Si mangiano una minestra di cavolo e sentono Brahms

Michele Mari
intervistato da Carlo Mazza Galanti
su il Tascabile

Per fare grandi opere artistiche devi disprezzare il mondo?

Non lo so, devi essere uno straniero, devi essere un marziano. Io mi sento un marziano. Quando vedo un mondo fatto di telefonini, di iPhone, di iPad, di internet, di Facebook, impazzisco. Sono uno che cambia qualcosa solo quando è inevitabile, quando l’oggetto collassa fisicamente. Io sono uno che se va al supermercato a comprare uno shampoo o un detersivo per la lavatrice e vede scritto “nuova formula” non lo compra. Siamo andati avanti cinquant’anni col Dash, perché mi devi dire nuova formula, non compro più il Dash, compro il Dixan. La Volkswagen Polo aveva una bella forma rigorosa, l’hanno rifatta e introiata sette volte perché ogni sei mesi deve esserci un nuovo modello. Ma perché? Se dipendesse da me ci sarebbero ancora le Volvo anni Settanta. Anzi, dipendesse da me, probabilmente saremmo ancora all’età della ruota.

Con lo scrittore marziano che si pone fuori dalla società e la fustiga siamo di nuovo in piena estetica romantica-decadente. E la curiosità di questa società che però poi lo premia, l’artista arrabbiato.

Ma io non è che la fustighi per fare il byroniano. Io mi difendo, nel senso che vorrei vivere in una specie di bunker come nel racconto La casa di Gadda, quella fortezza col filo spinato… Sono molto a disagio sul piano politico-morale e infatti mi astengo da qualsiasi dibattito, da qualsiasi pronunciamento, perché in questo periodo in cui si parla di muri e non muri io istintivamente solo alla parola muro godo. Non perché penso al muro in Messico o nel canale di Sicilia, penso a The Wall intorno a me. Per me muro è tutto ciò che mi separa dagli altri. A me solo la parola “social” fa vomitare. Io sogno un mondo di gente silenziosa triste e implosa, un mondo autistico dove non ci siano happy hour, feste di laurea, feste di compleanno, feste aziendali, cazzeggi, risse, ubriachi. Fondamentalmente come modello di vita ho la DDR di Honecker, un mondo depresso dove tutti hanno la Trabant o la bici, dove non ci sono SUV, non ci sono stronzi, dove tutti i depressi tornano a casa la sera alle sei, si chiudono dentro col coprifuoco, si mangiano una minestra di cavolo e sentono Brahms. Mi sembra la cosa più vicina alla mia idea di paradiso.

Un paradiso recluso.

Sono fondamentalmente pessimista. La penso come Machiavelli, ovvero che l’uomo è una bestia e vada solo preso a sprangate. Allora preferisco che le sprangate arrivino dallo stato piuttosto che dalla mafia o dal privato col SUV che dice “Chi se ne frega posteggio nel posto dei disabili”. Quando è venuto giù il muro di Berlino io l’ho vissuta male, molto male, sono stato uno degli unici tra i miei coetanei ex sessantottini che anziché esultare ha detto mah, qui cominciano i veri problemi.

Leggi l’intervista Tutti gli scrittori di Michele Mari su il Tascabile

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