Dialogo sulla traduzione della poesia di Heinz Czechowski

Un’intervista di Anna Maria Curci a Paola Del Zoppo  sulla traduzione delle poesie presenti nell’antologia Il tempo è immobile (Del Vecchio Editore, 2012).

Anna Maria Curci: Leggere il titolo della tua versione di Schafe und Sterne di Czechowski, che hai reso con “Pecore e pianeti” e andare immediatamente con il pensiero al primo verso di Tombe precoci di Klopstock nella traduzione di Carducci è stata una cosa sola. Ci troviamo, in entrambi i casi, di fronte a una resa dell’originale feconda, efficace e, allo stesso tempo, incurante delle classificazioni dei  corpi celesti. Se in Carducci la resa di “silberner Mond”, letteralmente “luna d’argento”, con “astro d’argento”, è funzionale al  mantenimento del genere maschile, che ritorna più avanti nei versi di Klopstock, mi sembra che qui, Paola, tu abbia voluto mantenere  l’allitterazione, che nel titolo originale propone la ‘s’ e nella tua  resa fa della lettera ‘p’ il suono prevalente del verso. Si riaffaccia  l’antico e mai sopito contrasto tra “belles infidèles” e fedeltà rigorosa nella traduzione. Da qui discende il mio quesito: quale criterio prevale sulle tue scelte? Si può parlare, nel caso delle tue scelte, di reale prevalenza di uno dei criteri o non, piuttosto, di alternanza di criteri, adottati in maniera di volta in volta funzionale a testo-fonte e testo di arrivo, in un andirivieni continuo, sfida e azzardo?

Paola Del Zoppo: Azzardo sicuramente. Ti ringrazio per le belle parole e per l’illustre paragone. Non mi ritengo poeta, né mi sento di potermi paragonare a traduttori così grandi. Ma sì, è vero, in quel caso, dopo molti tentennamenti, ho preferito il mantenimento dell’allitterazione alla fedeltà terminologica. In realtà la resa terminologica stessa non mi ha trattenuto in nessun momento, la perplessità più grande era proprio nel mutamento di segno tra i due suoni ‘s’ e ‘p’. Più che un discorso di fedeltà mi preme sempre la lealtà al testo e all’idea che l’autore vuole convogliare, e insieme anche la lealtà verso il lettore, che ha bisogno gli venga restituito un simulacro di ciò che era nel testo originale, e così, proprio come dici tu, è un’alternanza, un gioco continuo di fedeltà e infedeltà. In alcuni casi ho preferito un’aderenza “letterale” al testo, anche terminologica, a scapito forse della resa fonica o ritmica. Ma altre volte mi sono discostata dalla resa terminologica e ho compiuto scelte ardite, soprattutto laddove leggevo un sottotesto che si sarebbe perso traducendo “alla lettera”. Qui mi trovavo infatti a tradurre un’antologia di testi, peraltro piuttosto limitata nel numero dei componimenti rispetto alla vasta produzione di un poeta prolifico e diversificato nella produzione come Czechowski. Non era sempre possibile lasciare che i testi si illuminassero l’un l’altro come accade alla lettura di un’opera omnia, dove significati, sfumature e richiami si definiscono anche nel rapporto e l’interazione tra di loro. Allora, nel caso di parole con  significati ambigui o molteplici all’interno del testo, talvolta ho scelto quello meno comune o anche meno “corretto” o “fedele” ma che apriva una finestra sul mondo poetico di Czechowski. Due esempi: nella traduzione del titolo di Gelegentlich Hölderlin ho inteso riportare nel testo elementi del tutto extratestuali, legati al periodo compositivo di Czechowski. Era quello infatti il periodo in cui Czechowski sostiene di scrivere “Gelegenheitsgedichte”, poesie d’occasione e il gioco di parole, l’ironia secondo me sarebbe stata meno immediata traducendo più letteralmente: “A proposito di Hölderlin”, ma Occasionalmente Hölderlin. Volevo che il lettore sussultasse. Riconosco che è stata una scelta, un po’ ardita, ma non so dirti se sia poco fedele. Anche nella poesia Franzigmark mi sono trovata di fronte a molteplici istanze. Il termine Gleichnis, che ha diverse traduzioni (parabola, paragone, immagine) mi richiamava alla mente inevitabilmente la chiusura del Faust goethiano, alles vergängliche/ ist nur ein Gleichnis (tutto ciò che è perituro è un simbolo/una parabola/ un’immagine). Goethe è presente, esplicitamente e implicitamente, in tutta l’opera di Czechowski, spesso citato con ironia. I traduttori del Faust, infatti, in italiano hanno reso Gleichnis in molti modi profondamente diversi cercando di restituire la dimensione del “superamento”. Franzigmark è citata da Czechowski in diversi saggi come espressione del passaggio alla consapevolezza degli errori del sistema DDR. Ho sentito forte il richiamo al Faust, ma Gleichnis era anche in relazione con le metafore della seconda parte della poesia e si sarebbe potuta rendere la compattezza del componimento traducendo con “parabola”, che in italiano mantiene un doppio senso geometrico. Alla fine ho deciso però per “paragone”, perché tutta la poesia si fonda sulla figura retorica del paragone, accentuando con “succinti” l’ironia degli assunti. Si tratta continuamente di scelte tra le molte letture e possibilità che una poesia ricca di rimandi come quella di Czechowski offre.

