Aldo Busi traduce Goethe

[Dal dialogo tra Werther e Alberto sul suicidio, lettera del 12 agosto 1771]

«Mi concederai,» disse Alberto, «che certe azioni rimangono riprovevoli qualunque sia il motivo che le ha messe in moto.»

Feci spallucce e gli diedi ragione. «Però, caro mio,» continuai, «anche qui esistono delle eccezioni. È vero che rubare è un peccato, ma l’individuo che va a rubare per salvare sé e i suoi da un’imminente morte per fame, si merita pietà o castigo? Chi oserà mai scagliare la prima pietra contro un marito che, in un accesso di gelosia, sacrifichi la sua donna adultera e il suo ignobile seduttore? contro la ragazza che in un momento di smarrimento passionale si perda negli incontenibili piaceri dell’amore? Persino le nostre stesse leggi, così insensibili e pedanti, si commuovono e perdonano.»

«Ma questa è una cosa completamente diversa,» replicò Alberto, «perché un uomo trascinato dalle sue passioni perde ogni controllo e deve essere considerato come un ubriaco, un pazzo.»

«Ah, voi, gente così ragionevole!» gridai ridendo. «Passione! Alcolismo! Pazzia! Come ve ne state comodamente rilassati, voi, così senza essere coinvolti, voi uomini morali! Strapazzate l’ubriacone, disprezzate colui che ha perduto la ragione, passate via come il prete e come il fariseo, ringraziate Dio che non vi ha fatto come uno di loro. Io mi sono ubriacato più di una volta, le mie passioni non sono state molto lontane dalla pazzia e non me ne rincresce, perché nel mio piccolo sono riuscito a capire che tutti gli uomini straordinari, che hanno fatto qualcosa di grande, qualcosa che apparentemente sembrava impossibile, sono stati da sempre tacciati da ubriachi e da pazzi. E anche nella vita di tutti i giorni non se ne può più di sentir gridare dietro a qualcuno che abbia fatto anche solo qualcosa di appena libero, nobile, inatteso: quello è ubriaco, è matto! Vergognatevi, voi sobri! Vergognatevi, voi sapenti!»

«Ecco che ci risiamo con i tuoi soliti grilli,» disse Alberto, «tu la fai sempre più grossa di quel che è, e in questo almeno hai torto marcio, nel paragonare il suicidio, che è questo di cui si sta parlando ora, a grandi imprese.»

Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther, traduzione di Aldo Busi, Milano, Garzanti, 1983, pp. 44-45

This entry was posted in LT.it and tagged , , . Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *