Cesare Cases, Scegliendo e scartando

Cases-Scegliendo e scartando-Copertina

Cesare Cases

Scegliendo e scartando
Pareri di lettura

a cura di Michele Sisto

Torino, Aragno, 2013 LXXIV-628 p.

Dalla presentazione editoriale: “Questi 250 pareri di lettura, redatti da Cesare Cases (1920-2005) per la casa editrice Einaudi tra il 1953 e il 1973, testimoniano uno dei momenti più felici dell’editoria, della critica e della letteratura italiane. In un teso dialogo con Lukács e Adorno, e con l’affilata ironia di un Karl Kraus, il «testimone secondario» passa in rassegna i libri di Bertolt Brecht, Heinrich Mann, Robert Walser, Paul Kornfeld, Wolfgang Koeppen, Arno Schmidt, Peter Weiss e decine d’altri, battendosi per una cultura che rinvigorisca la vita nazionale di un paese in rapida e caotica trasformazione. «I giudizi risultanti da questa impostazione – scriverà anni dopo – sono oggi spesso difficilmente sottoscrivibili, anche da me, ma per capirli bisogna rifarsi a un periodo in cui il critico si sentiva deputato a spianare strade al futuro, abbattendo taluni cippi e restaurandone e incoronandone altri; operazione alquanto dubbia, ma che aveva il pregio di costringere a quell’impegno che prima di essere politico era morale. Lukács esagerava certamente la «responsabilità dell’intellettuale», ciò che era legato alla cattiva coscienza sulla certezza dei fini per cui invocava tale responsabilità; tuttavia è bene che non tanto l’intellettuale quanto l’uomo in generale si senta responsabile di qualche cosa d’altro che di procacciar cibo ai suoi piccoli finché non gli sarà segato l’albero su cui si è costruito il nido. Tra gli intellettuali già di sinistra oggi solo Franco Fortini e pochi altri sembrano ricordarsi della verità che «omnis determinatio est negatio» e che l’uomo si definisce solo scegliendo e scartando. Il rischio di sbagliare c’è sempre, ma è meno grave di quello di perdersi nella melma dell’accettazione universale»”.

Dall’Introduzione:

Michele Sisto

I pareri di lettura qui raccolti sono conservati nell’Archivio Giulio Einaudi Editore con la segnatura Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, Cartella 43: Cesare Cases. Un massiccio incartamento, che raccoglie quanto resta del denso carteggio intrattenuto da Cesare Cases con la redazione della casa editrice tra il 1953 e il 1979. I pareri – o meglio: le schede di lettura[1] – non costituiscono che una parte di questo fascio di dattiloscritti ingialliti, minute su carta velina, ritagli, elenchi, contratti, rendiconti, cartoline, frettolosi appunti a matita che documentano una lunga osmosi di idee, sullo sfondo degli incalzanti mutamenti del paese. Un torso, ogni dettaglio del quale è significativo, al punto che si sarebbe tentati di pubblicarlo nella sua interezza. Questo volume, che comprende ampi estratti della corrispondenza e di altri materiali conservati nell’archivio[2], costituisce dunque in primo luogo la traccia parziale e lacunosa di una pratica di lavoro culturale che nell’Einaudi di quel periodo ha conosciuto uno dei suoi momenti più felici.

Certo non è un libro di Cesare Cases come Saggi e note di letteratura tedesca, Su Lukács o Il testimone secondario. Lungi dall’esprimere tout court il pensiero del loro autore, i pareri di lettura sono il prodotto di un’attività industriale: testi d’occasione, documenti a uso interno, la cui vita si esaurisce nell’hic et nunc della decisione editoriale. È un genere di testo che in Italia compare nei tardi anni venti[3] per assolvere a una precisa funzione: fornire alle redazioni di case editrici che vanno assumendo le dimensioni e la struttura di moderne industrie gli elementi indispensabili a valutare l’opportunità di pubblicare o meno un certo libro. La stessa scrittura corsiva ed ellittica, così come la frequenza di punte ironiche e di giudizi sommari (che Cases non si sarebbe mai concesso in una recensione o in un saggio critico), presuppone non solo l’urgenza, tutta aziendale, di arrivare rapidamente a una decisione, ma anche la condivisione di un idioletto interno e la confidenza con interlocutori in grado di contestualizzare, come accade in qualsiasi conversazione privata, tali giudizi. Sono testi, in altre parole, privi di autonomia: solo l’insieme rivela il senso di un lavoro che è, per il suo stesso carattere, collegiale.

