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L’idealismo, quindi, è una cosa buona, e non certo una cosa cattiva, come ritengono in commovente e sospetta concordia i seguaci positivisti di Comte, i seguaci neopositivisti di Carnap (per cui il filosofo è semplicemente un musicista privo di talento), i seguaci comunisti di Althusser, i seguaci trinariciuti di Stalin, i seguaci multitudinari di Toni Negri e via citando. Ed è una cosa buona, del tutto indipendentemente dalle concrete proposte politiche empiriche degli idealisti, che possono essere buone, cattive, splendide o semplicemente idiote ed insopportabili. E tuttavia, l’idealismo resta il modello teorico inarrivabile del necessario distacco dal reale sociale presente, l’adesione al quale può essere invece definita, nei termini di Fichte, “dogmatismo”. Non c’è infatti peggior “dogmatico” di colui che sostiene il “dogma” massimo e principalissimo, quello per cui le cose non possono essere cambiate.

(Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Petite Plaisance, 2013, p. 96.)

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