Anche questo va detto

Matteo Galli

Il sospetto era sorto già sei anni fa, nel 2006, quando pochi giorni prima che uscisse in libreria Beim Häuten der Zwiebel (Sbucciando la cipolla), Günter Grass aveva convocato Frank Schirrmacher, il capo-redattore culturale della “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e aveva anticipato la “rivelazione” più importante contenuta nel proprio testo autobiografico: la sua militanza – all’età di 17 anni – nella divisione delle SS “Frundsberg”. Sospetto di una narcisistica coazione all’esposizione mediatica. Ancora negli anni ’90 e poco dopo l’inizio del nuovo millennio Grass era riuscito ad attirare l’attenzione su di sé avvalendosi di mezzi squisitamente letterari, unico autore occidentale di peso a scrivere un testo capace di immischiarsi nel “Wendediskurs” con Ein weites Feld (1995), sdoganatore (seppur solo apparente) di tutto il complesso “fuga ed espulsione” con la novella sulla Gustloff Im Krebsgang (2002). Ciascuno di questi testi aveva avuto il suo bel dibattito: Reich-Ranicki che fa letteralmente a pezzi Ein weites Feld sulla copertina dello “Spiegel” repliche e controrepliche, un libro-dossier di 500 pagine edito da Oskar Negt fornisce un corposo spaccato di quanto sia stato scritto allora; acceso dibattito sulla legittimità del “deutsches Leid” in margine alla novella che ha attraversato per non meno di tre-quattro anni la sfera pubblica tedesca. Fino a non poterne più. Poi Grass è stato al centro dell’interesse nel 2003 in occasione dell’uscita delle sue poesie erotiche senili (Letzte Tänze), nel 2007 in occasione delle poesie che riflettevano sull’affaire dell’anno prima e in occasione dell’80esimo compleanno, nel 2009 in occasione del cinquantennale del Tamburo di Latta, nel 2010 in occasione della pubblicazione del suo dossier della Stasi. Nel frattempo uscivano le sue ultime opere: il testo semi-autobiografico Agfa Box nel 2008, il diario dei mesi della “Wende” Unterwegs von Deutschland nach Deutschland nel 2009 (appena pubblicato in Italia, da Einaudi) e Grimms Wörter nel 2010. Se si affermasse che queste opere abbiano avuto in Germania una vasta eco, si mentirebbe.

Ed ecco che adesso, mercoledì 4 aprile, con una operazione concertata, concertatissima Grass, scrittore premio Nobel del 1999, pubblica sui quotidiani di mezzo mondo (in Italia sulla “Repubblica” tradotta dal fido Claudio Groff) una “poesia” intitolata Was gesagt werden muss (Quel che va detto). La causa, il pretesto di questo sfogo sarebbe la fornitura di un sommergibile da parte di aziende tedesche al governo israeliano. E’ quindi giunta l’ora di dire che Israele è una potenza bellicista, che mette in serio pericolo la pace nel mondo, che da tempo possiede armi nucleari, che dunque ciò che per altri paesi medio-orientali è solo un sospetto per Israele è una certezza, che però in un gesto di vigilanza eroico-critica l’io lirico (?) è ben consapevole del fatto che, da tedesco, non può, non potrebbe arrischiarsi a parlare di tutto ciò, finirebbe per forza per essere tacciato di antisemitismo, eppure non può proprio esimersene, deve, deve, deve, seppur “mit letzter Tinte”, con le ultime gocce d’inchiostro che gli restano.

