Lutz Seiler: La meccanica del ricordo

Paola Del Zoppo

L’antologia poetica di Lutz Seiler La domenica pensavo a Dio, pubblicata da Del Vecchio Editore nel settembre 2012, propone una scelta dall’intera produzione poetica di Seiler, nel tentativo di dar conto degli sviluppi e delle metamorfiche valenze della sua scrittura. Le poesie di Seiler frangono la narrazione in maniera prismatica, restituendo diverse visioni dello stesso fascio di luce e si aprono perciò a differenti possibili letture. La poesia di Seiler vuole essere, in questo senso, poesia epica, e non manca di esplicitare un rapporto con una trascendenza che si rivela proprio nella possibilità della parola poetica.

sonntags dachte ich an gott

sonntags dachte ich an gott wenn wir
mit dem autobus die stadt bereisten.
am löschteich an der strasse stand
ein trafohaus & drei & vierzig
kabel kamen aus der luft in dieses
haus aus hart gebrannten ziegelsteinen; dort
im trafo an der strasse wohnte gott. ich sah
wie er in seinem nest aus kabel enden
hockte zwischen seinen ziegelwänden
ohne fenster dort am grund
im dunkel an der strasse hinter
einer tür aus stahl
sass der liebe gott; er war
unendlich klein & lachte
oder schlief

 

la domenica pensavo a dio

la domenica pensavo a dio mentre
giravamo la città in autobus.
alla pozza per gli incendi sulla strada una cabina
elettrica & quaranta & tre
cavi correvano dall’aria in quella
cabina di compatti mattoni cotti; là
nella cabina sulla strada abitava dio. lo vedevo
accovacciato nel suo nido di cavi
in mezzo ai muri di mattoni
senza finestre al fondo
nel buio della strada dietro
una porta d’acciaio
sedeva il buon dio; era
infinitamente piccolo & rideva
o dormiva

 «Sei o sette anni fa ho scritto questa poesia e da allora non ci ho più pensato. Ma quando la leggevo alle presentazioni avevo spesso l’impressione che potesse, una volta, aprire qualcosa, come se tramite questa poesia arrivassi per strada, in uno spazio narrativo. Alla connessione tra Dio e la tensione elettrica corrispondeva quel rumore di fondo, il ronzio continuo, da cui già da bambini non si poteva scappare, quel ronzio dell’elettricità del quale inizialmente non si sapeva se fosse nella propria testa o altrove, che scatenava fantasie attestate in modo sconcertante da una piccola insegna con un teschio e un fulmine e l’aggiunta: «Pericolo di morte! Vietato l’ingresso. I genitori rispondono dei figli». Più di una volta, di fronte a quella porta, nei miei pensieri ero andato a far visita ai miei genitori in prigione. E lì ero mortificato e infinitamente dispiaciuto di tutto ciò che avevo fatto e della mia ingratitudine, ora assolutamente evidente; ma soprattutto facevo pena a me stesso: adesso ero un orfano, mi aspettava l’asilo statale, mi rimaneva al massimo una notte ancora nella mia stanza, cosa avrei portato con me quando sarebbero venuti a prendermi? Piangevo, nel pensiero, e mi sentivo così male e così in colpa, la mia irresponsabilità mi era così chiara, quanto non potevo rinunciare, al di fuori del mio dolore, a contravvenire al divieto. Per lunghi momenti stavo lì come paralizzato – paralizzato dalla brama della trasgressione. E dall’altra parte: quanto calmi e lucidi ci si sentiva di fronte al divieto. Intriso della prospettiva rappresentata dalla trasgressione del divieto. Erano luoghi magici. Da ognuno di quei cavi poteva giungere una storia che, se solo avessi voluto, mi sarebbe bastato ascoltare. Dovevo solo avvicinarmi un po’ alla cabina elettrica, forse appoggiando l’orecchio sull’acciaio della porta, qualcosa per cui la paura era già abbastanza pronta.»

Il ronzio del passaggio della corrente è la poesia, l’elemento di connessione che apre la visione e congiunge l’Io ai ricordi e al mondo. E’ il peso della parola poetica, il suono del verso, la verticalità della poesia, che spinge a scavare nell’Io fino alla sua origine: “così/ ne sei uscito. sei stato il gemito stesso, gracidio, scricchiolio, sommesso./ andare/ dei discorsi, tu stesso/ nella fessura dell’/ oscurità tu/ stesso il crudo io, il/ male, che pensavi davvero, rigido/ con le orecchie ritte fino/ alla fine di questo cretacico” (siehst du die welt von osten wie). In un processo che richiama Benn, l’io ritrova le sue fondamenta nel cercare il suo corrispondente geologico, risalendo a un periodo preistorico preciso in cui crede di poter ritrovare il proprio fenotipo. Per poter riacquistare forza, l’io deve cercare la poesia in quegli strati sigillati dell’inconscio ricoperti da pericolose polveri e lasciar riaffiorare il magma. Ancora una volta, la poesia si rivela in salita e in discesa, è il peso specifico di un evento che ne determina il riaffiorare, secondo le leggi della “gravitazione”. E il movimento verticale permette di riconoscere immagini perdute o straniate, che emergono in movimenti oscillatori, circolari, concentrici, a racchiudere elementi di realtà, di eventi, di Storia, come ben si legge nella poesia “Erntedank/Festa del raccolto”.

