Jan Wagner, Die Sandale des Propheten

Il sottotitolo “prose occasionali” che il poeta, traduttore e critico Jan Wagner ha scelto per la sua raccolta Die Sandale des Propheten è da intendersi – riprendendo l’espressione che lo stesso Wagner usa per Simon Armitage – “tongue-in-cheek”: è serio solo per metà. Pur presentandosi come frammenti sciolti, infatti, queste prose danno luogo, incastrandosi come pezzi di un mosaico, a un quadro ben preciso. Con questo libro Wagner (classe 1971, berlinese d’adozione) si apre a una scrittura sospesa tra saggistica e narrativa, tra teoria letteraria e autobiografia; rielabora la tradizione letteraria degli ultimi quattro secoli e dialoga con la poesia contemporanea tedesca e anglosassone. Mentre racconta le sue passeggiate nel quartiere di Neukölln, Wagner traccia profili critici di Benn, Whitman, Sweeney, Beckett, Heym e riflette sull’essenza e sullo stato della poesia. Quest’ultima continua a svolgere un ruolo marginale, sostiene l’autore, specialmente a confronto con alcuni generi letterari più commerciali, eppure negli ultimi anni sta vivendo una stagione di grande vivacità e di improvvisa fioritura, data soprattutto dal dissolversi di opposizioni ormai divenute sterili come quella tra avanguardia e convenzione o tra poesia narrativa e sperimentale. Wagner si interroga anche sul possibile rapporto tra scienza e letteratura, tema caro alla sua poesia (si pensi solo alla raccolta Guerickes Sperling che prende il nome da uno scienziato del Seicento). In un’epoca che suddivide il sapere in una miriade di ambiti, il poeta – per natura un collezionista che lavora con frammenti dell’esistente – non può annullare l’abisso che divide poesia e scienza ma può renderlo abitabile. La traduzione svolge un ruolo non dissimile: rendere abitabile l’abisso tra il momento della lettura e della (ri)scrittura in un’altra lingua. Wagner si sofferma anche sulla “penna rossa” del poeta: il momento della scrittura è importante tanto quello della rinuncia a parti del già scritto, come nel caso del Waste land di Eliot passato sotto la penna rossa di Pound. Allo stesso modo la traduzione è “istintiva rinuncia”, come scriveva Michael Hamburger. Nei ritratti di poeti tedeschi e stranieri Wagner sfrutta tutta la raffinatezza della sua critica e della sua prosa: Armitage, simbolo di una generazione di poeti che è riuscita a trovare il suo pubblico senza rinunciare alla sostanza della propria scrittura, viene accostato a Hughes, Larkin, Auden, MacNeices così da mettere in luce il suo debito verso la tradizione. Citando Whitman, Wagner nota come Armitage sia poeta “local, but prized elsewhere”; così è Wagner stesso, che mentre ci racconta del bar del suo quartiere sa offrirci riflessioni universali – con grazia, tenendosi quasi in disparte, in pieno accordo con l’idea di Armitage che la scrittura sia un’arte e una modalità di “sparizione”.

(Pubblicato su “L’Indice dei Libri del Mese” di maggio 2012)

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