Ma andiamo! Grass si erge per l’ennesima volta a coscienza della nazione che accusa, al contempo auto-flagellandosi, e si scaglia contro un tabù che – anche in Germania – un tabù non è. Viene da chiedersi: ma Grass dove vive? Gli arrivano notizie lassù nello Schleswig-Holstein, nella sua bella biblioteca di Behlendorf, inquadrata in questi giorni dai media tedeschi, da tutte le possibili angolazioni, di ciò che i giornali di mezzo mondo da decenni scrivono? Leggetevi la “poesia” e ditemi se contiene affermazioni davvero originali. E poi: signori miei, poesia?! Intervistato, Grass si è subito situato nella grande tradizione dei “Prosagedichte”, che parte con Goethe e prosegue con Hölderlin, Heine, Brecht fino ad arrivare a Erich Fried. Non stiamo per favore a scomodare i grandi, a me anche le poesie più impegnate di Erich Fried sembravano migliori, quanto meno erano meno logorroiche, meno saccenti e più dialettiche. Il linguaggio di Grass è proprio quello di un articolo di fondo, scritto male peraltro, anche partendo da un’idea di lirica estensiva, modernista, avanguardista, questo insopportabile sfogo logorroico non riesco a considerarlo una poesia. Secondo me ha ragione Sybille Lewitscharoff: “Wenn der Grass-Text ein Gedicht sein soll, dann habe ich gerade nach Verzehr einer Forelle mit Hilfe von zwei, drei melodischen Fürzen eine neue Matthäus-Passion komponiert.“ (“Se il testo di Grass è una poesia, allora vuol dire che io dopo aver mangiato una trota e con l’aiuto di due o tre scoregge melodiche ho composto una nuova Passione secondo Matteo”). E i media, davvero a corto di idee, cadono nel tranello: il palinsesto televisivo di giovedì sera era impressionante, Grass dappertutto. E c’è già una documentatissima pagina di Wikipedia, in tedesco, curdo, turco e norvegese.

Matteo Galli

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10 Responses to Anche questo va detto

  1. Michele Sisto says:

    Condivido il giudizio sulla poesia: è brutta, e non dice nulla di nuovo. Inoltre, il gesto del vecchio intellettuale che ‘non può più tacere’ è ormai poco credibile, anche perché a usurarlo ha contribuito lo stesso Grass.

    Però non riesco a rassegnarmi al fatto che uno scrittore come lui sia così mal ridotto da non trovare altro modo – se il fine è semplicemente quello di guadagnarsi un po’ di visibilità mediatica – che speculare su questioni dolorose come quella mediorientale. Se così fosse, sarebbe un cinico della più bell’acqua, peggio di quelli che gli danno tanto facilmente dell’antisemita, come Brodyk.

    Ho anche pensato che la sua volesse essere una provocazione, che volesse rivelare, attraverso le reazioni, quanto sia ancora torbida la coscienza tedesca e quanto i suoi amministratori siano, come negli altri paesi occidentali, dei ‘cani da guardia’. Ma il mezzo – la poesia – è così rozzo, che mi sento di escludere questa generosa intenzione smascherante. E poi: ce n’era bisogno?

    Preferisco pensare, come suggerisci, che sia un tantino fuori dal mondo. Meglio onubilato dalla senilità che dall’ansia di essere al centro dell’attenzione.

    E se così è, non darei troppo peso a queste piccole miserie, e tornerei a leggere il ‘Rombo’ o l”Incontro di Telgte’.