Franzigmark

Keine bündigen Gleichnisse mehr.

Panzerspuren,
Parallelen,
Sich im Unendlichen schneidend,
Zeichnen auf
Die vergeblichen Hoffnungen.

Frühe Dämmerungen,
Leuchtgeschossgarben,
Feuerspuren,
Als Diagonalen
Eingegraben in unseren Stirnen.

Franzigmark

Niente più succinti paragoni.

Tracce di Panzer,
Parallele,
Che si incontrano all’infinito,
Indicano
Le speranze vane.

Crepuscoli anticipati,
Luminose raffiche di pallottole,
Tracce di fuoco,
Diagonali
Incise nelle nostre fronti.

Anna Maria Curci: Trovo centrata e veritiera l’accezione che dai al termine ‘lealtà’,  tua posizione di principio nei confronti del testo e del lettore. Un’altra tua dichiarazione di intenti ha suscitato la mia curiosità e, insieme, mi ha fornito una ulteriore chiave di accesso alla tua resa delle liriche di Czechowski. Nei due versi finali dei complessivi cinque che compongono la poesia, efficacissima nel suo tratto lapidario, Die überstandene Wende, La Wende superata, hai deciso di capovolgere il rapporto soggetto-oggetto tra ‘wir’, “noi”, e ‘was vor uns liegt’, “ciò che ci sta davanti”. L’originale termina con questi due versi: “Bis wir es/ Hinter uns haben” (letteralmente “finché non lo avremo alle spalle”); la tua soluzione traduttiva è “Finche non/Sarà alle spalle”). Hai ricercato qui il sussulto del lettore, quasi sorpreso dal balzo all’indietro dell’ignoto, che solo con quel balzo diventa conoscibile?

Paola Del Zoppo: Qui ho tentato una rielaborazione, strappando il tessuto lirico fino ad arrivare a quello slittamento finale. Da subito ho rinunciato a rendere le rime: la poesia ha la struttura solidissima, i primi tre versi anaforici in “W”, allitterazioni in liquide e sibilanti, rime forti, aabcb, con le rime finali che racchiudono come in una parentesi il verso breve “bis wir es”. In quel breve verso si concentra il senso della parentesi: non possiamo conoscere la storia se non voltandoci indietro, Czechowski lo scriveva nel suo bellissimo saggio Im Schalltoten Raum , quindi il verso finale richiude la lirica su se stessa. Ma Czechowski ricorda anche che il poeta, testimone di eventi di grande portata, ha il dovere e la “fortuna” di poterli esprimere nella sua lirica. Allargando la parentesi ad avvolgere tutta la poesia nella ripetizione in finale di primo e ultimo verso “spalle/ spalle”, ho cercato di tenere vivo il suono in “s”, che suggeriva al mio orecchio insieme il sussurro e il sibilo del testimone che ha vissuto eventi di incalcolabile portata e non ha molta fiducia nel futuro. Tutto questo, insieme a ciò che scrivi tu – che si riallaccia alla struttura chiusa della lirica – , al sobbalzo conoscitivo a posteriori, mi ha portato al capovolgimento del rapporto soggetto-oggetto. Si tratta di una poesia davvero eccezionale nella densità dell’espressione. Il primo problema che mi si era posto è sulla versione o meno in italiano del termine Wende (forse con il termine svolta), ma oltre a ragioni di coerenza interna all’antologia, ho puntato da subito al mantenimento di una distanza forte, anche nel tentativo di evidenziare l’antitesi forte tra la dichiarazione del titolo (la Wende è stata superata) e il messaggio della poesia (non possiamo sapere se è stata superata, finché non l’avremo alle spalle). Credo sia uno dei componimenti più compatti di tutta la produzione di Czechowski.

