“Mario e il mago”. Thomas Mann e Luchino Visconti raccontano l’Italia fascista

Una mostra e un convegno alla Casa di Goethe (Roma, 14 febbraio – 26 aprile 2015)

Daria Biagi

La copertina della pubblicazione curata da Elisabeth Galvan in occasione della mostra

La copertina della pubblicazione curata da Elisabeth Galvan in occasione della mostra

È l’agosto del 1929 quando Thomas Mann, in pausa forzata dal lavoro a Giuseppe e i suoi fratelli, compone il racconto Mario e il mago. Moglie e figli lo hanno trascinato in vacanza a Rauschen, sul mar Baltico, impedendogli di portare con sé i volumi di cui ha bisogno per proseguire con il suo romanzo più impegnativo. Non gli resta dunque che dedicarsi a un lavoro più leggero, «campato in aria» – come lo definisce lui stesso – eppure destinato a diventare, tra tutte le sue opere, quella che avrebbe più scontentato e diviso i lettori italiani.

Mario und der Zauberer narra infatti una tragica esperienza di “viaggio in Italia” (Ein tragisches Reiseerlebnis è il sottotitolo del racconto, pubblicato in tedesco nel 1930) e si ispira a fatti accaduti alla famiglia Mann nell’estate del 1926, durante una vacanza a Forte dei Marmi. La cittadina, nel racconto appena mascherata dietro il nome fittizio di Torre di Venere, è avvolta in un’atmosfera afosa e vagamente xenofoba, di cui i Mann si ritrovano a fare le spese: prima i due figli piccoli vengono accusati di attaccare la pertosse «per via acustica» agli altri ospiti della pensione dove alloggiano; poi la bambina, di appena sette anni, viene multata per aver fatto il bagno in mare senza costume. Per dimenticare questi sgradevoli contrattempi, i genitori portano i figli a vedere uno spettacolo di magia, dove un illusionista – chiamato nel racconto mago Cipolla – fa agire gli spettatori secondo i suoi ordini. Un giovane cameriere, Mario, viene ipnotizzato dal mago, lo bacia credendo di avere di fronte la ragazza che ama e poi, in preda alla vergogna, gli spara un colpo di pistola sotto gli occhi atterriti degli altri spettatori, che per tutto il tempo sono rimasti come paralizzati in sala. È l’atmosfera tesa di questa Versilia anni Venti, in bilico tra le prime aperture al turismo di massa e le pressioni crescenti del fascismo, ad essere ricreata nella mostra alla casa di Goethe, ideata e curata da Elisabeth Galvan, docente di Letteratura Tedesca all’Orientale di Napoli, con la collaborazione scientifica di Simone Costagli.

Senza uscire dal perimetro del racconto, la mostra ne sviluppa ogni singolo elemento, lasciando che a illustrare la profondità dell’opera siano fotografie e documenti del tempo accompagnati da pannelli esplicativi in italiano e tedesco. Le quattro sale della mostra espandono così lo spazio del testo in altrettante dimensioni, concentrandosi prima sul contesto storico e sulla figura dell’autore, poi sulla ricezione del racconto e infine sulle riscritture cinematografiche e musicali cui esso ha dato origine.

Il primo elemento ricostruito dalla mostra è l’ambiente in cui si svolge la storia: nella sala intitolata Da Monaco a Torre di Venere il visitatore viene condotto a passeggio per la Versilia del 1926, nelle strade dove si trovavano la pensione Regina (ribattezzata nel racconto “pensione Eleonora”), la locale Casa del Fascio e il teatro in cui avrebbe avuto luogo l’esibizione del mago. Presto nota in Germania come Künstlerkolonie, questa Forte dei Marmi ospitava artisti e intellettuali monacensi, tra cui i coniugi Thomas e Katja Mann – che vediamo immortalati in costume da bagno con i due figli minori, Elisabeth e Michael, in una foto scattata a Rauschen. Le notizie sul loro soggiorno toscano provengono dalle lettere che Mann stesso scrive in questo periodo a Hofmannsthal e a Hopkins, anch’esse esposte in originale e traduzione nelle teche della mostra. Proseguendo verso la seconda sala (Un appello alla ragione) si entra invece nel laboratorio letterario di Thomas Mann, che a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, dopo una lunga stagione da “impolitico”, si rivolge ormai ai suoi concittadini tedeschi difendendo apertamente i valori dell’umanesimo contro l’attacco nazionalsocialista. È il Mann del Discorso intorno a Lessing (presentato nella traduzione di Lavinia Mazzucchetti che uscì sul «Convegno» di Ferrieri) e dell’appassionata difesa di Bruno Frank, che nel 1928 aveva sollevato un putiferio polemico con la sua Politische Novelle, in cui si descrivevano le manifestazioni di massa dell’Italia fascista.