  2. Nadia Centorbi says:

    “Fortiter in re, suaviter in modo”, perché nell’espressione la poesia di Grass (è vero e concordo con quanto sopra già osservato) sembra meno incisiva e tonante di quanto la polemica scoppiata in questi giorni voglia lasciar intendere.
    Ma nella sostanza? È così lecito oggi in Germania prendere posizione sulla questione mediorientale se non si vuol incorrere nel rischio più che prevedibile di un sospetto o peggio ancora di un’accusa corale di antisemitismo? Per il meno accorto Martin Walser, per il quale il “fortiter in re” si amalgama disgraziatamente sempre col “fortiter in modo” (si pensi solo alle annose polemiche dopo il discorso di Francoforte), oggi non credo sarebbe stato possibile pronunciare anche solo mezza delle ovvie e nient’affatto sconcertanti verità della poesia di Grass. Bastò molto meno a Walser negli scorsi anni per attirarsi l’accusa di antisemitismo. Accusa che grava ancora pesantemente (non è incidentale sottolinearlo) sull’autore (che in Inghilterra, lo ricordo, non è stato più tradotto dopo l’affare di “Tod eines Kritikers” – e questo la dice lunga sul pericolo di compromissione con un’accusa tanto infamante, specie se l’autore in questione è lontano anni luce dal delirio antisemita).
    La difficile situazione mediorientale e la (condivisibile o meno) strategia israeliana sono diventati in Germania (specie nell’ultimo anno) terreno rovente per un dibattito: è di questa estate, per esempio, l’animato dibattit tra Klaus Ernst e Gysi, dibattito sul quale, lo ricorderete, i media tedeschi hanno sguazzato con e senza moderazione, ora entrando nello specifico della questione ora accusando tout court la sinistra tedesca di antisemitismo. Nessuna meraviglia, quindi, se a distanza di meno di un anno (la polemica all’interno della sinistra tedesca sulla questione israeliana è del giugno/luglio scorso) Grass esca allo scoperto con la sua poesia. L’ovvietà dei versi:
    Warum aber schwieg ich bislang?
    Weil ich meinte, meine Herkunft,
    die von nie zu tilgendem Makel behaftet ist,
    verbiete, diese Tatsache als ausgesprochene Wahrheit
    dem Land Israel, dem ich verbunden bin
    und bleiben will, zuzumuten.
    è tutt’altro che ovvia. A dimostrarlo è, infatti, la reazione. E soprattutto la voluttuosa (solo per i media ovviamente) miscela di colpa e fustigazione che si inscena pubblicamente e senza risparmio. Sulla FAZ di oggi (http://www.faz.net/) campeggia un Reich-Ranicki amareggiato e afflitto. Scena vista e rivista negli scorsi anni quando la FAZ sguazzava nel pantano (tutto mediatico) nel quale era già finito prima Walser e poi Grass. Repetita iuvant. Sed stufant! Le accuse di Reich-Ranicki assecondano come sempre l’onda lunga della Zeitkritik (sorella germana dello Zeitgeist direbbe Walser). A suo dire, Grass “stellt die Welt auf den Kopf” („capovolge il mondo“), laddove annuncerebbe che Israele vuole cancellare l’Iran e non il contrario. In effetti, la seconda strofa della poesia di Grass sembra abbastanza equivoca su questo punto, assecondando di conseguenza interpretazioni di tal sorta. Ma che la poesia sia “ein geplanter Schlag nicht nur gegen den „Judenstaat“, sondern gegen alle Juden“ („un colpo inferto non solo contro lo „Stato israeliano” ma contro tutti gli ebrei”) sconfina chiaramente nel circolo vizioso della voluttà di recriminazione. Si tratta di cinismo, per richiamarmi alla polemica lanciata da Michele Sisto, o forse di una provocante dimostrazione di quanto la letteratura sia oggi asservita agli ingranaggi della Zeitkritik fino allo stritolamento?

  3. Michele Sisto says:

    Sì, Nadia, hai ragione a ricordare il contesto, e anche il caso Walser.

    In effetti, in un primo momento, ho pensato anch’io che quella di Grass potesse essere una ‘provocante dimostrazione’, che intendesse smascherare i vari Brodyk, Reich-Ranicki, ecc. e affermare la libertà della letteratura di fronte alla Zeitkritik (giornalistica). Ma tenderei a escluderlo perché la poesia, ahinoi, è maledettamente ingenua, si presta troppo facilmente all’accusa meccanica di antisemitismo: uno scrittore così raffinato come Grass e così esperto di polemiche mediatiche poteva trovare di meglio. Il testo non contiene nessun elemento sul quale gli Zeitkritiker avrebbero potuto inciampare, non sposta in nulla i termini del dibattito, si lascia troppo facilmente annettere a un fronte polemico tanto fisso quanto quello opposto: in una parola, è meccanica, tanto quanto le accuse che ha attirato al suo autore.

