Grete Weil, Mia sorella Antigone

[nella Giornata della Memoria, propongo qui di seguito il decimo capitolo del romanzo Meine Schwester Antigone di Grete Weil, uscito nel 1980. Nella Francoforte di fine anni Settanta un’anziana scrittrice ebrea tedesca, sopravvissuta solo fisicamente alla shoah, si ritrova in casa una giovane in fuga. Il presente dell’autunno tedesco e il passato (mai passato) della persecuzione si sovrappongono nei pensieri della narratrice e nel difficile dialogo tra le generazioni.]

Fuggire a casa. Fuggire come condizione, senza sapere da che cosa fuggo. Fuggire dai nazisti – quelli sì che erano tempi, paura reale, fuga reale, nascondersi, necessità di agire, talvolta in modo terribilmente sbagliato, come con Waiki. Ma alla fine imparai i trucchi necessari alla sopravvivenza, divenni una perseguitata perfetta. Lo sono ancora. Ma nessuno più mi perseguita. Posso entrare e uscire dove voglio, utilizzare qualsiasi mezzo pubblico,  viaggiare (quasi) in qualsiasi luogo, il passaporto che ho in borsa è vero – è tedesco, cosa che talvolta trovo curiosa o strana –, ciò nonostante fuggo.

La traduzione è mia ed è tratta da Grete Weil: Mia sorella Antigone, a cura di Karin Birge Büch, Andrea Gilardoni e del sottoscritto, Milano, Mimesis 2007 (il quadrifoglio tedesco; 1)

Mia sorella Antigone_cap. X

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