Il mito della cultura tedesca in Italia

[Der Mythos der deutschen Kultur in Italien: Conferenza tenuta da Cesare Cases il 23 giugno 1988 nell’ambito dell’incontro «Kulturforum ’88 ecco l’Italia», Gesamthochschule, Kassel 1988, più tardi pubblicata in «L’ospite ingrato» (VIII, n. 2, 2005, pp. 21-35), nella traduzione di Elisabetta Mengaldo. Immagine via vitedalibri. M.S.]

Cesare Cases

All’inizio del 1873 uscì il primo numero dell’«Archivio glottologico italiano», con il celebre Proemio di Graziadio Isaia Ascoli. Questo Proemio, che Leo Spitzer incluse nella sua classica raccolta Meisterwerke der romanischen Sprachwissenschaft, è un accompagnamento tutt’altro che sobrio alle severe stanze della scienza, nelle quali il titolo della rivista prometteva di condurre, e risulta invece un appassionato scritto polemico. Che cosa fosse veramente la lingua italiana era all’epoca una questione cruciale al centro dell’interesse. L’Italia era stata unificata nel 1861 e nel 1870 Roma fu liberata e divenne capitale. Il nuovo stato si trovò a dover affrontare compiti enormi: fra i più importanti quello di creare una lingua comune. Certo l’Italia poteva vantare una lingua letteraria che per lungo tempo era servita da modello a tutta l’Europa e che nel corso dei secoli era rimasta praticamente invariata, tanto che si poteva leggere Dante senza troppa difficoltà, a differenza di Wolfram o di Chrétien. Ma questa lingua era da sempre patrimonio di un’esigua cerchia di persone colte, che al momento dell’unificazione costituiva circa il 5 per cento della popolazione, mentre il resto degli italiani parlava esclusivamente il dialetto. Si aggiunga che quella lingua letteraria, assai poco parlata e fossilizzata sotto il peso della tradizione, spesso non era in grado di adattarsi alle esigenze dei tempi nuovi. Lo stesso Ascoli, pur riconoscendo al suo avversario Alessandro Manzoni il grande merito d’essere riuscito con il suo romanzo «a estirpar dalle lettere italiane, o dal cervello dell’Italia, l’antichissimo cancro della retorica», scriveva però in uno stile sì concreto, ma estremamente pesante e involuto, che gli italiani di oggi faticano a seguire. Continua a leggere su L’ospite ingrato

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