Passato e presente: qualche considerazione su Uwe Timm

[Il testo che segue è uscito su Lo Straniero (XIV, 142, pp. 94-97) come introduzione al discorso Ricchezza e povertà tenuto da Uwe Timm in occasione del conferimento della Zuckmayer-Medaille 2012. La foto è tratta da rpl.de. M.G.]

Matteo Galli

I

Uwe Timm e io sul palcoscenico del Teatro Augusteo a Napoli, è il 17 settembre 2006, domenica. La premiazione avrebbe dovuto tenersi su un palcoscenico all’aperto. Ma piove, un clima che ricorda quello di Istanbul. Per il Premio Napoli, un premio conferito da una giuria di lettori, nella categoria letteratura straniera, hanno ricevuto la nomination: L’edizione corretta di Harmonia Coelestis di Peter Esterhazy, Istanbul di Orhan Pamuk e, appunto, Rosso di Uwe Timm. Siamo a Napoli già da tre giorni, abbiamo letto pagine del libro in originale e in traduzione dinanzi a diversi gruppi di lettura, fra l’altro nel carcere di massima sicurezza di Poggioreale. La star Orhan Pamuk è arrivata solo sabato pomeriggio, acclamato dai propri fans ha tenuto un incontro presso la Libreria Feltrinelli affollatissima. Cesare arrivato da Bisanzio: veni, vidi, vici. Comincia la premiazione. Per ogni categoria (letteratura italiana, saggistica italiana, letteratura internazionale) vengono rese note le opere nominate – come per la cerimonia degli Oscar. Ma poi, differentemente da quello che ci si aspetterebbe, nessun “And the winner is…”. Si comincia invece dall’opera giunta al terzo posto – noi italiani siamo abitutati, è così che si procede per esempio al terrificante Festival di Sanremo. Dunque, al terzo posto: L’edizione corretta di Harmonia Coelestis. Detto fra noi: nessuna sorpresa, certamente un’opera importante, ma il capolavoro era stato il libro precedente di cui questo rappresenta appunto una correzione. Io sono in piedi alle spalle di Uwe e gli spiego la drammaturgia, traducendo le parole della presentatrice Giovanna Zucconi. Adesso è la volta del secondo posto. Beh, penso, adesso toccherà  a noi. Istanbul non è certamente la cosa migliore che ha scritto Pamuk, ma l’autore è più conosciuto di Uwe, il libro tratta di una città che ha molte somiglianze con Napoli, miseria e modernizzazione, metropoli sul mare, sfarzo e macerie (sulla strada per arrivare al teatro mucchi di immondizia dappertutto), i gruppi di lettura che hanno dato il voto abitano quasi tutti a Napoli e dintorni, è stato bello essere qui, già arrivare secondi è un risultato grandioso. L’espressione del volto di Orhan Pamuk comunica la sicurezza di sé di un ragazzo dotato, un po’ viziato a cui arride sempre il successo e a cui le cose riescono tutte con grande facilità. Ma ecco che la signora Zucconi prende la parola e dice: il secondo posto è per…la tensione sale al massimo: Istanbul di Orhan Pamuk. Do un clamoroso scossone a Uwe, ho l’impressione che non abbia realizzato quel che sta succedendo: Uwe, HAI vinto. E in effetti, prima ancora che venga annunciato il super-vincitore è sufficiente guardare i tratti del volto di Pamuk per rendersi conto dell’accaduto: una maschera di cera. Avrà pensato: ma chi cazzo è ‘sto Uwe Timm che ha indotto 323 lettori a votare per il proprio libro.

Dissolvenza in nero, due settimane dopo.

Ogni anno faccio un viaggio con un amico tedesco, un medico di Colonia. Normalmente lo facciamo in estate. Ma nel 2006 fummo costretti a rimandare il nostro viaggio di qualche mese. E andammo alle Eolie: Lipari, Vulcano, Stromboli. Arrivati a Stromboli – giornata ventosa e fredda ma piena di sole – decidiamo di compiere l’ascesa al vulcano. L’ascesa inizia alle 16:00, si tratta di arrivare in cima quando il sole sta per tramontare. Siamo in albergo e aspettiamo di partire, accendo la TV, mi guardo il Televideo per vedere cos’è successo. Il Premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Orhan Pamuk. Scrivo un SMS a Uwe: „Uwe, a Napoli hai battuto il vincitore del Nobel!“ Dopodiché ci incamminiamo alla volta del vulcano, insieme ad altre venti persone, accompagnati da un ragazzo simpatico che ci fa da guida. Arriviamo in cima, una visione splendida,  sconvolgente, anche nell’epoca del turismo di massa in qualche misura: sublime. Nell’epoca del turismo di massa e della tecnica, a un certo punto infatti il cellulare mi segnala l’arrivo di un SMS proprio mentre sto ammirando le scintille zampillanti che provengono dai sette crateri del vulcano. Con tono ironico Uwe scrive: „Bene così. E concediamoglielo ‘sto premio di consolazione“.

