Robert S.C. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana

Paola Quadrelli

Con un titolo tratto dalla preghiera introduttiva di Se questo è un uomo appare in un’ottima traduzione lo studio appassionante che l’italianista inglese Robert S.C. Gordon ha dedicato alla memoria e alla rielaborazione dell’Olocausto nella cultura italiana. A partire dagli anni Ottanta, da quando, cioè, l’Olocausto o meglio, la Shoah secondo la dizione invalsa nel nostro Paese, ha assunto una posizione centrale nella sfera pubblica, la ricerca sulla deportazione ebraica si è intensificata e approfondita, articolandosi in studi dedicati ad aspetti specifici, a episodi singoli, oltre che alle risposte fornite in ambito artistico-letterario a quell’immane evento. Mancava, tuttavia, un’indagine globale che passasse in rassegna questi lavori e che, secondo le parole di Gordon, li inserisse „nel più vasto ambito di risposte che li ha generati e plasmati“. L’esplicito punto di riferimento metodologico è Pierre Bourdieu con la sua fortunata nozione di „campo culturale“. Gordon non si propone pertanto di analizzare i singoli lavori prodotti in Italia sull’Olocausto, ma intende piuttosto esplorare come questi lavori – siano essi testimonianze, romanzi, sculture, dibattiti – abbiano guidato e determinato la conoscenza e la comprensione di quegli eventi storici presso il pubblico italiano e mira, altresì, a individuare quali siano stati i principali agenti nel processo di trasmissione e rielaborazione dell’Olocausto (associazioni di reduci, storici, scrittori-testimoni, case editrici ecc.) oltre che a esaminare le dinamiche attraverso cui si sono imposte le linee dominanti nel processo di interpretazione del genocidio ebraico, il loro rapporto di interdipendenza con le diverse letture storiografiche del fascismo e della Resistenza e il dialogo con il contesto internazionale di discussione sul tema. Da queste indagini, che si inseriscono nel filone di studi sulla memoria culturale in auge negli ultimi quindici anni, è nato un libro densissimo, dal forte taglio interdisciplinare, che si distingue per acume e chiarezza argomentativa e per la la varietà dei materiali esaminati. L’autore spazia infatti, solo per citare qualche nome, da Quasimodo a Guccini, da Pasolini ai film di Lizzani e Ozpetek, dal monumento milanese per i „Caduti nei campi di sterminio nazisti“ al costituendo Museo della Shoah a Villa Torlonia per concludere con il dibattito riguardante l’istituzione nel 2001 del Giorno della Memoria. Lo studio, pur incorniciato da due capitoli che inquadrano il tema sotto un’angolazione cronologica, focalizzandosi, rispettivamente, sull’emergere, nell’immediato dopoguerra, del genocidio ebraico come evento a se stante all’interno del più vasto magma di atrocità che avevano connotato la guerra, e sul fermento culturale attorno all’Olocausto negli anni Novanta, non segue un andamento cronologico, ma affronta alcuni momenti decisivi nel modellarsi della consapevolezza dell’Olocausto in Italia; ecco dunque, tra l’altro, un capitolo su Primo Levi in quanto principale interprete dell’Olocausto in Italia, un capitolo su Roma nel 1943-44, intesa come punto di incontro di quattro questioni centrali per la moderna storia del nostro Paese, ovvero l’Italia come nazione, il fascismo e i suoi simboli, la Resistenza e la Chiesa e un capitolo assai originale, intitolato „Zone grigie e bravi italiani“, in cui Gordon affronta due stereotipi fortemente connessi alle vicende legate all’Olocausto: la formula „zona grigia“, adottata per indicare quella larga massa di italiani „attendisti“, non schierati negli anni 1943-45 né con la Repubblica di Salò né con la Resistenza, e il mito dell’italiano „buono“, disonesto e moralmente ambiguo, scettico nei confronti delle autorità ed estraneo al razzismo, d’animo gentile e solidale con i concittadini ebrei. Gordon mostra la genesi e l’evolversi di queste mitologie, dalla divaricazione tra regime e popolo, sottesa alla distinzione tra „fascismo movimento“ e „fascismo regime“ operata da Renzo De Felice, all’emergere dell’immagine di una certa italianità in film legati all’Olocausto quali Il generale Della Rovere, Tutti a casa e Pasqualino settebellezze, dal concetto sfumato e complesso di „zona grigia“ formulato da Primo Levi alla sua semplificazione e strumentalizzazione nel dibattito pubblico, sino al congiungersi dei due stereotipi gemelli nella figura di Giorgio Perlasca, riscoperta negli anni Novanta. Perlasca era, come sintetizza efficacemente Gordon, „sia bravo che grigio“: fascista ma non antisemita, eroico ma non carismatico e „tipicamente italiano“ per gli espedienti cui fece ricorso per salvare gli ebrei. Il ricchissimo libro di Gordon contiene molto più di quanto sia stato possibile accennare in questa sede e si configura dunque come una lettura imprescindibile per ogni lettore interessato alla Shoah e alla storia italiana del Novecento.

Paola Quadrelli

da “PulpLibri”, marzo-aprile 2013

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