Hermann Hesse, Musica e solitudine

Irene Fantappiè

Questa edizione di Musik des Einsamen non ha soltanto il merito di riproporre la silloge poetica di Hermann Hesse in una nuova traduzione, ma anche di arricchirla inserendo testi non compresi nella versione italiana precedente e alcuni acquerelli dell´autore che forniscono un interessante contrappunto ai versi. “I miei piccoli acquerelli sono come poesie o sogni, sono solo un lontano ricordo della ‘realtà’ e si trasformano secondando i miei sentimenti e le mie esigenze” scrive Hesse a Franz Karl Ginzkey nel 1919. Poesia, sogno, acquerello: tre modi di rappresentare il reale che in Hesse risultano strettamente legati. Quello che Hesse scrive sul sogno (“O sogno, dammi quanto il giorno sottrasse!”) vale infatti anche per la poesia e per l’acquerello, tentativi di recuperare e rielaborare immagini perdute. Sogno, acquerello e poesia si riflettono l’uno nell’altra come i tre specchi che formano il prisma contenuto nei caleidoscopi: attraverso di esso Hesse ci fa vedere una realtà che è composta da varie e mutevoli combinazioni di un numero relativamente finito di elementi. L’iteratività verbale che caratterizza queste poesie di Hesse non è però, come giustamente nota Paola Maria Filippi nella postfazione, sintomo di povertà ideativa, bensì “strumento efficace per dire la persistenza, la fedeltà al proprio mondo, al proprio inalienabile patrimonio di ricordi”: oggetto della visione – al contempo massimamente vicino e lontano – è infatti il “ricordo della ‘realtà’” menzionato nella lettera del ’19. Le immagini mutano le une nelle altre assecondando “sentimenti” e “esigenze”, e formano una silloge nella quale il ricordo di una infanzia dai connotati mitici necessariamente porta con sé anche il ricordo della sofferenza.

Nei testi è forte l’elemento autobiografico: la sofferenza è legata alla separazione di Hesse dalla moglie Maria Bernoulli avvenuta proprio nel periodo della composizione delle poesie (siamo nel 1914, anche se la data di pubblicazione è il 1916). I testi sono pervasi da un tremendo senso di solitudine che eppure convive con l´anelito a farsi tutt’uno col mondo (“Dentro di me e fuori di me / sono indiviso, il mondo e io siamo uno”) lasciando che gli elementi naturali agiscano non solo sul paesaggio ma anche sul proprio animo: “Sole, illuminami il cuore, / vento, spazza via da me ansie e tormenti!”. Sia le poesie che anche gli acquerelli sembrano nascere da quell’”assopimento dei sensi” che deriva dall’aver saputo trascendere la concretezza del corpo e la percezione fisica dei sentimenti (“Mani, cessate dall’operare,/ fronte, dimentica ogni pensiero,/ ora i miei sensi/ vogliono sprofondare nell’assopimento”) in favore di una maggiore comunione con il paesaggio.

L’ottima traduzione, inoltre, riesce a restituire un altro elemento fondamentale della silloge, il contrappunto tra silenzio e musica; una musica che Hesse non intende in senso letterale bensì – citando il biografo e amico Hugo Ball – come “l’espressione più delicata, più evanescente di un´immagine della memoria per rincorrere la quale si corre il pericolo di perdere l’immagine vera”.

Irene Fantappiè

Hermann Hesse, Musica e solitudine, a cura di Paola Maria Filippi con la collaborazione di Chiara Marsilli, Trento, Reverdito Edizioni 2011

da: L’Indice dei libri del mese, 2012, n. 6, p. 23

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