Cosa sarebbe il secolo senza di lei?

[Il saggio di Rita Calabrese, che volentieri riproponiamo, indaga la traccia della scrittura di Anna Seghers, nella quale si rifrangono due prese di posizione: di deliberata revisione di quella gerarchia di valori che era il “canone” in via di affermazione nella cultura tedesco-orientale e, al contempo, di partecipe ed indispensabile dialogo con la nuova generazione di scrittori, cui apparteneva Christa Wolf, che si è, certo, nutrita del “modello” seghersiano muovendo i primi passi nell’agone letterario. C.M.]

Christa Wolf con Anna Seghers,1973. Foto: Schmidtke via neues-deutschland.de

Rita Calabrese 

Il percorso a ritroso di interrogazione e rilettura, fino alle origini della cultura occidentale, che qui prende le mosse, ha come riferimento autorevole Anna Seghers (1900-1983). Grandissima narratrice, ebrea, antifascista, tra i fondatori della RDT, in un famoso carteggio con Lukács del 1938[1] sulla questione cruciale del realismo, di fronte al concetto rigido e aprioristico del filosofo, aveva sottolineato l’importanza dell’esperienza concreta come fondamento dell’opera d’arte e si era espressa in difesa della creatività poetica, contro una visione dello scrittore quale specchio passivo, riprendendo il modello tolstojano di elaborazione della realtà attraverso tre diverse fasi, fino alla riacquisizione di una più ricca immediatezza. Alla critica ideologica, al metodo che produce «descrittori» e non  «narratori» contrappone, come ha sottolineato in perfetta consonanza Christa Wolf, «un modo di pensare e di vedere dialettico, non dedotto da un processo creativo ideale, astratto, bensì da quello reale, accidentato»[2], l’importanza della creazione poetica a un metodo assurto «a criterio di misura». (ASGL, 401). Se per Lukács sono esemplari la sublime sintesi di arte e realtà di Goethe e il suo distacco dall’opera, Anna Seghers fa un’appassionata difesa dei poeti che non raggiungono compiutezza classica, artisti emarginati che, invece di adattarsi alla società, si sono «feriti la fronte» cozzando contro il muro del conformismo e, morti giovani o finiti pazzi o suicidi, come Büchner, Kleist, Günderrode, per lei sono ammirati antecedenti della letteratura rivoluzionaria. Del Romanticismo sottolinea inoltre la visione utopica e critica, indispensabile, contrariamente alla convinzione del filosofo ungherese, per la società socialista.

Alla riflessione sulla scrittura e sul compito dello scrittore nella lotta antifascista e, successivamente, in una società socialista che Anna Seghers, salda, almeno ufficialmente, nella sua appartenenza ideologica, continua per tutta la vita con posizioni dissonanti ma mai espressamente eretiche o con apparente adesione, si ricollegano le elaborazioni teoriche – l’autenticità soggettiva, il futuro ricordato, il valore fondamentale dell’esperienza, il ruolo della memoria, l’impegno nutrito di fantasia e piacere della scrittura – che Christa Wolf ha poi sviluppato anche in altre più personali direzioni. Sarebbe troppo lungo analizzare in tutti i risvolti, ancora non completamente esplorati, la portata di questa forte relazione tra donne che segna in misura determinante la produzione più felice della letteratura e della critica tedesco-orientale, contribuendo alla revisione del canone consolidato nell’una e nell’altra Germania. Senza la complessità di piani temporali nel panorama di destini femminili del bellissimo racconto La gita delle ragazze morte, senza il respiro epico di La settima Croce, senza il tessuto simbolico di Transito, senza il panorama umano della produzione seghersiana, sarebbe impensabile gran parte della produzione di Christa Wolf, nutritasi di queste letture, ma anche di altri scrittori e scrittrici. Senza l’avallo indiretto delle sue affermazioni sarebbe stato certamente più difficile sostenere certe forme di dissidenza.