Thomas Mann durante il discorso Ein Appell an die Vernunft, pronunciato a Berlino il 17 ottobre 1930 dopo il successo elettorale della NSDAP. Il pubblico, che dà le spalle allo scrittore, viene distratto dall'irruzione di alcuni militanti nazionalsocialisti che hanno organizzato un'azione di disturbo.

Thomas Mann durante il discorso “Ein Appell an die Vernunft”, pronunciato a Berlino il 17 ottobre 1930 dopo il successo elettorale della NSDAP. Il pubblico, che dà le spalle allo scrittore, viene distratto dall’irruzione di alcuni militanti nazionalsocialisti che hanno organizzato un’azione di disturbo.

In questo clima si inserisce anche la composizione di Mario e il mago, di cui la sala ricostruisce la genesi mostrando le stesure preparatorie, la prima edizione apparsa sui «Velhagen und Klasings Monatsheften» e infine l’edizione in volume, pubblicata dall’editore francofortese Fischer. Emerge con forza come quella di Mann non sia una requisitoria contro l’Italia, ma una riflessione rivolta prima di tutto ai tedeschi, che a suo avviso si sentono erroneamente a riparo dalle degenerazioni a cui sta andando incontro la politica italiana. Tra le lettere esposte colpisce quella che Mann scriverà molti anni dopo, da Pacific Palisades, al germanista americano Henry C. Hatfield, autore di uno studio su Mario e il mago:

Ho ancora un debole per questa storia. Al tempo in cui la scrissi, non credevo alla possibilità di un Cipolla tedesco. Era una sopravvalutazione patriottica del mio paese. Già il modo irritato con cui la critica accolse il racconto avrebbe dovuto farmi capire in che direzione si stava andando, e cosa poteva accadere anche nel ‘più colto’ dei popoli, anzi proprio nel ‘più colto’.

Questo Cipolla che Mann riteneva impensabile in Germania è naturalmente il controverso protagonista del racconto, Il mago a cui è dedicata la terza sala della mostra. La vera identità dell’ipnotizzatore, che per i suoi modi autoritari e la sua capacità di manipolare la volontà altrui faceva pensare a Mussolini o a d’Annunzio, è stata svelata solo intorno agli anni Sessanta: si tratta di Cesare Gabrielli, artista notissimo al tempo non solo per i suoi spettacoli teatrali, ma anche per aver partecipato all’impresa di Fiume e alla Marcia su Roma. La ricostruzione della figura biografica di Gabrielli, del quale restano rare foto, una fugace apparizione nel film I bambini ci guardano di Vittorio De Sica (1943) e alcune testimonianze giornalistiche (tra cui un articolo di Dino Buzzati, che ne scrisse sul «Corriere della Sera»), si trasforma in breve in una riflessione più ampia sulla capacità di manovrare la volontà altrui. È un tema che nell’epoca della società di massa riecheggia negli studi di pensatori come Gustave Le Bon e Sigmund Freud – di cui i pannelli esposti nella sala riportano alcune citazioni – e su cui anche Mann si sofferma nel saggio Bruder Hitler (1939). Il confronto tra il saggio e il racconto fa uscire allo scoperto un tema che in Mario e il mago va cercato fra le righe: quello dell’ «affinità molto imbarazzante» tra l’arte dello scrittore – e di Mann in prima persona, chiamato in famiglia Der Zauberer – e di chi manipola le folle, dei politici come Hitler, capaci di incantare con gli stessi strumenti dei narratori.

