Gratitudine

Oggi sono andato a sentire Gianni Celati che leggeva dalla sua traduzione dell’Ulisse di Joyce al Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci, un incontro organizzato dal Seminario Internazionale sul Romanzo dell’Università di Trento. Celati ha raccontato un po’ la trama, ha parlato del ‘disordine delle parole’, del ‘continuo disastro quotidiano del pensiero’, ha detto che per leggere l’Ulisse bisogna lasciarsi andare, e ha detto qualcosa sulla bellezza e sulla musica, sul fatto che Stephen Dedalus vorrebbe fare il cantante d’opera lirica (e che anche Joyce ci pensava, a fare il cantante). Poi ha letto dei brani: Stephen che gli viene in mente Aristotele sulla spiaggia di Dollymount, Bloom quando entra nella carrozza per andare al funerale e i suoi pensieri mentre passeggia per Dublino, gli avventori del pub con la loro ‘calata’, quel modo di parlare che si sente nelle osterie e che per renderlo in italiano torna utile un vecchio dizionario squadernato del 1901. Ci siamo divertiti. Alla fine gli hanno chiesto se nel tradurre si fosse più divertito o se fosse stata più la fatica. Ha detto che a volte gli veniva da spaccarsi la testa contro un muro, ma che se non si fosse divertito non avrebbe tradotto neanche una riga. Non ci sono state altre domande. Neanch’io ne avevo. Ero contento, pensavo solo che avevo addosso un senso di gratitudine, gioioso, anche. Alla fine sono andato a dirglielo, che avevo questo senso di gratitudine, mi ha ringraziato, ci siamo stretti la mano. Poi, uscendo, ho pensato che l’avevo provato un’altra volta, questo senso di gratitudine, di questo tipo particolare, per qualcosa che trasmette un amore per il mondo, diciamo così, incondizionato. Più spesso provo un altro tipo di gratitudine, per libri, diciamo libri, che mi danno il brivido della storia e della possibilità di governarlo, il mondo. È il brivido dell’intelligenza che mi prende quando leggo Brecht o Lukács o Cases o Fortini o Heiner Müller o Bourdieu o Giovanni Arrighi, che è una specie di amore per il mondo come potrebbe essere. Ma questo senso di gratitudine qui, invece, che ho provato ascoltando l’Ulisse tradotto e letto da Celati, mi ha fatto venire in mente Der Stechlin di Theodor Fontane, un romanzo che ho letto che avrò avuto vent’anni, e ricordo bene che mentre lo leggevo ero grato a Theodor Fontane e che lui, Fontane, aveva scritto al suo editore di essere contento perché, a quasi ottant’anni, aveva scritto cinquecento pagine in cui non succedeva quasi nulla ma si chiacchierava di tutto, über Gott und die Welt, e ricordo che poi avevo letto un saggio di Thomas Mann sul vecchio Fontane, o forse era un altro saggio, più breve, dove parlava del sentimento che provava per Fontane, in cui diceva, Thomas Mann, che ce l’aveva anche lui, quel senso di gratitudine lì.

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