Autentico monumento della letteratura rivoluzionaria, modello d’impegno senza cedimenti, Anna Seghers diventa per la giovane intellettuale, ancora entusiasticamente allineata, riferimento legittimante per atteggiamenti eterodossi e posizioni di rottura. Invece di confermare certezze, la grande scrittrice sembra aprire dubbi e avallare alternative. Rappresentante ufficiale della letteratura tedesco-orientale, viene vista come madre simbolica, come illustre precedente, da cui prendere le mosse per andare lontano, dalla generazione successiva di scrittrici che alle idee di emancipazione e di uguaglianza e all’ideologia totalizzante farà critica radicale, sviluppando la potenzialità di ribaltamento e di superamento della sua opera e cogliendone anche gli aspetti contradditori, cancellati dalla visione ufficiale.

Attraverso la lezione seghersiana, Christa Wolf appare a questo punto come un’allieva dotata che ha saputo riprendere e ampliare in maniera brillante le istanze della maestra fino alla matura autonomia, con grato riconoscimento ma anche con consapevolezza del proprio valore, raggiungendo l’originalità senza dimenticare l’origine del suo percorso. Se in quest’ottica la sua opera critica e narrativa sembra perdere tratti di originalità, acquista ulteriore importanza perché inserita in una tradizione femminile che ha consapevolmente contribuito a costruire.

La riverenza iniziale si è fatta progressivamente confronto critico e ininterrotto dialogo anche attraverso le opere, con citazioni, riferimenti, domande e risposte indirette. Esempio significativo del rapporto produttivo tra affinità e differenze, tra loro appare una frase ricorrente per tutte e due in numerose varianti. «Ciò che si può raccontare è superato» di Seghers diventa nella reinterpretazione wolfiana «Ciò che si deve superare deve essere raccontato». Il superamento lineare attraverso la scrittura e la fede che ciò avvenga in maniera diretta dell’una, è per l’altra un processo visto nel suo svolgimento, dall’esito non determinato ma dalle illimitate possibilità, ignote allo stesso autore, come se alle certezze ideologiche e artistiche fosse subentrata la dimensione produttiva della ricerca e del dubbio.

L’ammirato affidamento alla grande e venerata scrittrice della più giovane interlocutrice, è diventato negli anni scambio letterario e umano paritetico nella diversità riconosciute che agiscono a doppio senso. Nella prima intervista del 1959 Christa Wolf, poco più che ventenne, si rivolge alla famosa scrittrice con la rispettosa distanza del «Lei». Intimidita, con puntualizzazione non priva di pedanteria, le chiede del modo di lavorare, della scelta degli argomenti, della composizione dei romanzi, del «metodo». Venti anni più tardi, è Anna Seghers a renderle omaggio con stima e affetto, in un indirizzo di auguri per il cinquantesimo compleanno, «sei diventata più matura, più dotata, più bella»[3]. Non solo mostra di apprezzare le opere dell’ormai affermata scrittrice, ma s’interessa a Nessun luogo. Da nessuna parte che non conosce ancora, curiosa di imparare e disposta al confronto su un terreno comune:

Perché la Günderrode è fallita nell’amore, al punto che la società la costrinse a gettarsi nel Reno, non lo so più bene. Devo impararlo dal tuo libro. Devo anche apprendere come si sono incontrati Kleist e Günderrode. È tutto nelle tue mani. Tutto è possibile se solo mi puoi convincere. Ad esempio, io stessa nel mio racconto ho dovuto mettere insieme Gogol, E.T.A. Hoffmann e Kafka. Apprenderò ugualmente perché Kleist si è gettato nel Wannsee, per quale necessità personale o sociale (FCW, 395)

Il brano acquista particolare importanza per due aspetti. Intanto, per il riferimento a Günderrode, a lei ben nota, come abbiamo visto, fin dagli anni Trenta, di cui vuole conoscere l’aspetto più privato e «femminile», che è sicura sarà trattato da Christa Wolf nel suo racconto, e anche per la curiosità verso il suicidio di Kleist che sembra una domanda cifrata alla generazione più giovane di intellettuali, sulla loro valutazione dei recenti avvenimenti, ennesima contrapposizione tra artisti e società, in questo caso, quella socialista, sognata durante il nazismo, edificata con orgoglio e fede cieca. Un controllato, mai espresso sentimento di delusione sembra trasparire dal successivo accenno alle proprie novelle caraibiche – parlano di rivoluzioni fallite ma anche di speranza inestinguibile – su cui doversi «concentrare», ma si potrebbe leggere, «rifugiare», lontano nel tempo e nello spazio.

