Poesie di Johannes Bobrowski

Davide Racca, Wachtelschlag, 2013[Davide Racca ha tradotto una scelta di poesie di Johannes Bobrowski. Il volume è uscito per Di Felice nella collana I poeti di Smerilliana, con testo a fronte. L’illustrazione di copertina – riprodotta qui sopra – è intitolata Der Wachtelschlag ed è opera dello stesso Racca, che ringrazio per averci permesso di presentare sul nostro blog la traduzione della poesia omonima. Da: Johannes Bobrowski, Poesie, cura e traduzione di Davide Racca, Di Felice Edizioni, 2013. M.S.]

Der Wachtelschlag 

Aus der fliegende Finsternis,
tief,
eh die Gewässer
tӧnen, Regen
oder der Fluß,
spät für mich, einen Mann,
der denkt, die Sense zu klopfen,

Wachtel, ich hӧrte gern
deinen Ruf,
einfach, er trat
vor die Dämmerung, „Lobet
Gott“ oder „Flieg ich fort“, ich geh
über den Hügel, ich stoß
ab vom Ufer, ich komm
an bei den Weiden, ich trete
über die Schwelle,

„Lobet Gott“
sag ich und bring
hin die Nacht ohne Wiederkehr
eines Traums,
den ich erkenne
an einem Licht wie Salz,
gebrochen und bläulich:

Pappelreihen, die Kutsche
auf der Gronower Chaussee,
Pan Thadeusz läßt
einen Handschuh fallen
und tritt darauf, und die Pferde
werfen die Kӧpfe auf, ehmals
der Pole legte die Lanze
seinem Tier
an das aufgerichtete Ohr,
über den Jenissej
herüber
die Steine reden, mit runden
Mündern die steinernen Weiber
über der Steppe, vom Fluß
Sbrutsch die viergesichtigen
Holzpfähle, über den Kurganen
schreien die Vӧgel, Laima
sitzt, eine Gӧttin, im offenen
Glockenstuhl, auf dem weißen
Steinernen Fuß.

Hier
um den Stein,
der den Acker beschwert,
einer Grille
spräche ich nach, auf dem Steingrund,
ich käm in ein Haus,
schwärzlich, aus Holz, mit steilen
Dächern, ein Zelt, für Reiter
errichtet über roten
Bildern, dem Gold und großen
Gesichtern, über
den Kreuzen, ewig in Nebeln
aber, ehe der Regen
herzieht, der Fluß
tӧnt, „Flieg ich fort“
hӧrte ich gerne, einfach
gerufen im Finsternis in
die Woge Schweigen, die aufrauscht,
Tiefe hinter sich, raumlos,
Leere, ich hӧrte
aus der Finsternis
„Lobet Gott“.

– – – – – – – – – – – – – –

Il cantodellaquaglia

Dall’aleggiante tenebra
profonda,
prima che le acque
risuonino, pioggia
o il fiume,
tardi per me, un uomo
che pensa di battere la falce,

quaglia, mi piaceva ascoltare
il tuo richiamo
chiaro che avanzava
prima del tramonto, “Lodate
Dio” o “Volo via”, io vado
oltre la collina, mi scosto
dalla riva, arrivo
presso i salici, oltrepasso
la soglia,

“Lodate Dio”
dico e porto
di lì la notte di un sogno
senza ritorno
che riconosco
da una luce come sale
franta e bluastra:

filiera di pioppi, la carrozza
sulla strada di Gronower,
Pan Tadeusz fa
cadere un guanto
e lo calpesta, e i cavalli
levano le teste, un tempo
il polacco poneva la lancia
sull’orecchio ritto
del suo animale,
da questa parte
sullo Enisej
parlano le pietre, le femmine
di pietra con bocche tornite
oltre la steppa, dal fiume Zbruč
i pali di legno dai quattro
volti, al di sopra dei kurgan
urlano gli uccelli, siede
Laima, una dea, sul ceppo
aperto della campana, sul bianco
piede di pietra.

Qui
intorno alla pietra
che grava il campo
rifarei
il verso di un grillo sul fondo pietroso,
verrei in una casa
di legno, nerastra, con erti
tetti, una tenda montata
per cavalieri su rosse
effigi, sull’oro e grandi
volti, sulle
croci perenni nella nebbia
ma, prima che si approssimi
la pioggia, risuona
il fiume, “Volo via”
ascolterei con piacere, semplicemente
chiamato nella tenebra
nell’onda di silenzio che sopra mormora,
e profondità dietro di sé, sospeso
vuoto, io ascolterei
dalla tenebra
“Lodate Dio”.

– – – – – – – – – – – – –

La quaglia attraversa il paesaggio sarmatico con un ammonimento, “Lodate Dio”, e un congedo, “Volo via”. Qui, le strade battute dalle campagne napoleoniche, tracciate con filiere di pioppi, incontrano la vicenda dell’eroe del poema epico “Pan Tadeusz”, del poeta polacco a. B. Mickiewicz (1798-1855), in funzione di guerriero-partigiano per la libertà del proprio popolo. La visione a “volo di uccello” sul vasto territorio sarmatico continua poi attraverso il fiume siberiano Enisej e le colossali sculture femminili in pietra di epoca sciito-sarmatica; attraverso il fiume Zbruč, che nel medioevo, e ancora nel 1921-1939, segnava il confine russo con la Polonia, e le colonne-pali monumentali, di arte pagano-slava del decimo secolo, culminanti con quattro volti di divinità scolpite in un’unica testa; attraverso i kurgan, grandi tombe a tumulo di età sciito-sarmatica, che nelle steppe avevano anche funzione di orientamento per i viaggiatori; e, infine, attraverso l’immagine di Laima, divinità lettone-lituana del destino. L’ultimo riferimento e alle chiese ortodosse in legno, con tetti spioventi come tende, all’interno delle quali, nell’antica Russia, i cavalieri prima delle battaglie andavano a pregare. Qui il soldato Bobrowski si imbatte nell’iconostasi. [Nota attinta da Eberhard Haufe, in Johannes Bobrowski, Gesammelte Werke, Bd. 5, Erlauterungen der Gedichte und derGedichte aus dem Nachlas (Stuttgart, 1998)]

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