Simon Urban, Piano D

Simone Caforio

Simon Urban è un germanista e copywriter che nel 2011 concepisce il suo romanzo d’esordio Piano D. Si tratta di un romanzo pubblicato nel 2011 dalla casa editrice Schöffling & Co. che ha dovuto aspettare sei anni per vedere l’uscita della sua traduzione italiana a cura di Keller Editore del 2017.

Piano D è un thriller, che scorre lungo i binari di un’indagine della polizia impegnata in un caso di omicidio. Il cadavere di un uomo è stato rinvenuto impiccato ad un gasdotto nella periferia di Berlino a poche settimane da importanti consultazioni politiche, durante le quali si discuterà del futuro energetico della Germania. Tutto sommato si presenta come un classico giallo con tanto di omicidio, che fa subito pensare a implicazioni politiche. Piano D si limiterebbe a questo, se il futuro delle risorse energetiche non si riferisse al futuro dell’attuale Germania, bensì ad una Germania ancora divisa dal muro, dove l’omicidio riporta i segni dei servizi segreti della Stasi, stringhe legate fra loro e otto nodi sul cappio.

Compiendo tale operazione l’autore è riuscito a riallacciarsi ad una lunga tradizione di scrittori impegnati nel raccontare le vicissitudini all’interno della DDR (basti annoverare tra i tanti Günter Grass, Christa Wolf e Uwe Tellkamp) ma al tempo stesso a prendere una netta distanza da essi, riuscendo nell’impresa di una moderna distopia. Il lavoro di Urban è difficile, deve riuscire infatti non solo a riprendere dal dimenticatoio usi e costumi di un’epoca non più presente ma anche a modernizzarli e renderli veritieri per gli anni in cui la storia è ambientata. Il lettore in tal modo può realmente credere che gli eventi narrati potrebbero accadere, seguendo le modalità descritte, se le due Germanie fossero oggi ancora divise.

Dopo la caduta del muro avvenuta nell’89 infatti, vedendo il grande esodo di berlinesi dell’Est verso l’Ovest, il consiglio della DDR decide di ricostituirsi e ricostruire il muro per bloccare tale flusso: la Rianimazione segue la Riunificazione. La Germania dell’Est è ancora rinchiusa in sé e vive all’ombra della lussuria e del progresso tecnologico dell’Ovest.

“‘Scusa, ma tu ti fidi di un capo di Stato che se necessario ti fa intercettare senza l’autorizzazione del giudice? Di un uomo che ti tiene prigioniera nel tuo paese? Ti fidi di uno così? ‘

‘Questo è un altro discorso’. A Karolina era tornato il broncio. ‘Nel 1990 ha mantenuto la parola e aperto le frontiere. Tu cosa avresti fatto, se il tuo popolo ti fosse corso via da sotto il naso, diecimila persone alla volta? Avresti richiuso il muro anche tu, altrimenti il Partito ti avrebbe silurato.’“ p.65

È in tale contesto che prende luogo l’omicidio di Albert Hoffmann, omicidio che fa subito gridare allo scandalo la Germania dell’Ovest attraverso le pagine dello “Spiegel”. La violenza della Stasi è tornata e l’intera Germania deve prenderne atto.

Albert Hoffmann è un pensionato, che per tutta la vita ha lavorato, seppur nascosto, ai massimi vertici della DDR. Lavora sotto falso nome come giardiniere nel quartiere destinato ai politici membri del consiglio statale e ha una figlia, la cui esistenza tiene nascosta a tutti i suoi conoscenti. È lui il creatore del cosiddetto “Piano D”, la messa in atto di un concetto chiamato posteritarismo, un progetto che a prima vista rappresenta una visione futuristica di una DDR alimentata unicamente con risorse ecologiche rinnovabili ma che a ben vedere si rivela un piano per riunificare le due Germanie sotto il mantello di un’unica grande repubblica democratica di carattere socialista. Le sue idee lo trasformano in motivo d’interesse per entrambe le divisioni della Germania, per la Stasi e persino per delle brigate cittadine, organizzatrici di attentati terroristici.

A collaborare a tale indagine si ritrovano Martin Wegener, Capitano della Volkspolizei di Berlino Est e Richard Brendel, direttamente dalla Kriminalpolizei di Berlino Ovest. Martin Wegener è un uomo che vive le proprie giornate, divise tra il dolore per la separazione con Karolina, suo unico amore della vita, e l’incessante dialogo, che si inscena nella sua testa, con Josef Früchtl, un vecchio collega, di cui le tracce si son perse ormai da più di un anno.