L’altro importante elemento è l’accenno ad un racconto in cui compaiono insieme Gogol, E.T.A. Hoffmann e Kafka. Si tratta di Incontro a Praga (1972)[4] dove Anna Seghers riprende le antiche posizioni del carteggio con Lukács e le inserisce nel dibattito sul Romanticismo, dando un contributo determinante alla rivalutazione del fantastico e alla riscoperta di Kafka. In una dimensione onirica, annullati i confini del tempo, s’incontrano a Praga i tre grandi poeti – e la stessa scrittrice è insieme voce narrante e interlocutrice privilegiata – per discutere di arte, per definire la funzione del poeta, per difendere il diritto inalienabile alla fantasia come indispensabile ampliamento della realtà, tematiche in realtà mai da lei abbandonate a cui, anzi, ha cercato di dare cittadinanza nella letteratura socialista, come appare evidente a una lettura attenta e non preconcetta delle sue opere. È Hoffmann portavoce della sua convinzione:

Raffigurazioni simboliche, fantastiche, fiabe e saghe hanno, in qualche modo, radici nella realtà. Proprio come le cose concrete e tangibili. Un vero bosco fa parte della realtà; ma anche il sogno di un bosco (IaP, 31).

Ripetutamente si è in realtà espressa in termini più o meno espliciti in tal senso, rivendicando l’interezza dell’individuo di cui fanno parte, oltre il peso dei rapporti economici, sogni, fantasie, paure, nostalgie, stigmatizzando il rigore e la chiusura delle norme lukácsiane determinanti per il canone. Vocaboli sicuramente sospetti come magia, grazia e colpa compaiono nel racconto, a smentire ancora una volta una visione rigorosamente allineata della scrittrice, in un racconto che soprattutto compie una rivalutazione di Kafka e lo inserisce a pieno titolo nella letteratura socialista. Sua ammiratrice da sempre, Anna Seghers contribuisce allo storico convegno del 1963 a Liblice che segnò la riabilitazione dello scrittore praghese, fino allora interdetto per borghese individualismo e antirealismo, e il suo ingresso nel canone. Più volte ha sottolineato l’attualità e il valore di Kafka per la letteratura socialista, il suo indubbio contributo alla comprensione della realtà. L’interpretazione del racconto di lui Il cavaliere del secchio presentata in Incontro a Praga è esemplare letteratura socialista.

Tutto il racconto seghersiano è modello di un corretto rapporto con l’«eredità» che per lei deve essere attualizzazione, rilettura creativa, aperta a nuove interpretazioni che mette in moto altre forze vitali. Il rinnovato rapporto con il Romanticismo e con Kafka fin dalla metà degli anni Sessanta si traduce per lei nella ricerca di nuove forme di scrittura, in cui la realtà descritta si arricchisce di nuove dimensioni, aprendosi al fantastico, riprendendo la vena anarchico-fantastica delle sue prime opere, a lungo rinnegate, che da Kafka e dalla lezione romantica erano state più direttamente influenzate.

Proprio l’idea della funzione magica dell’arte, di una letteratura capace di conferire magia alla realtà e il giudizio negativo verso gli scrittori che «disincantano» il mondo dichiarato a Lukács da Anna Seghers sembra aleggiare in un’intervista di Christa Wolf a metà degli anni Sessanta:

Spesso mi piace immaginare la letteratura come una bacchetta magica in grado di liberare tutti. Di risvegliare alla vita le anime morte, di dare loro il coraggio di sogni, nostalgie e capacità spesso inconsapevoli[5].

