Erich Wiechert, Missa sine nomine

Goffredo Fofi

È riposante e consolante rileggere certi vecchi romanzi dimenticando ogni tanto quelli affannati e superficiali del nostro ambiguo presente. Ernst Wiechert fu un tempo scrittore notissimo, rivale di Thomas Mann nella fama e più di lui legato a una classicità ottocentesca bensì più chiusa e più morale, religiosa, meno moderna o che si è lasciata meno coinvolgere dal moderno. Egli visse gli orrori della prima guerra mondiale e per la sua opposizione al nazismo fu nel lager di Buchenwald durate la seconda (trasse da quest’esperienza, a guerra finita, la testimonianza La selva dei morti) ma ha costruito, secondo una vena post-romantica e radicalmente etica, dei romanzi che parlano più di anima che di corpo e i cui protagonisti incarnano e dibattono grandi problemi, alte scelte che sembrano astrarre dal realismo e dalla psicologia novecenteschi. Dopo La vita semplice, è Missa sine nomine (1950) il suo romanzo più rappresentativo. Vide la luce nell’anno della sua morte e fu tradotto in italiano per la Medusa mondadoriana da Ervino Pocar sembrando già allora un libro fuori tempo o oltre il tempo, anche se raccontava il ritorno a casa dalla prigione di un personaggio simile a Wiechert, i terribili e confusi primi tre anni del dopoguerra, il difficile distacco della Germania dal suo  passato recente, la necessità di ricominciare una nuova storia. Forse è stato Heinrich Boell l’unico scrittore ad aver preso qualcosa da Wiechert, ma questo romanzo resta unico nel suo genere, con i suoi tre nobili fratelli e le loro diverse vicende e soluzioni, e il ricco coro di personaggi significativi che li attorniano o con i quali si scontrano da un Natale all’altro, nella ricerca, molto ardua, di riconquistare la fiducia nell’uomo. Mai convulso, sempre seriamente pacato anche nel racconto degli orrori (meno che nel breve e lancinante incontro del protagonista sulla soglia di una chiesa con una donna che piange il suo uomo inchiodato dai nazisti al portale, ed è forse questa la “missa sine nomine” del titolo), dalla parte degli umili dei giusti dei perdenti, contro la violenza nazista ma anche critico nei confronti di quella degli altri (dell’uomo sull’uomo), Wiechert propone la giustizia per le vittime ma anche il recupero degli agnostici e dei fanatici, l’indispensabile quiete dopo la furia, la difficile serenità dei sopravvissuti, la vita che deve continuare.

Goffredo Fofi

Ernst Wiechert, Missa sine nomine, trad. di Ervino Pocar, Ancora, 2011

da: Lo Straniero, 138-139, dicembre 2011 – gennaio 2012

altre recensioni si possono leggere sul sito della casa editrice Ancora

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