Uwe Timm, La notte di San Giovanni

nottesangiovanniStefano Zangrando

Fino a poco tempo fa la tardiva fortuna italiana di Uwe Timm, inaugurata in modo singolare da un racconto per ragazzi (Mimmo codino maialino corridore, Einaudi 2003), era legata più o meno equamente a opere di finzione come la novella La scoperta della currywurst e il romanzo Rosso, entrambi usciti da Le Lettere, e “storie vere” come i mondadoriani L’amico e lo straniero e Come mio fratello. In queste ultime, come in parte anche nel più ambizioso Rosso, secondo episodio di un’ancora incompiuta «trilogia berlinese»*, il legame amicale o parentale con personaggi in absentia era il punto di partenza per retrospezioni che fondevano in un’unica dimensione narrativa pubblico e privato, la Storia del XX secolo e le «storie quotidiane» che costituiscono il tratto più noto della poetica dell’autore. Della «trilogia berlinese» Le Lettere pubblica ora il primo volume, il romanzo La notte di San Giovanni («pan narrativa», traduzione di Matteo Galli, pp. 232), quasi a ripristinare la naturale prevalenza, nell’opera di Timm, dell’elemento finzionale. A Timm stesso, del resto, è capitato di palesarsi autore per lo più immaginativo, in senso aristotelico e chisciottesco, dichiarando che «il narratore non si limita a raccontare con le proprie parole ciò che è stato, bensì racconta ex novo e diversamente, ossia come avrebbe potuto essere; egli narra un’altra realtà». E una realtà incessantemente “altra”, sfuggente e proteiforme come la natura di uomini e dèi nel Midsummer Night’s Dream shakespeariano citato in epigrafe, è quella che fa irruzione in questa vicenda ambientata a Berlino a metà degli anni novanta del secolo scorso. Imboccando con divertita risolutezza la strada dell’autoironia, Timm muove dallo stereotipo dello scrittore in crisi d’ispirazione per imbastire un’avventura comico-picaresca in grado di gettare luce, una tappa dopo l’altra, sulle nuove affinità e le divergenze insopite tra un est e un ovest non ancora ricuciti. Il motivo propulsore del plot, che genera fin da subito un registro folklorico e basso-corporeo, è una ricerca sulle patate, cibo popolare per eccellenza, commissionata al narratore a scopo giornalistico. Giunto in una Berlino vibrante e molteplice alla vigilia della «notte più artistica dell’anno», nelle ore in cui Christo e Jeanne-Claude portano a compimento la «velatura» del Reichstag, l’alter ego fittizio di Timm s’imbatte in una fauna umana a cavallo tra il tipico e l’irripetibile, tanto inaudita quanto veritiera, che ne dirotta la quête verso esiti sempre più tragicomici e grotteschi. Il baricentro strutturale di questa calibrata fantasmagoria è nella fatale attrazione del narratore verso una giovane e ambigua creatura, ad essa è perciò riservata la pointe del romanzo; ma il punto di fuga della storia, e il sigillo della sua levità, sarà il canto rivelatore di un senzatetto russo, ancora una volta all’incrocio tra grande Storia e quotidianità: «Corrono via come ombre notturne / nessuno può conoscerli, / né il cacciatore può sparargli con polvere e piombo; / i pensieri sono liberi».

(*Questa recensione è apparsa su «alias» il 16 febbraio 2008; la trilogia è stata nel frattempo completata dal romanzo Halbschatten, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2008.)

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