RWF 30 – Teatro fassbinderiano da Monaco a Milano

Sono passati trent’anni da quando, il 10 giugno 1982, Rainer Werner Fassbinder moriva qualche giorno dopo il suo trentasettesimo compleanno. A quella data lo scrittore, attore, regista teatrale e cinematografico aveva già prodotto un’opera quantitativamente e qualitativamente debordante, certamente eclettica e secondo molti diseguale. Michael Töteberg elenca nella scheda del KLG quarantadue film fra il 1965 e il 1982, ivi compresi i lavori per la televisione e il contributo per la pellicola a più mani Deutschland im Herbst (Germania in autunno, D 1978) – molti di questi hanno fatto la storia del cinema, tedesco e non solo.

La scrittura e la regia per il teatro furono altrettanto intense, altrettanto composite, seppure racchiuse in un lasso di tempo assai più ristretto. Oltre a lavori rimasti nel cassetto e rappresentati postumi, lo stesso Töteberg ricorda undici “prime” fassbinderiane in soli tre anni, fra il 1968 e il 1971: da Katzelmacher a quel Bremer Freiheit (Libertà a Brema) che sarebbe rimasto il suo dramma più rappresentato. Ben note sono le circostanze che nel 1975 impedirono la messa in scena di Der Müll, die Stadt und der Tod (I rifiuti, la città e la morte) nonché il ritiro, da parte di Suhrkamp, della relativa edizione a stampa. Nella pièce che avrebbe dovuto concludere la sua direzione al francofortese Theater am Turm RWF toccava con il riferimento al rapporto fra anti- e filosemitismo un nervo scoperto della cultura tedesca contemporanea. Al di là della sua tenuta drammaturgica, il testo e la storia dei tentativi di metterlo in scena con relative contestazioni avrebbero funto, nei decenni successivi, da vero e proprio sismografo della coscienza tedesca e tedesco-ebraica.

Spiazzante e per molti versi irritante, d’altronde, il Fassbinder dell’“antiteatro” monacense lo fu già per la critica coeva, che faticava a catalogarlo nelle esperienze drammaturgiche e sceniche tedesche a cavallo fra anni Sessanta e Settanta. Se con Katzelmacher (aprile 1968), poi riscritto per il cinema, l’accostamento al revival del Volksstück critico in area bavarese e ai conterranei e coetanei Martin Sperr e Franz Xaver Kroetz fu quasi automatico, la rielaborazione della Iphigenie goethiana che seguì immediatamente dopo (ottobre 1968) pareva piuttosto legarsi alla protesta antiautoritaria, mentre con Preparadise sorry now (marzo 1969) il gesto parodistico colpiva un noto spettacolo del Living Theatre e dava ancora differente coloritura alla tematica, che resterà fassbinderiana, del legame fra sesso e violenza, fra sottomissione e aggressività.

Nel giro di un anno scarso queste e altre produzioni lasciarono di stucco, sostanzialmente, i recensori professionisti, che fin d’allora si rifugiarono in gran parte nel rifiuto di un teatro bollato come puro sensazionalismo, come dilettantismo della provocazione – un giudizio duro a morire anche in molti studi successivi, che fanno della molteplicità di sperimentazioni e della ricchezza di soluzioni una prova di scarsa coerenza estetica, fingendo di non riconoscere il carattere prettamente in fieri dell’“antiteater”, delle singole produzioni come del lavoro complessivo.

Si spiega in parte anche così, forse, l’attuale situazione del teatro di Fassbinder in Germania, che pure continua a essere ampiamente rappresentato. I curatori di una mostra al Deutsches Theatermuseum di Monaco, aperta poche settimane fa, ritengono di dovere in un certo senso giustificare la propria attenzione specifica al Fassbinder uomo di teatro a tutto tondo (attore, regista, autore e direttore), definendo questa attività il lato meno noto della sua produzione artistica. Certamente il Fassbinder regista cinematografico ha tuttora una risonanza maggiore, un posto più riconosciuto nella cultura tedesca del secondo Novecento – si può anche ritenere: a ragione. Ad ogni modo la versatile produzione di RWF per il teatro merita grande attenzione, non già secondo un arido schematismo per cui essa fungerebbe da “prima fase” in seguito integrata e/o superata nell’altro medium artistico – i suoi migliori interpreti hanno ampiamente sottolineato come tale lettura non regga, nemmeno cronologicamente. Piuttosto, rileggere i copioni fassbinderiani e ricostruire il suo lavoro attoriale e registico permette di regalarsi uno sguardo obliquo quanto originale su un momento di grande fermento artistico e culturale che investe anche il nostro tempo contemporaneo.