Gli autori di questo volume sono dunque almeno due: Cases e l’Einaudi. Ma la loro azione diviene comprensibile solo tenendo conto dello sfondo su cui agiscono, ovvero delle lotte culturali – tra gruppi letterari, scrittori, critici, riviste, case editrici, partiti politici, stampa, istituzioni educative – che si vanno combattendo in quegli anni nei paesi di lingua tedesca così come in Italia. Al pari di alcuni dei suoi interlocutori più prossimi, come Franco Fortini, Renato Solmi e Sebastiano Timpanaro, Cases ha vivissimo il senso di queste lotte, la consapevolezza che tradurre un libro, o non tradurlo, costituisce una presa di posizione pro o contro un’idea di letteratura e di cultura, in un conflitto simbolico che non conosce tregua. Nel dopoguerra il critico, scriverà anni più tardi introducendo il suo carteggio con György Lukács,

si sentiva deputato a spianare strade al futuro, abbattendo taluni cippi e restaurandone e incoronandone altri; operazione alquanto dubbia, ma che aveva il pregio di costringere a quell’impegno che prima di essere politico era morale. Lukács esagerava certamente la «responsabilità dell’intellettuale», ciò che era legato alla cattiva coscienza sulla certezza dei fini per cui invocava tale responsabilità; tuttavia è bene che non tanto l’intellettuale quanto l’uomo in generale si senta responsabile di qualche cosa d’altro che di procacciar cibo ai suoi piccoli finché non gli sarà segato l’albero su cui si è costruito il nido. Tra gli intellettuali già di sinistra oggi solo Franco Fortini e pochi altri sembrano ricordarsi della verità che «omnis determinatio est negatio» e che l’uomo si definisce solo scegliendo e scartando. Il rischio di sbagliare c’è sempre, ma è meno grave di quello di perdersi nella melma dell’accettazione universale.[4]

Il passo è datato 1985. Ma la massima spinoziana secondo cui ogni cosa in quanto esiste è la negazione di qualcos’altro – «omnis determinatio est negatio» – si trova già in una corrispondenza sulla Germania di Adenauer apparsa nel 1954[5]: non è più che un inciso, ancorché a proposito di quei campi di concentramento ai quali Cases era sfuggito solo riparando in Svizzera, ma segnala come già ai suoi esordi pubblicistici il giovane critico fosse ben consapevole di questa «verità» (appresa forse dall’Anti-Dühring di Engels o dalla Logica di Hegel prima che da Spinoza).

Non stupirà, allora, che i pareri raccolti in questo volume siano per la maggior parte negativi. Che fare un libro, come si dice nel gergo editoriale, significhi non farne molti altri è solo in apparenza un paradosso. Rispecchia, anzi, le condizioni reali del transfer da un sistema letterario all’altro: che un’opera venga tradotta non è la regola ma l’eccezione. Il corpus di letteratura tedesca pubblicato dall’Einaudi negli anni cinquanta e sessanta – che non ha eguali né prima né dopo per qualità e quantità – è dunque da considerarsi il risultato di una serie di eccezioni accuratamente ponderate.

Michele Sisto



[1] Per la distinzione tra schede e pareri di lettura si veda, più oltre, la Nota al testo.

[2] La sezione storica dell’Archivio Einaudi, che raccoglie documenti prodotti tra il 1933 e il 1983, è attualmente depositato presso l’Archivio di Stato di Torino. Le carte conservate nella Cartella 43 saranno citate, qui di seguito, con l’abbreviazione ae, Cases. Alla stessa serie Corrispondenza con autori e collaboratori italiani appartengono le cartelle relative a Roberto Bazlen (ae, Bazlen) ed Enrico Filippini (ae, Filippini), mentre alla serie dei Verbali del consiglio editoriale si farà riferimento con l’indicazione ae, Verbali.

[3] Per un inquadramento di questo genere di testi si veda l’ampia introduzione di Pietro Albonetti al volume da lui curato Non c’è tutto nei romanzi: leggere romanzi stranieri in una casa editrice negli anni ’30, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1994, che raccoglie una selezione dei pareri di lettura di Lavinia Mazzucchetti e di altri collaboratori della Mondadori.

[4] Cesare Cases, Un carteggio, in «Belfagor», XL, n. 1, 31 gennaio 1985, ora in Su Lukács, Torino, Einaudi, 1985, pp. 152-153.

[5] Cesare Cases, La monade tedesca, in «Il Contemporaneo», I, n. 32, 6 novembre 1954, p. 5, rubrica Lettere dalla Germania.

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