II

Tutto era cominciato quattro anni prima nel 2002. Devo confessare con vergogna che fino ad allora, pur conoscendo il nome di Uwe Timm, non avevo letto ancora niente di lui. In una libreria di Colonia avevo acquistato un esemplare della Scoperta della Currywurst, ma quel libro non l’avevo mai neanche sfogliato. Se ne stava abbandonato nella mia biblioteca. Fin quando chiesi ad uno scrittore più giovane, Jens Sparschuh, di cui avevo appena tradotto in italiano Il venditore di fontane se aveva qualcosa da consigliarmi che andasse più o meno nella stessa direzione del suo libro, per una piccola collana che stavo mettendo su con Le Lettere di Firenze. Doveva essere qualcosa di spiritoso, leggibile, ma nient’affatto triviale o di puro intrattenimento, bensì profondo, per così dire un libro a doppia codificazione. E lui mi consigliò Uwe Timm e in particolare la suddetta Scoperta della currywurst. Ci si potrebbe domandare come può accadere che un germanista italiano che poteva e può vantare competenze superiori alla media nel campo della letteratura tedesca contemporanea non avesse letto niente di Uwe Timm fino a quel momento. Potrei per il mio atto mancato addurre numerose ragioni che hanno a che vedere con la struttura complessa del campo letterario internazionale.

La gran parte della letteratura tedesca recepita in Italia consiste dell’opera di autori riconducibili al longevo, ultra-produttivo Gruppo ’47 che ancora oggi se ne sta tenacemente al centro dell’attenzione pubblica, soprattutto Günter Grass e Hans Magnus Enzensberger, i cui libri venivano e vengono tradotti per così dire di default e ora come allora risultano di grande interesse sul piano discorsivo per il pubblico italiano e internazionale. La letteratura tedesca rivestiva e riveste interesse in Italia (e all’estero) soprattutto là dove era/è in grado di negoziare il passato, e il passato significa soprattutto nazionalsocialismo e Olocausto, a partire dai tardi anni ’90 anche la storia della DDR. Questa tendenza resta ancora oggi un fattore decisivo nella ricezione dei prodotti culturali di area tedesca. Pensate solo ai film tedeschi che vengono importati, tutte pellicole che trattano del passato tedesco: La Caduta e La banda Baader-Meinhof, Le vite degli altri e Sophie Scholl. Si potrebbe dire: l’assalto del passato al resto del tempo, giusto per variare un celebre titolo di Alexander Kluge – questo fenomeno è e resta il più vistoso nella ricezione della letteratura tedesca all’estero. Soltanto negli anni ’90 ha avuto inizio il tentativo, solo in pare riuscito, di esportare all’estero il successo ottenuto in patria da parte una nuova generazione di autori nati negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta e di produrre così un cambio di paradigma. Il campo letterario europeo ha avuto così modo di conoscere nuovi attori che portano i nomi, tanto per fare qualche esempio, di Thomas Brussig, Ingo Schulze e Judith Herrmann, ma l’imperativo del confronto col passato è restato quello dominante.

A parte forse Peter Handke nessun autore tedesco nato negli Quaranta e che abbia esordito intorno al 1968 è riuscito, all’estero (e in Italia) a giungere davvero al centro dell’attenzione pubblica. La generazione che ho avuto una volta occasione di definire “Gruppo ’67” (dall’anno in cui ebbe inizio di fatto il movimento extra-parlamentare tedesco, il 2 giugno 1967, durante a visita dello Scià di Persia a Berlino, ci scappò anche il morto, Benno Ohnesorg, chi ha letto L’amico e lo straniero di Uwe Timm, sa che era suo amico, a lui quel libro è dedicato) ha finito per essere penalizzata da questo duplice “mortale” abbraccio: dalla generazione “non-conformista” del Gruppo ’47 e dalla generazione dei letterati che hanno cominciato a scrivere immediatamente dopo la caduta del Muro. E questo è accaduto malgrado alcuni di loro, in cima a tutti Uwe Timm, fin dagli esordi avesse saputo confrontarsi con alcuni concreti e spinosi complessi del passato tedesco. Pensiamo al romanzo Morenga risalente già al 1978 che racconta della tragica avventura del colonialismo tedesco con lo sterminio degli Herero, offrendo un’esatta analisi di quella mentalità autoritaria che in Germania ha condotto qualche decennio dopo a ben più famigerati stermini. Fino alla metà degli anni Novanta Uwe Timm aveva potuto vantare almeno due grandi successi di vendita, vale a dire la summenzionata Scoperta della Currywurst del 1993 e soprattutto la fiaba, pubblicata nel 1989, intitolata Mimmo codino maialino corridore (uscita anche in Italia) ma – sia pur con qualche eccezione – questi libri sono rimasti, agli occhi di una certa intelligenzia egemonica nelle pagine culturali dei giornali, in Germania come all’estero, in quella zona oltremodo sospetta del classico/popolare, alla quale appartiene anche lo spiritus rector del premio, vale a dire Carl Zuckmayer, in occasione del cui conferimento Uwe Timm ha pronunciato il discorso che qui pubblichiamo.

