Karl Kraus, In questa grande epoca

krausKarl Kraus

In questa grande epoca

a cura di Irene Fantappiè

con testo a fronte

Venezia, Marsilio editore, Gli anemoni, 2018, 101 pp.

(Di seguito un estratto dall’Introduzione)

La guerra si capisce solo comprendendo il modo in cui se ne parla. La guerra si evita solo smettendo di parlarne nel modo in cui al momento se ne parla: quello mistificatorio della stampa e degli scrittori che a essa si sono venduti. Di questo modo di parlare, dove l’aura idealizzante della cultura e quella falsamente oggettiva del dato tecnico si alleano per mascherare gli interessi economici del potere e per acquisire completo predominio sull’immaginazione dell’uomo, la guerra non è neppure la peggiore delle conseguenze.
Così si potrebbe formulare la chiave delle quaranta pagine irruenti, intricate, paradossali, che Kraus legge in pubblico il 19 novembre 1914 al Wiener Konzerthaus e pubblica un mese dopo sulla «Fackel», come numero monografico e di fatto come pamphlet. Da quindici anni l’ignoto figlio di un commerciante di carta boemo è un intellettuale celebre a Vienna, grazie alla rivista da lui stesso fondata e finanziata nonché strenuamente mantenuta indipendente dalle gerarchie economiche e politiche. Kraus – che fino a quel momento aveva pubblicato, a scadenza mensile o addirittura quindicinale, scritti sui temi più attuali qualsiasi essi fossero: dal rapporto tra morale e diritto alle rivendicazioni del sionismo, dalla ‘questione della donna’ a discussioni precipuamente letterarie – a partire dallo scoppio del conflitto armato, cioè dopo la fine del luglio 1914, si chiude in un silenzio pressoché totale.
In dieser großen Zeit è il testo con cui riprende la parola. Quando lo stila, a inizio novembre 1914, la situazione politica è esattamente agli antipodi delle previsioni sulle quali quasi tutti concordavano fino a qualche mese prima, e all’interno del testo si ritrovano le tracce di questo capovolgimento di prospettiva. Inaspettata è la situazione sul piano strategico: quella che doveva essere una vittoriosa guerra lampo contro la Serbia si è già trasformata in una sanguinosa guerra di trincea dall’esito incerto, e l’Austria-Ungheria si interroga sulla propria invincibilità, visto che ha già dovuto cedere la Galizia alla Russia; per converso, ricorda Kraus, gli eventi hanno già dato ragione a prese di posizione in precedenza circondate dal dileggio generale, come quelle di Paul von Hindenburg, il generale tedesco che aveva insistito sull’importanza di quelle paludi sul fronte orientale dove effettivamente, tra agosto e settembre 1914, si erano combattute le cruciali battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri; infine, l’impiego di tecnologie nuove ha rotto la continuità tra questa guerra e le precedenti, rendendola un evento nuovo, tecnologizzato, di massa, nonostante la stampa continui a raccontarla coi vecchi toni dell’impresa eroico-cavalleresca.
Inaspettata, quando Kraus inizia a scrivere, è soprattutto la dimensione che il conflitto ha già preso, sia per il numero di attori coinvolti sia per il grado di efferatezza raggiunto. Uno degli episodi che più colpisce l’opinione pubblica – l’autore vi accenna più volte – è il bombardamento della cattedrale di Reims. Il 22 settembre 1914 i tedeschi, ritenendo che i francesi impiegassero il monumento come postazione di osservazione a scopi militari, lo bombardano, causando ingenti danni tra i quali il crollo del soffitto e la rottura delle splendide vetrate. L’attacco alla cattedrale scatena una violenta propaganda da parte francese, che nega l’uso del campanile da parte dell’esercito, e, ricordando l’importanza storica e il valore artistico della costruzione, insiste su un topos dimostratosi di largo corso negli anni successivi: quello della «barbarie» dei tedeschi, che combatterebbero senza fermarsi davanti a nulla, mossi da mero desiderio di distruzione.
Per di più, Kraus scrive in un contesto – quello di lingua tedesca e specificamente austriaco – in cui il plauso alla guerra è unanime. Non soltanto da parte del potere politico, che ne trae occasione per operare una stretta autoritaria (si varano le leggi sulla censura, si mettono a tacere coloro che criticano l’approccio militarista e si sospendono le sedute del parlamento, che tornerà a riunirsi solo nel maggio del 1917), né soltanto da parte dei notabili dell’economia e del commercio (che fin da subito aumentano i propri introiti speculando sulle materie prime necessarie al rifornimento dell’esercito), ma anche da parte dell’ambiente culturale. In Germania, il 3 ottobre 1914 novantatré personalità del mondo delle arti e della ricerca universitaria firmano – senza neppure averlo letto, dimostrerà Kraus – un appello dai toni più che belligeranti, Aufruf auf die Kulturwelt [Appello al mondo della cultura]; scrittori come Thomas Mann e Gerhard Hauptmann pubblicano scritti che fomentano l’entusiasmo per la guerra. Anche gli intellettuali dell’Austria-Ungheria – da Hugo von Hofmannsthal a Hermann Bahr, da Rainer Maria Rilke a Franz Werfel a Robert Musil – si schierano a favore del conflitto e seppur in modi diversi conducono tutti, attraverso testi letterari e articoli di giornale, un’attiva propaganda nazionalista e militarista.
Nel 1914 Kraus è un conservatore, in buoni rapporti con l’aristocrazia e persino con alcuni alti ufficiali dell’esercito. Lungi dall’essere la voce di un rivoluzionario o di un pacifista, quella di Kraus in quel momento è l’unica a levarsi, in modo chiaro e a proprio rischio, contro l’entrata in guerra.

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