Anche come critica Christa Wolf si è occupata di Anna Seghers e continua a farlo. I suoi saggi ne rappresentano la migliore interpretazione – attenta, grata, acuta – cogliendone gli aspetti narrativi, ma anche le caratteristiche di umanità, con valutazioni più sentite e profonde dell’agiografia di regime, che hanno senz’altro contribuito alla rilettura della scrittrice, sottolineandone l’attualità e l’importanza per la letteratura del Novecento. Uno dei saggi più belli, La ragione terrena (1968), segna il momento di più intensa empatia e profondità. Ripercorrendo la vita e lo sviluppo creativo di Seghers, ne sottolinea la polarità tra impegno e creazione poetica che rappresenta una delle sue caratteristiche più originali, quelle due linee, la realtà e il «colore delle fiabe» che Seghers ha cercato di conciliare nella sua scrittura. L’analisi delle opere narrative e critiche, da omaggio riverente all’altra, diventa rispecchiamento e identificazione. Comune la fiducia in ciò che è terrestre, vale a dire la ragione terrena, quella ragione che è capace di pensare e di sentire, di intendere e di agire.

Anche i suoi saggi elaborano esperienze. La voce che parla è la medesima. Non vi si fanno affermazioni, vi si medita. Prima di tentare di convincere gli altri, AS cerca una intesa con se stessa. (LRT, 170).

Come non attribuire anche a Christa Wolf un giudizio come questo? Ed egualmente possono valere per entrambe le affermazioni: «Non scrive una sola frase che non abbia vissuto in prima persona» (LRT, 173) sul valore dell’esperienza o ancora sul fondamentale tema della responsabilità: «Accettando fino in fondo di soffrire per la Germania, si assume la responsabilità della Germania» (LRT, 181).

Individuando i principi della scrittura dell’altra, ribadisce i propri e il loro sviluppo successivo:

L’opera di un poeta è un fenomeno prezioso e durevole, in cui l’epoca riconosce se stessa e le epoche posteriori riconosceranno noi. […] Imperterrita, Anna Seghers lavora come può lavorare solamente chi ha la certezza che ci sarà sempre una generazione successiva a trarre profitto dall’opera e a trasmetterla a coloro che verranno. (LRT, 191).

Parlando di Anna Seghers parla con Anna Seghers, con se stessa e a noi, allora ed oggi, collegando passato e presente ed impegnando anche noi per il futuro.

Rita Calabrese

Da e per gentile concessione dell’autrice: Rita Calabrese, Cosa sarebbe il secolo senza di lei? in Risa antiche, echi spezzati. Christa Wolf, Anna Seghers e la revisione del canone nella Republica Democratica Tedesca, in Oltrecanone. Per una cartografia della scrittura femminile, a cura di Anna Maria Crispino, Manifestolibri, Roma 2003, pp. 159-169.


[1] Una discussione epistolare tra Anna Seghers e Georg Lukács, in G. LUKÁCS, Il marxismo e la critica letteraria, Einaudi, Torino, 1973, pp. 378-415. In seguito indicato come ASGL.

[2]  C. WOLF, La ragione terrena, in A. SEGHERS, La gita delle ragazze morte e altri racconti, ed. it., La Tartaruga, Milano, 1981, p. 176. Successivamente LRT.

[3] Für Christa Wolf, in A. SEGHERS, Aufsätze, Anprachen, Essays 1954-1979, Aufbau Verlag, Berlin und Weimar, 1984, p. 393. Successivamente FCW.

[4] A. SEGHERS, Incontro a Praga, ed. it., Ugo Guanda Editore, Milano, 1983. In seguito IaP. Sul significato dirompente del racconto cfr. R. Calabrese, Il viaggio a Praga di Anna Seghers, in «Cultura Tedesca», 15, dic 2000, pp.159-170.

[5]  Deutsche Literatur zwischen 1945 und 1995, a cura di H.A. Glaser, Verlag Paul Haupt, Bern-Stuttgart-Wien, 1997, p. 393.

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