Die überstandene Wende

Was hinter uns liegt
Wissen wir. Was vor uns liegt,
Wird uns unbekannt bleiben
Bis wir es
Hinter uns haben.

La Wende superata

Ciò che è alle spalle
Lo sappiamo. Ciò che è davanti
Ci rimarrà oscuro
Finché non
Sarà alle spalle.

Anna Maria Curci: In questa nostra conversazione resta al  centro, limpida, la voce di Heinz Czechowski, fonte inesauribile di domande, anche nelle sue asserzioni apparentemente placide: “Sanft gehen wie Tiere die Berge neben dem Fluß.” L’antologia si apre con il primo verso di un sonetto,  An der Elbe, Sulle rive dell’Elba: Sanft gehen wie Tiere die Berge neben dem Fluß , che tu, Paola, hai tradotto così:  “Leggère come bestie le montagne scivolano accanto al fiume”  (pagine 32, 33). Nell’introduzione all’antologia, che ripercorre puntualmente le tappe della produzione poetica di Czechowski, scrivi: «Riguardo al sonetto […], Czechowski affermerà in seguito che era “spazzatura” e che del sonetto andrebbe “salvato” proprio solo il primo verso.» (p. 13). Non ho opposto resistenza alcuna alla curiosità immediatamente suscitata in me da questo manifesto rinnegare da parte del poeta. Ho tradotto pertanto  il sonetto abiurato, apparso nel 1961 nella raccolta “Conoscenza con noi stessi”, rendendo così il primo verso: “Miti vanno come animali i monti accanto al fiume.” Resta, in entrambe le versioni, la similitudine e la resa fedele delle tre parole conclusive: “accanto al fiume”. Le differenze, nel ritmo e nelle scelte lessicali, sono tutte nella prima parte del verso. Le mie scelte sono state determinate dalla volontà di rendere lo scorrere placido e inarrestabile del fiume, presenza rilevante nella poesia di Czechowski,  la continuità della sua forza di attrazione, esercitata senza prepotenza, ma con una fermezza alla quale è ben difficile opporsi. Ora ho l’occasione di chiedere a te che cosa ha determinato le tue scelte nella traduzione, alla quale non è estranea quella stessa forza di attrazione.

