta una verità impostagli, contravvenendo in tal modo a tutti gli ideali che si era posto e rinunciando definitivamente alla propria personale lotta per la verità a quella stabilità morale che ne sarebbe conseguita.
Nel lungo romanzo di Tellkamp La Torre la ricerca di tale stabilità è visibilmente riscontrabile sì nelle vicissitudini dei singoli personaggi ma essa si espande successivamente, e qui troviamo uno dei punti di forza del romanzo, passando dalla microstoria della famiglia Hoffmann alla macrostoria dell’intero popolo tedesco. A tal proposito sono illuminanti le parole di Tom Kindt:
„Das Deutsche wird in Der Turm als eine Kulturtradition entworfen, die dem Einzelnen und der Gemeinschaft Stabilität zu verleihen vermag. Mit seinem Roman versucht Tellkamp freilich nicht nur, diese Tradition in Erinnerung zu rufen, er will sie zugleich fortschreiben.[11]“
Basandoci sulle parole di Tom Kindt è lecito quindi supporre che nel la Torre sia il popolo tedesco ad emettere un ultimo grido di speranza alla ricerca di una stabilità per la propria identità. I tedeschi dell’Est rappresentano uno spaccato della popolazione tedesca, che per decenni ha condiviso le proprie tradizioni e la propria cultura con quelle degli stati appartenenti al blocco sovietico.[12] L’obiettivo di Tellkamp è quello di dare una dignità alla moderna tradizione tedesca. Non cerca un’abnegazione degli anni della Germania divisa, anzi, compie un lavoro faticoso e porta alla conoscenza del lettore di oggi usi e costumi degli anni precedenti alla Wende con continui riferimenti a ricette, leggende o notizie di cronaca legate alla popolazione ceca, polacca o russa. Dello studio minuzioso portato a termine da Tellkamp e dell’intenzione di presentare al lettore le caratteristiche dei luoghi e delle atmosfere di quell’epoca in maniera scrupolosa ne è una testimonianza limpida l’ouverture del romanzo, dove vengono subito presentati immagini, sensazioni e odori:
“Nel buio oceanico scorrevano lente le acque di scarico della canalizzazione, gocciolante decotto delle case e dei VEB, in profondità, dove scavavano i lemuri, ristagnava la brodaglia oleosa e metallica dei bagni galvanici, l’acqua dei ristoranti e delle centrali a carbone e dei combinat, i ruscelli schiumosi della fabbriche di detersivi, gli scarichi delle acciaierie , degli ospedali, delle ferriere e delle zone industriali, gli acidi contaminati delle miniere di uranio, le brodaglie velenose degli impianti chimici di Leuna Buna Halle e degli stabilimenti di salgemma, di Magnitogorsk e delle zone dei casermoni prefabbricati, le tossine deli impianti dei concimi fertilizzanti, delle fabbriche di acido solforico.”[13]
Se ciò non bastasse si consideri allora che Tellkamp non si limita ad essere il portavoce di un intero popolo, allarga infatti ancora una volta il proprio ventaglio e cerca di inglobare tutti i possibili aspetti che possano riguardare la popolazione: Christian cerca di farsi una posizione prima negli anni scolastici e poi durante la sua esperienza nella Nationale Volksarmee (NVA), che sceglie di proseguire per la sua massima durata di tre anni, con la speranza di ottenere un posto presso la facoltà di medicina. Se attraverso la figura di Christian Tellkamp tenta di rappresentare una ricerca di stabilità nel campo dell’istruzione, a livello militare e sul piano lavorativo, diversi sono i settori analizzati per mezzo delle azioni del padre Richard, uomo appartenete alla classe medio-borghese della società tedesco-orientale (vita privata e rapporto con il governo e con la Stasi la fanno da padroni) e dello zio Meno, il quale attraverso il suo impiego presso la Dresner Edition mostra al lettore aspetti legati al mondo della cultura scientifica e letteraria, rendendoci partecipi di una moderata libertà d’espressione e della censura, a cui gli artisti devono sottostare, e arriva a narrare di casi di ostracismo culturale. Attraverso le parole e le impressioni di Meno Tellkamp si fa carico di denunciare quella mancata autonomia e stabilità intellettuale, conseguenza diretta delle decisioni politiche della DDR.[14]
Tenendo bene in mente quest’analisi appena effettuata e rileggendo i tre romanzi presi come oggetto del nostro studio, si delineerebbe quindi il quadro di una Germania finalmente unita, che porta però ancora i segni di una ferita al cuore, che per lunghi decenni ha impedito la ricostruzione e il rafforzamento di una vera e propria identità nazionale, già sgretolata in seguito agli eventi della Seconda Guerra Mondiale.
In definitiva le tre opere portano quel messaggio di speranza per una definitiva stabilità sul piano di un’identità culturale, di cui è convinto anche Tom Kindt, che nel saggio già citato in precedenza, in relazione al La Torre afferma:
„[…] Tellkamps Der Turm bringt zum Ausdruck, eine entschiedene Rehabilitierung: die Bezugnahme auf deutsche Kulturtraditionen in der Hoffnung auf Identitätsstabilisierung.[15]“
Simone Caforio
[1] Tellkamp, Uwe: La torre, p.182
[2] Tellkamp, Uwe: Op.Cit., p.1010
[3] Urban, Simon: Piano D, cfr. p.40
[4] Urban, Simon: op.cit., cfr. p.70
[5] Urban, Simon: op.cit., p.130
[6] Schütz, Erhard: Zweitgeschichte? Gegenwartsliteratur zwischen Vergangenheitsbewirtschaftung und Geschichtsermunterung in Zeitschrift für Germanistik, Neue Folge, Vol.23, No.3 (2013), p.598
[7] Zeh, Juli: Turbine, cfr. pag.48
[8] Zeh, Juli: Op.Cit., cfr. pag 301
[9] Urban crede sia impossibile creare a livello narrativo un personaggio originale, che rivesta il ruolo, così già largamente usato nel genere poliziesco, del commissario. In un’intervista l’autore cerca di delineare il pensiero che ha seguito nel delineare il personaggio di Wegener.
[10] http://culturmag.de/rubriken/buecher/ein-gesprach-mit-dem-schriftsteller-simon-urban/32414 – ultima consultazione: 01.03.2019
[11] Kindt, Tom: Die Vermessung der Deutschen. Zur Reflexion deutscher Identität in Romanen Georg Kleins, Daniel Kehlmanns und Uwe Tellkamps in Zeitschrift für Germanistik, Neue Folge, Vol.22, No.2, (2012), p. 373
[12] Sul destino condiviso dai vari paesi del blocco sovietico durante la guerra fredda e sui relativi prodotti letterari elaborati dopo lo smantellamento del muro è utile leggere il saggio di Claudia Sadowski-Smith, che focalizza l’attenzione sul sentimento dell’Ostalgie, mettendone a confronto la ricezione, da una parte presso il popolo tedesco, dall’altra a carico del popolo russo, ceco e polacco. Cfr: Claudia Sadowski-Smith: Post-Cold War Narratives of Nostalgia in The comparatist, Vol.23 (May 1999), pp.117-127
[13] Tellkamp, Uwe: Op. Cit., p.11
[14] Particolarmente importante per capire il personaggio di Meno e l’intero ambiente culturale dell’epoca è la seduta della Schrifstellerverband, che viene riportata nel capitolo La repubblica di carta, p.831
[15] Kindt, Tom: Op. Cit., p.373