Jacob e Wilhelm Grimm, Principessa Pel di Topo

Cristina Taglietti

Tutti sanno che Raperonzolo, rinchiusa nella torre, cala dalla finestra la lunga chioma bionda e permette al reuccio di salire fino alla sua stanza. Quello che non tutti sanno è che, dopo «essersela spassata per un po’», la bella principessa si ritrova con i vestiti troppo stretti e due gemelli in arrivo, destinati a nascere fuori dal matrimonio, nel deserto dove la poverina viene esiliata. I fratelli Grimm, in realtà, questa storia la raccontarono una volta, nel 1812, nella prima edizione delle fiabe che nel corso degli anni vennero rimaneggiate. Nel 1857 uscì la raccolta definitiva, l’edizione standard a cui tutte le successive faranno riferimento. Un’edizione in cui, tra le altre cose, si omette di dire che la matrigna di Biancaneve, quella che manda il cacciatore a ucciderla raccomandandogli di portarle il cuore, è in realtà la vera, vanitosa, madre regina (come una madre naturale era quella di Hänsel e Gretel). Nel 1812 c’erano anche sgozzamenti e squartamenti e, in generale, una quantità di sangue che poi verrà asciugato. Ora, in occasione dei duecento anni di quei primi «Kinder- und Hausmärchen» (Fiabe), Donzelli pubblica La principessa Pel di Topo e altre 41 fiabe da scoprire, una selezione dalle 156 originarie a cura di Jack Zipes, studioso di letteratura per ragazzi di fama mondiale, che a Jacob e Wilhelm Grimm ha dedicato anni di studio, analizzando tutto il loro lavoro di folkloristi. Così, accanto a fiabe classiche, ma in versioni poco note, come «Il gatto con gli stivali», «Barbablu», «Pollicino», «Raperonzolo» e «Biancaneve», ce ne sono altre praticamente inedite in Italia, come quella che dà il titolo al libro, o come «Le bambine e la grande fame», dove una madre in miseria, invece di sacrificarsi per le figlie come vorrebbe l’iconografia dell’amore materno, vuole mangiarle. O come «Certi bambini si misero a giocare al macellaio », dove il piccolo che fa la parte del macellaio sgozza quello che fa la parte del maiale. A dare i volti a vecchi e nuovi protagonisti c’è la matita sensibile di Fabian Negrin. Il grosso delle revisioni le fece Wilhelm che attenuò la crudeltà di alcune storie. «A prevalere — spiega alla “Lettura” Zipes — non furono criteri cristiani o moralistici, ma letterari. Tuttavia, nei rimaneggiamenti successivi, i due studiosi cercarono di ridimensionare ogni aspetto delle fiabe che potesse offendere i lettori della media borghesia tedesca. Oltretutto, ricevettero dalle loro fonti moltissime varianti delle stesse storie e Wilhelm, che era un artista, cercò di prendere da esse motivi ed elementi per modellare esteticamente le fiabe in modo che avessero il suono poetico dell’oralità».

Le fiabe raccolte dai Grimm non erano scritte per i bambini (allora la letteratura per l’infanzia era un genere che non esisteva) e nella loro prima edizione erano scarne, con dialoghi secchi e azione rapida. La famiglia, in questa tradizione, appare un luogo estremamente pericoloso, in cui nemmeno l’amore dei genitori è al riparo da derive efferate. «Nell’ambito famigliare si consumano crimini come incesti, stupri, torture, bullismo — spiega Zipes —. È per questo che le fiabe e il folklore continuano a interessarci: perché sono drammi in cui gli esseri umani mettono in scena desideri, invidia, odio e speranza. È affascinante che quasi tutte comincino con un giovane, o una giovane, che viene bandito dalla famiglia, mandato in missione, picchiato o minacciato. C’è proprio una spiccata predilezione a mostrare come i bambini debbano imparare a sopravvivere. Si comincia sempre con un conflitto che deve essere risolto».

Anche Philip Pullman ha appena pubblicato in inglese una sua selezione di 50 fiabe dei Grimm (le pubblicherà Salani nel 2013): pure lì molte sono poco note, comunque prese dall’edizione standard del 1857. A Zipes la scelta di Pullman è piaciuta: «Riesce a prestare la sua voce vigorosa alle favole senza cambiarle troppo» dice lo studioso che, peraltro, apprezza anche la completa riscrittura in chiave femminista che Angela Carter ha fatto di alcune storie dei Grimm e di molte di Perrault ne La camera di sangue. Quello che non gli piace sono certe versioni cinematografiche. Zipes ne ha analizzate circa 500 nel suo libro The unknown history of fairy-tale films, uscito due anni fa negli Usa: «Il pubblico occidentale si è disneyficato e pretende film convenzionali che non sono particolarmente interessanti, quando invece ne esistono di favolosi come quelli di Michel Ocelot, Garri Bardin, Jim Henson e molti altri».

Cristina Taglietti

Da: Corriere della Sera, 04/11/2012, p. 13


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