Hans Fallada, Nel mio paese straniero

Nadia Centorbi

Internato nell’autunno del 1944 in una prigione per criminali infermi di mente con l’accusa di avere tentato l’omicidio della moglie, Hans Fallada (1893-1947) vergò i fogli che gli erano concessi con una crittografia studiata a bell’apposta per scongiurare il rischio di essere letto dai suoi carcerieri. In prigione germinò il romanzo Il bevitore (1950) e il diario ora pubblicato da Sellerio, tradotto da Rubino, che ben rende la vivacità della prosa falladiana. L’autore di E adesso, piccolo uomo?, il romanzo che lo aveva consacrato a una fama internazionale appena un anno prima dell’ascesa al potere del nazismo, continuò a scrivere, più o meno tollerato dal regime, anche durante il dodicennio nero. Le carte ora pubblicate, che del genere del diario conservano appena lo smalto, rivelando una più marcata vocazione memorialistica, scardinano la macchina della censura nazista. Rinchiuso nella sua cella, l’autore traccia un ritratto degli undici anni sotto il regime. Quel che emerge dalla concatenazione degli episodi narrati è una nazione dall’ordine sovvertito, una patria ridotta a “paese straniero”, nel quale i pochi “con la schiena dritta” risultano sopraffatti dai tanti delatori asserviti alla politica del terrore.

Con professato antieroismo, l’apolitico Fallada, che nelle sue memorie non perde occasione per presentarsi come antinazista, finito in prigione non solo per il contrasto coniugale, ma per i diversi episodi che lo avevano esposto come autore non fedele al partito (“Esistono diversi modi per sbarazzarsi di un autore indesiderato, in quest’ambito il Terzo Reich non è affatto privo di idee”), non teme di risultare pusillanime di fronte ai militanti antinazisti, gli esuli tedeschi, che dall’estero esortavano il popolo alla resistenza: “Non sono un amante dei grandi gesti di fronte al trono del tiranno; farmi massacrare senza senso, senza che giovi a nessuno, a danno dei miei figli, non mi riesce gradito”. Con miopia, bisogna ammetterlo, risponde alle accuse di opportunismo mosse dagli esuli, e lo fa ricorrendo spesso a un livore che ricorda i toni della deplorevole Risposta agli emigranti tedeschi di Gottfried Benn. Ciò che sorprende di queste nuove Memorie dalla casa dei morti è la vivacità di un ductus lontano dai timbri del lamento e intriso invece da un humour inatteso che assurge ad arma contro il nemico prossimo al tracollo.

Nadia Centorbi

Hans Fallada, Nel mio paese straniero. Diario dal carcere 1944 (titolo originale: In meinem fremden. Gefängnistagebuch 1944, 2009), traduzione di Mario Rubino, a cura di Jenny Williams e Sabine Lange, Palermo, Sellerio Editore 2012, pp. 358.

Tratto da L’Indice dei libri del mese, 2012, n. 10, p. 35

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