In questo personaggio è presente con insistenza la frustrazione degli abitanti dell’Est che osservano con invidia le esistenze dei propri connazionali dell’Ovest, i Wessi. Ciò che Martin Wegener sente nei confronti di Richard Brendel è un confronto, una sfida persa in partenza. Se l’Ovest va in giro con l’ultimo modello della Mercedes, l’Est è costretto a spostarsi con le Phobos, sostitute delle Trabant che, seppur nuove, rimangono tuttavia poco accattivanti e con scarse prestazioni. L’uomo dell’Ovest veste firmato, alla moda, persino per quanto riguarda la biancheria, per contro, l’abbigliamento dell’Est è rimasto invariato negli ultimi trent’anni.

“Wegener si vergognava. Si vergognava per quei guardoni che accerchiano l’auto incrocio dopo incrocio tradendo il proprio Stato. Gente a cui, non appena si trovava di fronte a una Mercedes, si leggeva in faccia la povertà del proprio paese, l’incapacità della DDR di produrre superba qualità e vero sfarzo. Facce in cui l’invidia si rapprendeva in una goffa espressione infantile. Facce che esponevano i pensieri alla mercé di tutti.” p.129

Persino nella scena in cui i due colleghi si ritrovano completamente spogliati in una spiaggia per nudisti, balza all’occhio la diversa provenienza dei due uomini: l’Ovest si presenta muscoloso, rasato e ben dotato se messo a confronto con l’Est, meno curato e prestante.

L’intera vita di Martin Wegener è caratterizzata dal rimpianto, il rimpianto di essersi arreso nelle ricerche del collega e amico Früchtl, di non essere riuscito a resistere alle tentazioni sessuali di Magdalena, la cameriera del night club, causa della separazione con Karolina, e di non essere nato nella parte fortunata della Germania.

La sfera sessuale è presente quasi in maniera ossessiva nella vita di Wegener. La sola vibrazione del telefono, provocata da una chiamata della sua amata Karolina, genera un’erezione, la vista dei capezzoli di un’indagata gli fanno dimenticare il motivo del suo intervento, la prospettiva di un atto sessuale con Karolina lo rende incurante del pericolo che sta per correre.

Tutti questi sono atti mancati, mal cominciati e impossibilitati ad avere un seguito, che ben descrivono l’esistenza del protagonista. Così come i cittadini della DDR, anche Martin è standardizzato, non può godere di una bellezza personale e particolare come quella che era costituita dalla presenza di Karolina. Quando i due sono in procinto di avere un rapporto, la Stasi suona alla porta, rompendo definitivamente l’atmosfera che si era creata, per consegnare a Martin le prove che la sua Karolina frequenta un altro uomo, il suo collega scomparso Früchtl, per le cui ricerche Martin era arrivato a indagare contro la stessa Stasi.

In quel momento Martin capisce di essere solo, come tutti i suoi concittadini, intrappolato in quella gabbia sovietica, che è la DDR. Tradendo Karolina con una ragazza russa, Martin Wegener viene a sua volta tradito dalla sua compagna con l’unico baluardo che gli rimaneva nella lotta contro la DDR, il suo vecchio collega scomparso.

In questa distopia narrata da Simon Urban, a fare la differenza in maniera eclatante, è l’attenzione per il dettaglio. Piano D può essere una guida per chi, non avendo nozioni sulla realtà che era costituita dalla DDR, vuole lentamente farne la conoscenza. L’accuratezza, con cui l’autore ha costruito lo scenario dell’intero romanzo, fa compiere al lettore un salto indietro nella storia, una distopia creata alla perfezione, che mai fa sorgere dubbi sulla veridicità degli eventi.

Una particolare nota di merito va alla traduttrice italiana Roberta Gado, che inserisce a fondo libro un piccolo glossario contenente i termini più esotici presenti nel romanzo. Il risultato di tale operazione è un progressivo e sempre maggiore avvicinamento al contesto storico del romanzo compiuto dal lettore, che impara e riconosce come familiari termini come Stasi, Volkspolizei e Kombinat.

La scrittura di Piano D è attenta e ordinata. Come in ogni thriller che si rispetti, molteplici sono i colpi di scena, che pervadono la trama. Simon Urban riesce a inserire tutti questi aspetti in maniera magistrale senza mai sovrapporre troppi elementi, che potrebbero confondere il lettore.

La collocazione degli eventi in una Berlino ancora divisa dal muro nell’anno 2011 rende questo libro unico e appassionante in ognuno delle sue cinquecento e oltre pagine.

Simone Caforio 

Simon Urban, “Piano D”, (tit. originale “Plan D”) Keller Editore, 2017, 536 p. ISBN 9788899111287, € 19

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