Christa Wolf, La città degli angeli (III)

[Ancora dal n. 65-66 di Allegoria. Immagine via flowerville. M.S.]

Massimiliano Tortora

«La stesura del mio verbale è stata quanto più scrupolosa possibile. Ogni parola del mio resoconto è esatta. Ma tutte le frasi nel loro insieme non spiegano un bel niente». Con queste parole inizia il resoconto di un esperimento scientifico – la trasformazione, per un periodo determinato, di una donna in uomo – attentamente riportato dalla narratrice-protagonista di Autoesperimento. Il racconto è stato scritto nel 1972, quando il percorso di affrancamento di Christa Wolf dai principi del realismo socialista si era ormai pienamente realizzato dopo i primi timidi tentativi compiuti all’inizio degli anni Sessanta (nel breve racconto Martedì 27 settembre ad esempio, che è appunto del 1960), fino alle soluzioni più decise di Il cielo diviso (1963), Riflessioni su Christa T. (1968) e soprattutto Unter den Linden, testo del 1969 che dà il titolo alla raccolta di racconti in cui è incluso anche Autoesperimento. Il distacco dall’estetica socialista costituisce senz’altro un atto politico, tanto più evidente oggi, in cui è facile, retrospettivamente, individuare una coincidenza di date tra l’avvio di una nuova stagione narrativa della Wolf e l’inizio della sua dissidenza politica. Ma l’espulsione dell’ottimismo socialista dall’opera narrativa è anche strettamente intrecciata, tanto da esserne inseparabile, a un rifiuto tutto letterario: quello di un concetto di realismo prettamente contenutista, in base al quale sarebbe sufficiente riportare il mondo così come si vede, esaltandone naturalmente gli aspetti più edificanti, per giungere al nocciolo della verità. Al contrario, ribatte la Wolf non senza dover fronteggiare la censura, i fatti nudi ed essenziali «non spiegano un bel niente». Sono i termini di una polemica tutta anni Cinquanta, che interessò anche l’Italia, e che Calvino, tra gli altri, risolse in poche battute di un immaginario dialogo con Cassola, in un saggio poi confluito in Una pietra sopra. Accertato che la realtà sociale riesce ad essere fotografata in maniera più precisa da discipline che dispongono di strumenti ben più agguerriti di quelli maneggiati dal letterato, Calvino non esita a riconoscere al racconto e alla narrativa una loro propria supremazia: «Il romanzo non può pretendere d’informarci su come è fatto il mondo; deve e può scoprire però il modo, i mille, i centomila nuovi modi in cui si configura il nostro inserimento nel mondo, esprimere via via le nuove situazioni esistenziali». Su questa querelle che oggi appare, ed è, anacronistica, poggia l’asse portante della ricerca romanzesca di Christa Wolf: una ricerca che trova il suo punto di approdo, e non solo perché il libro è stato scritto poco prima della morte, in La città degli angeli. Continua a leggere in pdf

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