erntedank

unsere luftwaffe! hatte mein großvater gebrüllt
& dabei die sense durch
den himmel gezogen. ein paar
dieser glänzenden bögen genügten & alles

war verbunden: israel, die friedenseiche, seine
geliebten pferde (enteignet einundsechzig, für
valuta nach italien, er sagte: italschen) &

der trigonometrische punkt, das hohe
kreuz aus holz hinter dem haus, wo
sich die steine aus den feldern angesammelt
hatten über die jahre. nur dort

erschien der fahrende sänger im nervenkostüm;
er hob seine eigene sense &
das fest begann
festa del raccolto

la nostra forza aerea! mio nonno gridava
& sventolava intanto la falce
nel cielo. mi
bastarono pochi di quegli archi lucenti & tutto

fu legato: israele, la quercia della pace, i suoi
amati cavalli (nel sessantuno sequestrati, per
valuta, inviati in italia, lui diceva: italici) &

il punto trigonometrico, l’alta
croce lignea dietro la casa, dove
dai campi le pietre si erano raccolte
negli anni. solo lì

il cantante nomade apparve fasciato di nervi;
alzò la sua propria falce &
la festa cominciò

(trad. di PDZ)

La falce scivola veloce nell’aria, disegnando un arco che incornicia in un’unica immagine ciò che si trova nelle vicinanze del cortile: i cavalli, una croce. Sulla scena, un nonno e un nipote, quest’ultimo narratore in prima persona, sceneggiatore del breve intermezzo.

Il ricordo del nipote, ormai adulto, si attiva alla vista dell’arco disegnato dalla falce. E poi ecco reminiscenze della pratica dell’espropriazione della terra nella DDR, sullo sfondo della politica estera, Israele, la quercia della pace.

Il meccanismo del ricordo guida il ritmo del componimento, in una serie di trasposizioni di senso filtrate in più momenti. Prima dalla percezione del nonno, poi dal ricordo del ragazzo, infine al lettore. La falce in aria fa strillare al nonno “La nostra forza aerea!”, e trasferisce nell’Io il ricordo di discussioni su Israele, allargando lo spazio temporale coperto dalla poesia fino agli anni ’50 (anni in cui si vedeva in Israele uno stato amico del socialismo). L’oscillare della falce echeggia nel ritmo regolare delle strofe, quartina, terzina, quartina terzina.

Ma l’arco temporale e del ricordo si allarga ancora nella menzione della quercia della pace (effettivamente presente nelle vicinanze di Gera, cittadina natale di Lutz Seiler). Molte di queste querce furono piantate dopo la guerra franco-tedesca del 1870-71, e quindi nel periodo della fondazione della nazione tedesca. Tutto è immerso nella sfera del ricordo e ha in essa la sua valenza. Il gergo contadino del nonno, nel richiamo al dialetto turingio, focalizza la questione dell’identità e ampliando il raggio della falce. La tecnica di composizione di Seiler trova qui pieno riscontro. Le immagini si susseguono allargando il quadro del ritmo e della percezione, ma partendo da un punto molto preciso, nello spazio e nel tempo: un attrezzo da lavoro contadino e un ricordo specifico dell’infanzia.

Nella seconda parte della poesia le immagini si fanno meno distinte e più evocative, la percezione del mondo non è più determinata e definita da eventi  storici, ma si spegne nell’immagine grottesca di un danzatore che agita la sua falce, per dare inizio alla festa.

La figura si apre a molteplici interpretazioni: il punto focale della descrizione è la montagnola di pietre con la croce di legno, posta nel “punto trigonometrico” di apparizione rendono la collina una sorta di Golgota a cui si sacrifica la percezione del reale dolore nelle cose, insito nel tempo che passa ma anche nella consapevolezza della fallibilità umana, della piccolezza dell’esistenza del singolo rispetto alla grandezza del creato. La falce torna nell’ultimo verso chiudendo circolarmente la struttura della poesia, aperta dalla falce alzata dal nonno, portata in alto da una generazione intera. Il danzatore che tanto grottescamente invita alla festa del raccolto ricorda inevitabilmente il mietitore, la rappresentazione della morte, richiamando alla mente Schnitters Tod di Brentano.

Due poesie, queste, in cui il richiamo ai fenomeni fisici svela in due diversi modi meccanismi del ricordo e delle connessioni. In sonntags dachte ich an gott a connettere i diversi momenti della percezione è un richiamo esplicito al passaggio di corrente, ed esplicita è anche la citazione dell’intuizione della trascendenza, in erntedank  il richiamo ai meccanismi fisici è maggiormente celato, ma forse più incisivo: il movimento oscillatorio della falce e l’ondulazione del ritmo e del suono nella poesia richiamano l’immagine di un onda sonora che si propaga in uno specchio d’acqua, aprendo a una lettura pluridimensionale dell’evento narrato: tempo, spazio, suono, introspezione dell’Io lirico e Storia collettiva si fondono nel movimento finale, la chiusura: «das fest begann».

Paola Del Zoppo

Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio, Del Vecchio Editore, Roma 2012, a cura di Paola Del Zoppo. Traduzioni di Gio Batta Bucciol, Anna Maria Curci, Milo de Angelis, Paola Del Zoppo, Federico Italiano, Theresia Prammer, Silvia Ulrich

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