Prendiamo Blut am Hals der Katze (Sangue sul collo del gatto), pezzo del marzo 1971 che precedette di poco due drammi più fortunati, Die bitteren Tränen der Petra von Kant (Le lacrime amare di Petra von Kant) e la già nominata Libertà a Brema. Anche in questo caso la critica perplessa cercò di assegnare a Fassbinder un’etichetta diciamo sprachkritisch, avvicinandolo in particolare al Peter Handke di Kaspar (1968) – indubbiamente Sangue sul collo del gatto ha qualcosa di quel sapore – per poi ricredersi di fronte alla “svolta” melodrammatica delle pièces successive e vedersi così confermata nell’idea di una drammaturgia incoerente.

Riletto oggi, il dramma è teso, essenziale, quasi spietato. L’aliena Phoebe Zeitgeist, nomen omen, giunge in terra “per scrivere un reportage sulla democrazia tra gli uomini”; non capisce però il loro linguaggio, pur essendo in grado di apprenderne mnemonicamente alcuni frammenti. In una prima serie di quadri Phoebe ascolta i brevi monologhi di nove personaggi-tipi, che si presentano in scena secondo un ricercato intreccio fra figure maschili e femminili, con una successione sostanzialmente speculare nelle entrate.

Quindi, una serie di pezzi a due, dai quali Phoebe estrae alcuni frammenti, spesso frasi fatte, che poi pronuncia, sempre in chiusa. Senza soluzione di continuità i microdialoghi si aprono nella terza e ultima sezione a una conversazione nella quale Phoebe interviene con il materiale linguistico appreso, ma non compreso – l’effetto è tensione, disagio, infine afasia, mentre Phoebe mordendo i vari personaggi traspone anche nel gesto il suo vampirizzare linguistico. Pare di vedere così compiersi sulla scena fassbinderiana la deriva postdrammatica del teatro anni Ottanta, e quando l’aliena rimane la sola in scena a “parlare”, il brano dalla Logica della scienza hegeliana che pronuncia (o meglio cita) fa pensare a una superficie linguistica a là Jelinek, come per altri versi, d’altronde, la pièce tutta pare anticipare un certo Heiner Müller.

Guarda in avanti, insomma, questo Fassbinder datato 1971, con il suo tipico sguardo ai meccanismi di sottomissione. Proprio la locandina della prima di Sangue sul collo del gatto, con raffigurato lo stesso RWF, funge oggi da richiamo visuale per la mostra a Monaco. E proprio l’aliena-sociologa di Fassbinder e il suo incontro-scontro con la nostra società sono al centro della video-foto installazione abitabile che in questi giorni di giugno ne tiene viva a Milano la memoria con un omaggio che è anche una dichiarazione di assoluta attualità.

Il progetto ha radici profonde: una giovane compagnia teatrale che ha scelto di chiamarsi proprio “Phoebe Zeitgeist teatro”, già molto attiva nel panorama milanese, ha dato concreta forma di “azione di strada” alla finzione fassbinderiana, con cinque performers che nel 2011 si sono calati nella realtà urbana di cinque affollate piazze, seduti muti su una poltrona come la loro antesignana a intercettare il linguaggio del presente milanese. Di qui sono nati un video e un diario, ora protagonisti di un’installazione alla Fondazione Mudima, all’interno della Quinta del Sordo di Wolf Vostell (1974), fino al 24 giugno (Phoebe Zeitgeist appare a Milano).

In settimana, alcuni attori si lanciano in incursioni fassbinderiane: interpreti del teatro Elfo Puccini, che nella sua sede storica ha dato forma al più intenso confronto con RWF del teatro italiano, si accompagnano ad altri artisti per una serie di performances dentro l’installazione. Eccone un assaggio – sperando di poter vedere presto la conclusione naturale di questo articolato progetto di Phoebe Zeitgeist teatro, una messa in scena italiana di Sangue sul collo del gatto.

Marco Castellari

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