Architettura

Massimo Bonifazio

Mattinata tersa a Catania, e gelo: inusuale e quindi più pungente. In piazza Dante alzo gli occhi, e mi trovo davanti la cupola di san Nicolò, la chiesa del Monastero dei Benedettini, finalmente priva dei ponteggi che da decenni ne ostruivano la vista: non so da quanto è così, non me n’ero accorto prima. Ora la cupola è così pulita, così netta sull’azzurro, con quel colore rosato che contrasta con il tufo chiaro del resto; il culmine della lanterna è contornato di morbide nicchie, e di sopra, discreta, la croce di metallo.

Quanto equilibrio in questa bellezza barocca, come in tutto il Monastero. Penso che sarebbe bello conoscere meglio la storia dell’architettura, i modi in cui gli esseri umani hanno pensato e costruito i loro edifici, hanno imposto al paesaggio una bellezza che in fondo non gli era estranea. Penso che vorrei conoscere l’architettura per immergermi in questo edificio, in edifici come questo, per buttarmi in un corpo a corpo con loro – ecco, penso, mi piace questa espressione «corpo a corpo», non nel senso guerresco, piuttosto nel senso amoroso – una lotta per gioco, in cui non si vuol far male all’altro – dove «Küsse und Bisse», baci e morsi, fanno finalmente rima: ma non per distruggere l’altro. Kleist, certo: ma questo non è ancora il commento al Kolhaas. È soltanto un addentellato a quanto scritto da Eugenio Spedicato riguardo al Meridiano, e pubblicato anche su questo blog, quella bellissima chiusa, la necessità di «individuare anelli di congiunzione con il nostro tempo e la nostra condizione». In questo senso desidero il corpo a corpo: del testo (letterario, architettonico…) contro il mio corpo, nella loro viva concretezza.

Massimo Bonifazio

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3 Responses to Architettura

  1. michele sisto says:

    Corpo a corpo: mi chiedo cosa significhi oggi individuare anelli di congiunzione tra un testo come il Kohlhaas e la nostra condizione. Forse dovremmo ricordare quando ciascuno di noi ha subito un’ingiustizia, un trattamento iniquo (e sprezzante), e come abbiamo reagito. O chiederci come reagiremmo, nel caso accadesse. Fino a che punto saremmo capaci si spingerci nella reazione. Fino a che punto avremmo la forza portare avanti la nostra causa, senza cedere, neanche una volta capito che il ristabilimento della giustizia potrebbe coincidere con la nostra fine. (Questo al condizionale, pensando a un futuro eventuale; ma al passato suona forse più inquietante: fino a che punto siamo stati capaci di spingerci nella reazione, fino a che punto abbiamo avuto la forza di portare avanti la nostra causa, senza cedere…).

  2. michele sisto says:

    Più penso a Kohlhaas, più mi viene alla mente un racconto lungo /romanzo breve di Tolstoj, pubblicato circa un secolo dopo: Chadzi-Murat. Anche la peripezia del guerriero caucasico ha inizio a causa di un torto subito. Anche lui diventa un brigante e un assassino. E anche lui finisce ucciso. Ma ho l’impressione che le analogie non finiscano qui. Nella premessa al racconto Chadzi-Murat è paragonato a un cardo o a una lappola, che secondo il Sabatini-Coletti è una pianta “con frutti muniti di uncini che si attaccano facilmente alle vesti e al vello degli animali”, e, in senso figurato, una “persona noiosa e appiccicaticcia”.

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