L’ultima sala della mostra (Gli italiani e il mago: Visconti, Mannino e gli altri) segue infine le sorti di Mario e il mago in Italia, dalle prime risentite recensioni fino all’entusiasmo con cui, nel 1956, venne accolto alla Scala di Milano il balletto omonimo realizzato da Luchino Visconti con le musiche di Franco Mannino. La svolta nella ricezione del racconto è sancita da un articolo che Lavinia Mazzucchetti, amica e traduttrice di Mann per Mondadori, pubblica nel 1945 sulla rivista «La Lettura». Facendovi riprodurre una dedica di pugno di Mann in cui si legge Es lebe Italien, «Viva l’Italia», Mazzucchetti tronca una volta per tutte le polemiche sul presunto spirito anti-italiano dell’opera, causate, a suo parere, solo dalla «stolida suscettibilità nazionale». Le lettere scambiate tra Mann, la traduttrice e l’editore, provenienti dal Buddenbookhaus di Lubecca, dell’Archivio Mann di Zurigo e dalla Fondazione Mondadori, permettono di seguire passo dopo passo le vicende legate al racconto e alle sue trasposizioni.

Bozzetto di Lila De Nobili per il personaggio di Mario

Bozzetto di Lila De Nobili per il personaggio di Mario

Nella sezione dedicata all’allestimento teatrale sono molti i documenti che il pubblico ha la possibilità di vedere per la prima volta: è il caso del contratto per i diritti di adattamento del racconto stipulato fra Mann, Visconti e Mannino, o del telegramma (conservato presso la Fondazione Gramsci di Roma) in cui Erika Mann si congratula con il regista per la riuscita dello spettacolo, proponendogli in pari tempo di dirigere una versione cinematografica del Felix Krull in Germania. Le musiche composte da Mannino fanno invece da colonna sonora al video che Elisabeth Galvan ha elaborato riordinando le foto di scena dello spettacolo, secondo l’ordine desumibile dal libretto di Visconti. Del balletto è possibile inoltre ammirare le locandine, il programma di sala e soprattutto gli splendidi bozzetti per i costumi, che furono realizzati, su esplicita richiesta di Visconti, dalla scenografa Lila De Nobili.

A dar vita ai materiali esposti alla Casa di Goethe ha poi contribuito, oltre all’intelligente allestimento, il convegno Mario e il mago/Mario und der Zauberer. La storia e le sue trasposizioni, tenutosi il 26 marzo nella stessa sede. La giornata di studi, in linea con lo spirito della mostra, ha avuto per oggetto il solo racconto, su cui sono stati portati a convergere gli sguardi di studiosi di diverse discipline. Con una formula originale rispetto ai tradizionali convegni accademici, infatti, gli organizzatori hanno lasciato che ad analizzare il testo fossero, ciascuno secondo la propria prospettiva, storici, italianisti, studiosi di cinema e di arti performative, mentre germanisti ed esperti di Mann contribuivano, dalla platea, ad animare una discussione che ha subito assunto un carattere decisamente vivace.

Il convegno è stato aperto dalla relazione di Alessandra Tarquini, docente di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma, che ha ricostruito il clima politico della Versilia nel periodo in cui vi soggiornò la famiglia Mann. A metà degli anni Venti la Versilia era già una delle zone più fasciste d’Italia, e fascista secondo il modello “strapaesano” dei Maccari e dei Malaparte: Mann ne intuisce immediatamente gli elementi di regressione, associati per lui a un ambiguo potere della parola e a una progressiva estetizzazione della vita politica. Il problema delle implicazioni politiche del racconto, che fu letto da subito come una critica al fascismo nonostante le tiepide conferme di Mann (nel testo non ci sarebbero che «piccoli riverberi e allusioni politiche all’attualità», scriveva nel 1932 al critico ceco Bedrich Fučik), mostra di non aver ancora esaurito il suo potenziale polemico: nel corso della discussione sono emersi ad esempio pareri discordanti su come interpretare il colpo di pistola che pone fine alla vicenda. Fino a che punto è lecito fidarsi di Mann, che faceva risalire quest’invenzione a un commento della figlia Erika («Non mi sarei stupita se quel giovanotto lo avesse ammazzato!»), e negare che il gesto di Mario sia anche un’allusione agli attentati contro Mussolini, tre solo nel 1926, di cui Mann era certamente a conoscenza?