    Se il fine era semplicemente ‘provocare’, bene: provocazione riuscita. Na und? Si sono versati per l’ennesima volta inutili fiumi d’inchiostro e non si è fatto un passo avanti. Ma se il fine era – come sarebbe stato auspicabile per un intellettuale della statura e del prestigio di Grass – affermare l’autonomia della letteratura dalla Zeitkritik, o meglio ancora contestare la Zeitkritik, allora il mezzo mi pare del tutto inadeguato, proprio perché la poesia rimane (per contenuto, per forma, per gesto retorico, per il modo della mediatizzazione) del tutto all’interno di quella Zeitkritik che avrebbe dovuto contestare. Quando le fazioni in campo sono due, e altrettanto irrigidite, prendere posizione per l’una o per l’altra non fa che alimentare la sterilità del dibattito.

    Bada che amo molto Grass, e penso che sia non solo un grandissimo scrittore, ma anche, forse, dopo la morte di Wolf e Mueller, l’ultimo intellettuale (quantomeno del tipo affermatosi nel dopoguerra: niente a che vedere con lo scaltritissimo Enzensberger!) rimasto in Germania. Certo, anche le sue prese di posizione di vent’anni fa contro la riunificazione potevano essere, come quest’ultima, considerate interne alla Zeitkritik (che allora imponeva la presa di posizione pro o contro la DDR), ma erano infinitamente più articolate: dai molti saggi dell’89-90, a ‘Unkenrufe’, ‘Ein weites Feld’ e al diario ‘Von Deutschland zu Deutschland’, la quantità e la qualità di argomenti, prospettive storiche e culturali, proposte politiche è stata indiscutibilmente grande. Con questa poesia, invece, non va molto al di là del tifo: ‘rendo pubblicamente nota la mia posizione rispetto alle due squadre in campo’. C’è qualcosa di patetico, che ricorda gli interventi di un altro premio Nobel, Dario Fo, contro Berlusconi. Tutti d’accordo, per carità: prendere posizione è doveroso, ma quello che conta è – per un intellettuale! – la qualità degli argomenti.

    Grass aveva tutti i mezzi per contestare la Zeitkritik in sé, la qualità del dibattito sulla questione mediorientale in Germania. Poteva scegliere come bersaglio proprio i ‘cani da guardia’: sarebbe stato utile, e anche divertente. E invece si è limitato a dire, was gesagt werden muss, col risultato di intorbidare ulteriormente le acque di quella che più che una ‘critica della contemporaneità’ (troppo onore!) definirei un’assillante e sempre più stucchevole ‘apologia della contemporaneità’.

  4. francesco aversa says:

    Günter Grass spesso delude. Gli viene offerto, o si prende, un palcoscenico pubblico e il fine uomo di lettere soccombe di fronte al polemista sanguigno – e si distanzia da altri spiriti civili e dialettici del suo tempo, tipo Heiner Müller o Volker Braun, che riescono a edificare il loro piglio civile su una caratura letteraria di tutto rispetto. E Grass dimostrò già con il suo discorso di ringraziamento per il premio Büchner (del 1965) di non volersi sottrarre a quella che lo stesso sembrerebbe percepire come missione pubblica del poeta, quella di impartire lezioni civiche – e raccontò della sua tournée elettorale in forza alla campagna della SPD. Una scelta che rende quel discorso decisamente meno pregevole di una Meridian-Rede di Celan o della Wunde Woyzeck di Müller. Lo stesso potrebbe dirsi della sua necrologia per la morte di Christa Wolf, apparsa sulla Frankfurter Rundschau: un’arringa all’indirizzo dei linciatori di Wolf nel famigerato Literaturstreit, Ulrich Greiner e Frank Schirrmacher – un testo distante da quello, splendidamente delicato e poetico, con cui Volker Braun ricorda l’amica e compagna di lotta Christa sulla Zeit. E rieccoci oggi con il caso ‘caso Israel-Gedicht’.