Paola Del Zoppo: Eh, già, si tratta di una questione complicata. Czechowski apparentemente  stralcia un verso, ma crea, insomma, un componimento nuovo che doveva essere, secondo me, staccato dal primo, autonomo. Innanzitutto, però, devo dire che trovo la tua soluzione molto musicale e ritmicamente affascinante, e mi piace molto la forte allitterazione in “m”. Credo che sia assolutamente perfetta per la resa del primo verso del sonetto, dal sapore idilliaco. Io mi sono trovata anche qui a chiedermi se e come riportare l’atmosfera del sonetto o scegliere del tutto una resa diverso, solo una visione “a posteriori” del fiume. Mi sono decisa per questa seconda lettura. Così la “s” in inizio verso, anzi, così forte al principio e alla fine del verso, Sanft/Fluss mi sembrava determinante, mi ricordava lo sciabordio del fiume e insieme si insinuava come un sibilo. Il fiume, simbolo della scissione, non è più luogo di idillio, non è più “casa” come viene definito nella versione completa di An der Elbe. Inoltre il fiume è altrove definito da Czechowski “opaco” (anche per la sottesa questione ambientalista, certo) o sporco, o comunque assume connotazione negativa. Volevo che mantenesse un’immagine inquietante, che si avvertisse un sottofondo di delusione, come se lo scivolare delle montagne fosse una sorta di noncuranza, come se volessero passare inosservate, a nascondersi proprio dall’insidioso scorrere delle acque. La “s” in questo mi pareva fondamentale, sibilante, a insinuarsi nell’immagine. Credo che questo spieghi anche la differente resa di Sanft, che in italiano è mite, ma anche leggero, appunto. Innanzitutto, nelle mie ricerche, ho scoperto che nelle traduzioni inglesi sanft veniva reso con gently. In questo, però, si sono accavallate altre reminiscenze, come l’“unendlich sanft” in Herbst/ Autunno, di R. M. Rilke, la leggerezza della mano che ci solleva e solleva l’universo dalla caduta, e volevo che il sanft conservasse il senso della leggerezza, anche nel contesto più “negativo”. Una leggerezza che si fa negativa nell’accostamento con la brutalità della parola “bestie” per “Tiere”. L’imponenza e la minacciosità di queste montagne, pure intimidite dal fiume, che rimangono animali selvatici, che sfuggono quasi con colpevolezza al sibilo delle acque. Mi sono tornate alla mente, alcune delle varie citazioni che i poeti sassoni fanno del verso di Czechowski. Prima la versione di Karl Mickel: “sanft wie die Berge neben dem Fluss/ (Czechowski) kriechen Bestien in die/ aus dem Zoo, bei Kindern, nach dem Angriff/ Achselhöhlen” (Leggere come le montagne accanto al fiume/ (Czechowski) le bestie strisciano/ dallo zoo, ai bambini, dopo l’attacco/ sotto le ascelle), in cui Mickel fa riferimento alla situazione di caos dopo l’attacco aereo, e gli animali sono le bestie tenute in cattività dello zoo che “strisciano”; poi il verso in cui Volker Braun rielabora a sua volta la poesia di Czechowski “Die SS in den Nesten/ die konnten dich wie die Berge neben dem Fluss” (Le SS nei loro nidi/ ti beccavano come le montagne accanto al fiume), che ancora più mi dava un’immagine negativa, perfida, degli animali che strisciavano lungo il fiume. Tutto questo mi ha portato alla versione finale: Leggère come bestie le montagne scivolano accanto al fiume. Grazie per questa domanda, che dà l’occasione di riflettere su come ogni traduzione (anche in queste due versioni dello stesso verso), rivendichi il diritto di essere valida e autonoma e sempre profondamente aderente al testo.

Anna Maria Curci: Questa nostra conversazione, che prosegue un dialogo iniziato da tempo, ha riportato più di una volta il mio pensiero a quanto afferma il linguista francese, traduttore dall’inglese, dallo spagnolo e dal tedesco, Antoine Berman: “La traduzione è nella sua essenza plurale etica dell’ascolto.” Condivido pienamente l’asserzione di Berman, che rilancio: il confronto tra le nostre diverse versioni mi rafforza  nell’idea che la pluralità nella lettura, nell’ascolto e, necessariamente, nell’interpretazione richiesta dall’attività del tradurre, sia una risorsa formidabile. Mi piacerebbe conoscere la tua posizione rispetto all’affermazione di Berman.

Paola Del Zoppo: Berman è una delle “lenti” che più hanno influenzato, sempre, la mia visione dell’atto traduttorio. Dialogando con te sulla traduzione dei versi di Czechowski io stessa, ovviamente, mi sono posta anche domande che non mi ero posta in precedenza, o comunque non allo stesso modo. E mi sono tornate alla mente le affermazioni di Berman sulla similitudine tra traduzione e filosofia, cioè tra l’esplicitazione del sapere inerente all’atto del tradurre e il “filosofare”. E quindi, non solo mi trovi perfettamente concorde con te sull’importanza e la validità della frase di Berman, ma credo che sia questa la grande forza e validità della traduzione, la possibilità che offre. Non è un senso di relativismo, ma di molteplicità possibile. La traduzione di un testo poetico, di per sé non sempre – e più spesso non – univoco dà maggior forza all’affermazione in sé, evidenziando la portata evocativa di un testo, toccando, o sfiorando, proprio e di più nella riflessione su se stessa, quello spazio “al di là” in cui la parola poetica trova dimora; nello sfiorarlo, ogni traduzione lo rifrange e ne restituisce un’immagine, come filtrata da un prisma. E quindi, più traduzioni si danno di un testo, che siano da una lingua all’altra o da un sistema all’altro più sarà possibile conoscere del testo di partenza. Grazie ancora per questa bellissima conversazione. Spero che sia solo la prima di una lunga serie.

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