Di taglio più specificamente letterario è stato invece l’intervento di Raffaele Donnarumma (Università di Pisa), che attraverso un confronto tra il racconto di Mann e la novella pirandelliana C’è qualcuno che ride ha fatto emergere l’importanza, in Mario e il mago, della posizione del narratore, un narratore critico eppure coinvolto, persino sedotto dalla situazione che descrive. Tra gli anni Venti e Trenta la riflessione di Mann sulla crisi della volontà si svilupperebbe dunque lungo due filoni paralleli ma non sovrapponibili: da un lato come riflessione critico-teorica (in particolare in saggi come La posizione di Freud nella storia dello spirito), dall’altro come riflessione “narrativa”, che, pur giungendo alle stesse conclusioni per quanto riguarda lo scacco che il nazifascismo muove alla razionalità occidentale, non si porrebbe al di sopra delle parti, ma si interrogherebbe sul perché anche coloro che comprendono siano in fondo conniventi, incapaci di reazione – proprio come gli spettatori del mago Cipolla che, per quanto infastiditi dalla messinscena, risultano del tutto incapaci di lasciare la sala.

A chiusura della mattinata, l’intervento di Arno Schneider (Università di Bolzano) ha infine analizzato le cause dell’accidentato percorso di ricezione di Mario e il mago nel nostro paese. Scarsamente interessati all’opera di Mann almeno fino agli anni Trenta del Novecento, i letterati italiani avrebbero probabilmente passato sotto silenzio anche questo racconto se lo scrittore non avesse ricevuto il Nobel proprio nel 1929. Una voce che con tanta autorevolezza attaccava l’Italia non poteva essere facilmente ignorata, e così, all’uscita del racconto in Germania, dalle colonne di quotidiani più o meno apertamente fascisti come «Augustea» o «La gazzetta del popolo» si alzarono le voci risentite di Enrico Rocca, Bonaventura Tecchi e Francesco Bruno. La critica mossa a Mann – e per sineddoche a tutti quei «benedetti letterati tedeschi» che avrebbero fatto meglio a «starsene a casa loro» – faceva perno sulla presunta incapacità degli scrittori settentrionali a comprendere la cultura “del sud”, da loro spicciativamente bollata come indolente e superstiziosa. Del tutto indifferenti agli aspetti letterari del racconto, i tre recensori sovrapponevano autore e narratore, prendevano il racconto di Mann come un resoconto autobiografico e si affrettavano a respingerne gli elementi critici come pregiudizialmente anti-italiani. Mann per primo, del resto, non aveva nascosto a se stesso le ostilità che un racconto del genere poteva suscitare, se scrivendo a Lavinia Mazzucchetti nel febbraio del 1930 definiva Mario e il mago «proprio del tutto impossibile per l’Italia» (für Italien wirklich ganz unmöglich). Questo meccanismo di censura indiretta spiega così la tardiva ricezione del racconto, che arriva nel nostro paese soltanto nel 1945 in due diverse traduzioni, entrambe non autorizzate: quella di Giorgio Zampa che esce presso l’editore Barbèra di Firenze, e quella di Anna Bovero, pubblicata dalla casa editrice Eclettica con il titolo L’incantatore. Una tragica avventura di viaggio.

Thomas Mann con Lavinia Mazzucchetti e gli editori Arnoldo e Alberto Mondadori    © Federico Patellani - Regione Lombardia / Museo di Fotografia Contemporanea

Thomas Mann con Lavinia Mazzucchetti e gli editori Arnoldo e Alberto Mondadori
© Federico Patellani – Regione Lombardia / Museo di Fotografia Contemporanea

Dopo le relazioni dedicate alla storia, la sessione pomeridiana del convegno si è rivolta alle sue trasposizioni. Dal dopoguerra in poi, infatti, Mario e il mago sembra conoscere una nuova vita, viene letto come una premonizione della Resistenza e riadattato per il teatro e per il cinema da artisti italiani e tedeschi: gli interventi di Marco Pistoia (Università di Salerno) e Silvia Carandini (Sapienza Università di Roma) hanno preso in esame il balletto di Visconti e Mannino, mentre Yahya Elsaghe (Università di Berna) si è concentrato sulla versione cinematografica realizzata da Klaus Maria Brandauer nel 1994.

