Friedrich Dürrenmatt, L’incarico

Sandro Moraldo

Ecco un altro capolavoro, sapientemente tradotto, dello svizzero Dürrenmatt, un noir metafisico, un romanzo di scambi d’identità, camuffamenti, arditi giochi di specchi e riflessi, ma soprattutto, come spiega eloquentemente il suo sottotitolo, una “novella in ventiquattro frasi sull’osservare chi osserva gli osservatori”.

Ventiquattro sono infatti i capitoletti in cui si suddivide la narrazione in terza persona, sincopata e apnoica, articolata in periodo unici e senza soluzione di continuità, che raccontano una serie di eventi tumultuosi e apparentemente slegati partendo dalla loro conclusione per creare, dopo avere ripercorso le tappe che l’hanno determinata, un nuovo scenario che ribalta radicalmente l’incipit: una donna è stata uccisa.

I soli dati forniti al lettore sono il luogo dell’assassinio, le rovine di Al-Hakim, il nome della vittima, Tina, e quello del marito, l’algido psichiatra Otto von Lambert. La scena si apre sul funerale di Tina, ritrovata violentata, strangolata e deturpata dagli sciacalli in un incerto luogo geografico, al di là del Mediterraneo. Tra i giornalisti è presente F., una regista nota per i suoi ritratti cinematografici: verrà incaricata dal marito psichiatra di scoprire la verità su un omicidio di cui egli si proclama “l’artefice come medico” ma il cui “esecutore non è che un dato casuale”, da rendere accessibile alla scienza.

Si avverte qui lo sguardo, caro a Dürrenmatt, su un mondo di voyeurismo infinito in cui tutti, dalla vittima/paziente a ogni singolo individuo di questa terra, è continuamente osservato, monitorato, ripreso, fotografato e registrato da altri individui, se non dall’immenso occhio di un Dio indifferente e celato. Nel turbinio di immagini, la donna resta avviluppata nelle spire di una storia di cui lei non è il soggetto, ma l’oggetto di un esame costantemente condotto da più angolature e da più individui. Ciò nonostante, il suo abbandono agli eventi o forse il desiderio di scoprire chi sta dietro al “dispositivo d’osservazione”, cinepresa, videocamera, macchina fotografica o satellite che sia, la portano a scoprire ciò che è realmente successo.

Trasportata in un deserto freddo e costellato da bagliori di scoppi missilistici, strani personaggi dagli epiteti mitologici ma straordinariamente attuali nella loro destrezza tecnologica, come Polifemo, il cameraman zoppo cui si accompagna il veterano Achille, reso idiota da una lesione riportata in guerra, F. si rende conto che i fatti sono diametralmente diversi da come sembravano. La vittima risulta essere una sosia scambiata per Tina, ma non solo: la sua stessa situazione di osservatrice è tremendamente pericolosa. Solo “l’urto violento del presente e un’inusitata voglia di vivere”, finalmente libera da elettronici occhi indagatori le permetteranno di uscirne indenne.

Sandro Moraldo

Friedrich Dürrenmatt, L’incarico, ed. orig. 1986, trad. dal tedesco di Giovanna Agabio e Roberto Cazzola, Adelphi, Milano, 2012, 107 p.

da: L’INDICE, luglio / agosto 2012

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