L’autentico punto di svolta nella percezione pubblica di Uwe Timm avvenne soltanto nell’anno 2001 con la pubblicazione di Rosso, il primo libro edito dopo la conclusione di quella che Rudi Dutschke parafrasando Mao aveva chiamato la “lunga marcia attraverso le istituzioni”, allorché, dopo 15 anni di governo Kohl, nacque il governo Schröder-Fischer e Uwe Timm divenne il più importante, il più complesso, il più dialettico “elaboratore” di quel passato dal quale provenivano i nuovi signori. Il 1968 – fino a quel momento un fenomeno rilevante solamente per alcuni gruppi liminari della società tedesco-occidentale – divenne una delle date chiave di un master narrative nazionale e internazionale. Franco Cordelli,   scrisse nel „Corriere della Sera“ che Uwe Timm con Rosso aveva scritto il romanzo europeo sul 1968, un’impresa nella quale non erano riusciti né gli scrittori francesi né gli scrittori italiani.

Ciò che inoltre contribuì alla svolta appena accennata fu un cambio di paradigma, a lungo evocato negli ambienti della sfera pubblica letteraria tedesca, un cambio da ritenersi sacrosanto. Una delle più celebri frasi degli anni Novanta, risalente al 1991, è opera dello scrittore Maxim Biller, il quale, sparando a zero contro il miserabile stato in cui versava la letteratura tedesca degli anni Ottanta e oltre ebbe ad affermare che essa aveva “tanta sensualità quanto la cartina stradale di Kiel”. Il Paese cerca il grande storiografo del Sessantotto, il Paese cerca sensualità, il Paese cerca leggibilità ma al tempo stesso complessità estetica – ed ecco arrivare il nostro scrittore con un’opera che possiede tutte queste qualità.

III

Ho dunque avuto l’onore e la fortuna di accompagnare Uwe Timm negli ultimi dieci anni in questo piccolo e leggermente ritardato corteo trionfale. Il corteo trionfale è consistito di un sempre crescente capitale simbolico, di tirature sempre maggiori dei suoi libri – soprattutto Come mio fratello si è rivelato in patria e all’estero un grande successo, un successo assolutamente meritato  che può essere tuttavia comodamente spiegato anche con gli argomenti poco sopra esposti: il confronto sistematico, compiuto da Uwe Timm a partire dagli anni ’90 con il passato (tedesco) ha certamente contribuito a questo successo – di numerosi premi, di volumi collettanei a lui dedicati, di conferenze e convegni sulla sua opera. In Italia, dal 2003, sono usciti 7 libri di Uwe Timm, quattro li ho tradotti io.

Un anno fa, durante la Berlinale, ci siamo visti, Uwe Timm e io, a Berlino, siamo andati a mangiare in un ristorante thai.  Avevo appena finito di scrivere un saggio sulla produzione saggistica di Timm, soprattutto quella del giovane scrittore, soprattutto sui saggi e le recensioni che Timm aveva pubblicato sul finire degli anni Sessanta, fra le primissime cose da lui scritte per lo più in riviste militanti se non addirittura sulla “Deutsche Volkszeitung”, il quotidiano della DKP, il partito comunista, cose che ero riuscito a procurarmi con una certa fatica: saggi sulla letteratura agit-prop, sull’industria culturale, sul neo-colonialismo. Mi dissi, leggendoli, madonna com’era arrabbiato il giovane Timm e come sono diventate sagge e condivisibili le (belle) cose che scrive adesso.  Per scrivere quel saggio mi lessi anche il discorso pronunciato da Timm nel 2010, in occasione del conferimento del premio intitolato a Heinrich Böll, dove lo scrittore di Colonia viene ricordato da Timm quasi esclusivamente come negoziatore del passato tedesco, quasi tutto il discorso di ringraziamento verte su Biliardo alle nove e mezzo, ma quasi del tutto tace Uwe Timm del Böll intellectuel géneral, lo scrittore che non perdeva occasione di immischiarsi nell’attualità politica della Repubblica Federale, che discuteva di (e con) la  RAF, di (e con) il movimento ecologista, dei problemi del terzo mondo Certo è finita l’epoca degli intellettuali generali, dei Böll, dei Sartre, dei Pasolini. Ma perché non riprovarci? E allora dissi a Timm: dai Uwe, basta occuparsi del passato,  adesso è giunto il momento di tornare a sporcarsi le mani e dire quel che pensi su ciò che sta accadendo oggi.

Il discorso che qui pubblichiamo, pronunciato da Uwe Timm a Magonza il 18 gennaio 2012 in occasione del conferimento della “Carl-Zuckmayer-Medaille”,  potrebbe forse anche essere ricondotto a quella nostra conversazione al ristorante thai.

Matteo Galli

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