    Eppure la polemica che investe, o mette al centro, Grass in questi giorni è per un verso inedita. A farsi sentire, questa volta, non ci sono solo i soliti noti della scena mediatico-intellettuale (Reich-Ranicki, Schirrmacher, Biermann, Hochhuth, Anz, o la non propriamente lucida Fiamma Nierenstein dalle nostre parti), ma anche l’ex ambasciatore in Germania Avi Primor, il ministro degli esteri Westerwelle, il primo ministro israeliano Netanyauh. Insomma, l’allegro ottantaquattrenne Grass è riuscito a ad attirarsi (contro) l’attenzione di mezzo mondo. Ma perché lo fa? Mancanza di idee cui appigliarsi perché si parli di lui? Bisogno di troupe televisive in salotto? Che l’autore sia vittima della propria senilità lo escluderei, anche solo alla luce delle lucide, e per niente banali, dichiarazioni rilasciate dallo stesso a ‘reti unificate’ nello scorso finesettimana (quelle su 3sat, ad esempio, dove veniva ‘incalzato’ da un giornalista, lui sì, a corto di idee). Inoltre, ed è questo il punto, nemmeno mi pare calzante il giudizio di chi lo accusa di voler rompere un tabù che tale non è. Non basta dire, come fa Matteo nel suo post, che i giornali di mezzo mondo ne parlano da tempo. Ebbene: quelli tedeschi ne parlano poco, e quando si tratta di affrontare la bellicosità di Israele, il reporter tedesco ricorre alla strategia del titolo scaricabarile, tipo “Washington teme un attacco unilaterale di Israele” (Der Spiegel, 01.12.2011), o dell’armamento preventivo in risposta alle minacce di Teheran (Süddeutsche Zeitung, 11.02.2012).

    Ritengo che il tabù ci sia ancora. Il tedesco medio – forse l’io lirico di una poesia mediocre – si ritiene amico di Israele ‘per forza di cose’, a meno che non voglia essere in odore di neonazismo. Ma il tabù riguarda anche l’intellettuale di nazionalità tedesca. Non ricordo una corsa in trincea simile ai danni delle dichiarazioni di Harold Pinter (lui ebreo, d’accordo) o José Saramago quando puntualmente attaccarono Israele in difesa dei territori sottratti ai palestinesi – elemento presente anche in ‘Was gesagt werden muss’. Il tabù permane e l’autoflagellazione di cui parla Matteo è sì presente nell’io di Grass, ma è manifesta in ben maggiore misura nelle reazioni a Grass, spesso viziate da varie petitiones principii, e sintomatiche del particolare sentire tedesco. Lo Stato giustamente protegge, ad esempio col piantonamento 24/7, i luoghi di culto ebraici, ma ha ancora difficoltà nel distinguere antisionismo da antisemitismo – e, nell’indecisione, si butta decisamente sul secondo, mettendosi al riparo da eventuali ritorsioni della diplomazia e della political correctness. E Grass, nel suo testo, appunto, lo prevede: «Das Verdikt “Antisemitismus” ist geläufig». E mi piace leggere negli imbarazzi dell’opinione pubblica tedesca, immatura e attendista quando si parla di Israele, il vero nodo gordiano di tutta la faccenda: l’esistenza di Israele appartiene alla ragion di Stato tedesca (come viene ripetuto in ogni occasione) e le minacce alla pace mediorientale non debbono essere mai imputate a Israele – basti prendere un discorso a caso, di un politico a caso, pronunciato al Bundestag in occasione di un qualche anniversario dello stato di Israele.

    Il testo – non riesco a chiamarlo poesia, sarebbe troppa grazia – ha un pregio non secondario, che forse lo salva dalla evidente caducità letteraria, ovvero mette in luce un impaccio, fa emergere un discorso eccedente per l’opinione pubblica tedesca mainstream. Che dall’accusa allo stato tedesco di aver finanziato per un terzo – 135 milioni di euro – il sesto sottomarino a testata atomica venduto a Israele, e questo mi pare il dato che spinge Grass a parlare, si arrivi a rinvenire una anche solo latente colorazione antisemita è a beneficio del discorso dominante nella imbarazzata pubblicistica tedesca, oppure – come è successo – di esponenti della destra xenofoba.

