György Lukács, Lo scrittore e il critico

[Il blog György Lukács sta riproponendo i testi del grande critico marxista, che è sempre bene leggere e rileggere. Tra questi Lo scrittore e il critico (1939), apparso per la prima volta nella traduzione di Cesare Cases nella raccolta Il marxismo e la critica letteraria (1953). Immagine via l’Eugenio. M.S.]

György Lukács

Suona ovvio, o addirittura banale, ma occorre dirlo subito all’inizio: il tipo dominante di scrittore e di critico si è andato modificando nel corso della decadenza del capitalismo; perciò anche il rapporto tipico tra lo scrittore e il critico non poteva non diventare diverso.

Suona parimenti ovvio, o addirittura banale, ma occorre ripeterlo in ogni occasione, che la causa determinante di questa deformazione è la divisione capitalistica del lavoro. Essa ha trasformato sia gli scrittori che i critici in ristretti specialisti; ha tolto loro quella universalità e quella concretezza di interessi umani, sociali, politici e artistici che contraddistinsero la letteratura del Rinascimento, la letteratura dell’Illuminismo e la letteratura di tutti i periodi di preparazione delle rivoluzioni democratiche; ha spezzato sia per gli uni che per gli altri la mobile unità dei fenomeni della vita, sostituendola con «campi» circoscritti, isolati, discontinui (arte, politica, economia ecc.), che, di fronte alla coscienza, o si irrigidiscono nella loro separazione, o vengono collegati mediante pseudosintesi astratte e soggettive (razionalistiche o mistiche).

È infine ovvio che tutto ciò si riferisce alla principale corrente di sviluppo degli ultimi decenni. La lotta socialmente vana, nell’ambito del capitalismo reazionario, ma ideologicamente assai preziosa, che alcuni notevoli umanisti hanno intrapreso contro il complesso di questi fenomeni, non fa altro che sottolineare la necessità sociale dello sviluppo generale.

Sia gli scrittori che i critici divengono dunque degli specialisti sottoposti alla divisione del lavoro. Lo scrittore ha fatto della sua interiorità un mestiere. Anche se questo mestiere non conduce, come nella stragrande maggioranza degli scrittori, a un completo adattamento alle esigenze quotidiane del mercato librario, anche se il comportamento di essi rappresenta soggettivamente una tenace opposizione a questo mercato e alle sue esigenze, tuttavia il rapporto dello scrittore con la vita, e quindi necessariamente con l’arte, viene a immeschinirsi e a deformarsi.

Siccome lo scrittore (e proprio quello che, nella sua arte, è all’opposizione) fa della letteratura un fine a sé e mette polemicamente in primo piano la sua autonomia, passano in secondo piano quei grandi problemi compositivi che scaturiscono dall’esigenza di configurare in modo vasto e profondo i tratti universali e durevoli dell’evoluzione dell’umanità. Subentrano in vece loro le questioni concernenti l’immediata tecnica espositiva, il lavoro di laboratorio. Continua a leggere sul blog György Lukács

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