Da una Germania all’altra

(Günter Grass, Unkenrufe, acquaforte, 29×37, 1992, via ketterkunst.com)

[Mi sono trovato a scrivere la recensione al diario tenuto da Günter Grass nel 1990 proprio mentre infuriava la polemica sul componimento pubblicato dalla Süddeutsche Zeitung. Non amo flirtare con l’attualità, ma la circostanza in qualche misura lo imponeva. S.Z.]

Stefano Zangrando

«Posto di fronte alla scelta di voler, di dover essere tedesco e polacco, la mia terza via suonerebbe: zingaro, apolide, europeo»: così annotava Günter Grass il 4 novembre 1990, a un anno esatto dalla grande manifestazione popolare di Alexanderplatz che preluse alla caduta del Muro. È un’affermazione bizzosa, scientemente «bambinesca», che richiama alla memoria quel che di Grass scrisse Salman Rushdie in Patrie immaginarie facendone il paradigma del «migrante», ma che non fu troppo ben accolta nell’autunno 2009, alla vigilia del ventennale del 9 novembre, quando l’editore Steidl pubblicò il diario che l’autore del Tamburo di latta aveva tenuto fra Capodanno del 1990 e il febbraio 1991. Ancora una volta l’incorreggibile «pessimista» nazionale, il Nestbeschmutzer – alla lettera “colui che sporca il proprio nido” – pareva voler guastare la festa alla «grande Germania» pubblicamente fiera della propria ormai compiuta «riunificazione». Continua a leggere su harz.it

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