    P.S. Mi stupisce che Giovanni Di Lorenzo abbia rifiutato la pubblicazione del testo nella Zeit. Che sia da ricondurre a una politica redazionale mirante alla qualità letteraria di ciò che viene pubblicato? Siamo sicuri che le poesie ‘politiche’ che hanno occupato per settimane (dal marzo del 2011) una colonna della Zeit fossero di maggior pregio? E le lenzuolate con cui Di Lorenzo ha dato spazio al von und zu Guttenberg?

  5. Michele Sisto says:

    E’ curioso come l’interesse di tutta la faccenda non stia nel testo, che mi pare tutti consideriamo mediocre (ma allora perché una poesia? perché non ha scritto un saggio ben argomentato?), bensì fuori dal testo: nello stato dell’opinione pubblica tedesca, nel discorso dominante presso i politici, ecc. E’ in base a questo rapporto che anche la nostra piccola discussione si è polarizzata tra chi è più infastidito dalla poesia (e dal protagonismo?) di Grass e chi dall’ipocrisia (dal conformismo) del discorso tedesco, e non solo, sulla questione mediorientale.

    La presa di posizione di Grass potrebbe considerarsi riuscita, a livello comunicativo, se si cominciasse a discutere, in Germania e fuori, del fatto che uno Stato (non importa che sia la Germania) spende 135 milioni di euro per fornire a un altro Stato (non importa che sia Israele) un sottomarino a testata atomica. Ma andrà così?

  6. Chiara Marmugi says:

    Anch’io ho trovato la poesia molto banale e irritante l’atteggiamento pseudoprovocatorio. E concordo con Biermann che una volta definì i testi di Grass “Nieselregen”, una pioggia che dà solo fastidio e non bagna veramente. Però trovo ancora più irritante chi continua ad additarlo come antisemita.

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  8. francesco aversa says:

    A beneficio di chi voglia farsi un’idea della portata della polemica, che per Thomas Anz non ha precedenti negli ultimi decenni!, e in aggiunta alla pagina wikipedia segnalata da Matteo, riporto due link che raccolgono interventi e hyperlinks di vario orientamento.
    Il primo mi è stato segnalato da Elisabetta Mengaldo, mentre il secondo è la pagina di literaturkritik.de curata dal succitato Anz, che della ‘poesia’ offre anche una “kleine Verteidigung”.
    Buona lettura!

    1)
    http://www.hintergrund.de/201204062011/feuilleton/zeitfragen/was-auch-noch-gesagt-werden-muss.html

    2)
    http://www.literaturkritik.de/public/online_abo/forum/forumfaden.php?rootID=144#thmsg3

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  10. michele sisto says:

    Dopo qualche giorno, e nonostante gli auspici di Ingo Schulze, la discussione mi pare si stia riorganizzando in due fronti: da una parte chi rivolge a Grass l’isterica accusa di antisemitismo, dall’altra chi doverosamente lo difende. Ancora una volta ci si accanisce su delle sciocchezze (qui la posizione, nella sostanza sottoscrivibile, di Marco Rovelli su Alfabeta2: http://www.alfabeta2.it/2012/04/18/quello-che-deve-essere-detto/). Dove’è finito il tema sollevato (maldestramente) da Grass? Dove si discute di spese militari, testate nucleari, relazioni internazionali?

    Tutta la faccenda mi suscita un paragone irriverente. Quando da piccolo andavo in campagna, da mia nonna, c’erano sull’aia della cascina tre cani alla catena, che abbaiavano a chiunque si avvicinasse, e più che mai al ragazzino che gettasse un sasso all’interno del recinto. Bastava tenersi sul lato sinistro della strada per non suscitare la cagnara, e proseguire indistrurbati. A me sembra che il mondo di oggi, l’Italia in particolare, sia pieno di cani alla catena pronti ad abbaiare antisemita!, antiamericano!, antipolitica!, antiitaliano! e così via. A cosa serva, è fin troppo chiaro. Mi chiedo se valga la pena – me lo chiedo davvero – avvicinarsi al recinto e gettare il sasso, come ha fatto Grass con la sua poesia, o se non sia meglio tirar dritto, concentrarsi sulla destinazione (se ne abbiamo una).

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