Romanzo e formazione

Enrico De Vivo: Il capitolo Romanzo e formazione è interessante perché vi si trova sia una piccola storia del romanzo e delle sue condanne da parte delle istituzioni, sia una microfenomenologia della lettura. In questo saggio parli esplicitamente dell’opposizione tra la formazione ufficiale e scolastica e quella postulata invece dai romanzi. L’individuo (sempre più raro) che si forma leggendo romanzi si trova sul versante opposto a quello di chi si forma soltanto con concetti e nozioni. Eppure, nella conclusione del saggio, quando fai riferimento alla necessità della lettura dei romanzi per imparare ad affrontare «l’irripetibilità della vita», mi è sembrato di leggere la possibilità di un incontro tra cultura istituzionale e cultura romanzesca (se così posso definirla).

Walter Nardon: Che per secoli la lettura di romanzi non sia stata compresa nel curriculum ufficiale dei migliori corsi di studio è una cosa nota: la possiamo ancora verificare. In effetti, fino ad anni recenti in ambito scolastico i romanzi sono stati promossi con molta cautela nel timore che queste letture potessero togliere tempo e risorse allo studio concettuale. Il richiamo comune era: «Smettila di leggere romanzi e mettiti a studiare». Penso che questo atteggiamento sia ancora presente, sia pure in minima parte. Il rapporto difficile, perfino antagonistico, fra lettura del romanzo e insegnamento ha raggiunto nel corso della storia dimensioni clamorose: alcuni dei maggiori personaggi di questo genere, Don Chisciotte e Madame Bovary su tutti, sono caratterizzati proprio come vittime della passione romanzesca che li ha perduti dentro libri che non avrebbero dovuto leggere; ma com’è noto si può risalire più indietro, fino a Paolo e Francesca, che si perdono a causa della lettura di un romanzo che funge da mediatore e li spinge a rivelarsi l’uno all’altra. Il romanzo si è trovato ad affrontare accuse di ogni tipo. Su questi temi ci sono alcuni saggi molto efficaci, penso a quelli di Walter Siti e di Adriano Prosperi, come quello di Antonio Faeti (quest’ultimo su romanzo e scuola), compresi ne La cultura del romanzo curato da Franco Moretti. Ad ogni modo, a me interessa il romanzo come avventura e conoscenza. Credo che leggendo il racconto di una vicenda particolare si diventi più sensibili all’irripetibilità della vita. Seguiamo con tanta partecipazione le peripezie del cane Buck nel Richiamo della foresta perché sappiamo che ogni momento è prezioso e irripetibile, che appunto la sua esistenza, come del resto la nostra, è preziosa e irripetibile. Per questo soffriamo per le ingiustizie che subisce: perché sono ostacoli posti alla realizzazione di sé, gli stessi che anche noi dobbiamo affrontare. Così soffriamo per i molti diversivi che tengono lontano Tom Jones da Sophia nel Tom Jones di Fielding, perché, per quanto bene possano andare le cose, non vediamo l’ora che comincino ad andare meglio. Credo che la promozione di questa sensibilità per il carattere irripetibile della vita dovrebbe far parte di qualsiasi corredo formativo.

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