"Mario e il mago" in cartellone alla Scala di Milano

“Mario e il mago” in cartellone alla Scala di Milano

L’azione scenica in due atti che debuttò alla Scala di Milano il 25 febbraio 1956 è da inserire nel filone della passione viscontiana per Mann e per la letteratura tedesca in generale: già negli anni Quaranta il regista aveva progettato di adattare per lo schermo Disordine e dolore precoce e Cane e padrone, trovandosi poi costretto in entrambi i casi a rinunciarvi. L’idea di un balletto tratto da Mario e il mago nasce probabilmente anche sulla scia della cinematografia tedesca della prima metà del secolo, popolata di maghi, mostri e illusionisti di varia natura; e si concretizza rapidamente nell’agosto del 1952, nella villa di di Ischia dove Visconti e Mannino trascorrono l’estate. Il successo dello spettacolo, testimoniato dalle recensioni esposte alla mostra, fu dovuto senza dubbio al fatto che vi contribuirono alcuni dei migliori talenti teatrali del tempo, che resero la rappresentazione una sorta di opera d’arte totale: oltre alla regia di Visconti e alle musiche di Mannino, infatti, lo spettacolo poté vantare le coreografie di Léonide Massine e i costumi di Lila De Nobili, nonché l’interpretazione di una giovanissima e ancora sconosciuta Carla Fracci.

Le relazioni dedicate alle “riscritture” del racconto hanno messo in luce un tratto che accomuna il balletto di Visconti e il film di Brandauer: entrambe le opere, verosimilmente in maniera del tutto irrelata, enfatizzano infatti l’elemento femminile potenziando il personaggio di Silvestra, la fanciulla amata da Mario che nel racconto originale viene appena nominata. Elsaghe evidenzia come in realtà la riflessione sul femminile sia fondamentale già nel racconto di Mann, il quale negli anni Venti si interessa agli studi di Bachofen sul matriarcato, che lo portano a intravedere una correlazione tra elemento materno e dinamiche di regressione. Nel film di Brandauer il monopolio della forza passa dichiaratamente in mano alle donne: sempre più alte e più imponenti degli uomini, sono loro che impugnano le armi, ed è infatti Silvestra, nella scena finale, a uccidere per errore Mario. Brandauer, che nel film compare anche come attore nel ruolo di Cipolla, interpreta dunque molto liberamente il testo di partenza, privandolo del finale liberatorio che la violenta reazione di Mario faceva scattare. La sua scelta registica finisce inoltre – come viene fatto notare nel corso della discussione – per occultare l’elemento che al tempo doveva risultare più scandaloso, ovvero il bacio tra i due uomini, Mario e Cipolla: resta incerto il perché della soluzione adottata dal regista, che avrebbe deciso di modificare il finale del film solo nell’ultima versione della sceneggiatura.

Una foto di scena del balletto "Mario e il mago"

Una foto di scena del balletto “Mario e il mago”

Nel testimoniare la vitalità del racconto, le riscritture ispirate a Mario e il mago sembrano in ogni caso volerne conservare il lato fastidioso, di minaccia, eventualmente traslandolo su altri piani. Nel testo rimane a tutt’oggi avvertibile un elemento di critica, anche a giudicare dall’enfasi con cui nel corso della giornata si è continuato a scagionare Mann dall’accusa di anti-italianità: gli studiosi intervenuti hanno del resto rilevato più volte come a disturbare i critici del tempo non fossero tanto le vere o presunte allusioni a Mussolini, quanto la spietata riproduzione di un’atmosfera, che anche a distanza di quasi un secolo non sembra del tutto dissolta. La descrizione della spiaggia in Versilia, piena di mamme iperprotettive e bambini precocemente ideologizzati, dà molto più fastidio (ora come allora) di qualsiasi parodia mussoliniana, su cui a ragione lo scrittore non amava insistere, ben sapendo che il tempo avrebbe cancellato quelle tracce per far emergere le inquietudini più profonde del racconto, quelle con cui l’Italia, e forse anche la Germania, non ha smesso mai di fare i conti.

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