Il Teatro di Johann Friedrich von Cronegk

[Con il Teatro di Johann Friedrich von Cronegk si inaugura la collana Germanistica diretta da Giovanna Cermelli, Maurizio Pirro e Luca Zenobi presso le edizioni Arnus University Press di Pisa. Oltre alla presentazione editoriale ne ripropongo qui l’introduzione. M.P.]

Dalla presentazione editoriale: “Di Johann Friedrich von Cronegk (1731-1758) restano una piccola quantità di composizioni poetiche divise tra il gusto anacreontico e quello elegiaco propri del suo tempo, alcuni scarni scritti di estetica teatrale, drammi appena abbozzati e infine le tre opere qui presentate. Tipico letterato appartenente a un’epoca di transizione, incerto tra la fedeltà al codice curtense della dècence e l’attrazione per il linguaggio delle passioni praticato dall’Empfindsamkeit, la breve fama postuma di Cronegk copre i nove anni che trascorrono dalla vittoria in un celebre concorso per la composizione di tragedie, che si aggiudica nel 1758 con il Codrus, alla critica distruttiva che Lessing dedica nel 1767 a Olint und Sophronia. All’indomani di questa recensione Cronegk non verrà ricordato che per aver messo a disposizione di uno degli ingegni più brillanti del diciottesimo secolo un modello di scarsa perizia drammaturgica da demolire con una critica impietosa, intesa a promuovere, tramite la stigmatizzazione di un esempio negativo, l’educazione estetica del pubblico.”

Maurizio Pirro

 Introduzione

La sopravvivenza di Johann Friedrich von Cronegk nella storia della letteratura tedesca è in massima parte la conseguenza di una clamorosa stroncatura. Nel 1767, all’apertura del Teatro di Amburgo, che avrebbe dovuto offrire un contributo al superamento del particolarismo tipico della società tedesca del Settecento e alla nascita di una cultura nazionale, Gotthold Ephraim Lessing, che di questa impresa era stato il principale promotore, stabilisce di accompagnare le attività del nuovo palcoscenico recensendo regolarmente le opere rappresentate. Ben presto questa occasione contingente viene superata dalla crucialità delle questioni di estetica teatrale che Lessing si ritrova ad affrontare, e i singoli pezzi confluiscono in un trattato di grande respiro, la Hamburgische Dramaturgie, noto come uno dei testi di poetica fondamentali nella letteratura europea del Settecento. Le prime puntate di questo trattato sono appunto dedicate a una tragedia di Cronegk, Olint und Sophronia, che, rimasta incompiuta per la morte precoce dell’autore, era stata avventurosamente completata con un’approssimazione che non manca di suscitare l’ironia di Lessing, e aveva inaugurato il Teatro amburghese in un allestimento impreziosito dalla presenza di uno dei grandi attori dell’epoca, Conrad Ekhof, nel ruolo di Ismenore. Lessing sottopone il dramma di Cronegk a un esame minuzioso che non manca di metterne in rilievo tutti i gravi difetti: l’inverosimiglianza psicologica dei personaggi principali, il carattere peggiorativo delle modifiche introdotte rispetto alla fonte dalla quale il drammaturgo aveva ricavato l’intreccio tragico (il canto II della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso), l’imperfetta conoscenza della religione musulmana, che si manifesta in alcuni colossali svarioni come l’attribuzione di pratiche di devozione politeistica agli uomini riuniti nella moschea. L’effetto di questi giudizi è distruttivo, di qui in poi Cronegk non verrà ricordato che per aver messo a disposizione di uno degli ingegni più brillanti del diciottesimo secolo un modello di scarsa perizia drammaturgica da demolire con una critica impietosa, intesa a promuovere, tramite la stigmatizzazione di un esempio negativo, l’educazione estetica del pubblico del tempo[1].

Dopo la morte, avvenuta il primo giorno del 1758 a Norimberga per un’infezione da vaiolo, il ricordo di Cronegk era rimasto legato a un’ulteriore circostanza che aveva visto coinvolto Lessing. Nel 1756 lo scrittore Friedrich Nicolai, sostenitore di un illuminismo radicale alimentato da una spregiudicata teoria delle passioni umane, aveva fondato insieme a Lessing e a Moses Mendelssohn la «Bibliothek der schönen Wissenschaften und freien Künste», una rivista destinata a presentare e dibattere le idee portanti dell’illuminismo berlinese. All’istituzione della rivista Nicolai aveva associato un concorso per la composizione di una tragedia, il cui vincitore avrebbe ricevuto un compenso di 50 talleri. Nel tentativo di inquadrare l’iniziativa in un contesto teorico sistematico, i tre curatori della «Bibliothek» avevano avviato un dibattito epistolare sui caratteri costitutivi della forma tragica e in particolare sul tipo di effetto più conforme a tali caratteri (il cosiddetto Briefwechsel über das Trauerspiel, una raccolta di importanza decisiva per il retto intendimento degli elementi di riforma introdotti da Lessing nella storia del teatro tedesco). Nelle intenzioni di Lessing, dal cantiere teorico del carteggio doveva sortire un’opera drammatica innovativa, una “Virginia borghese”, secondo la sua espressione, con la quale progettava di concorrere all’assegnazione del premio. La tragedia vagheggiata da Lessing, Emilia Galotti, verrà terminata solo nel 1772, mentre al bando della rivista risponderanno tre autori di profilo decisamente più ridotto: Karl Theodor Breithaupt, uno studente di giurisprudenza, che presenterà un Renegat respinto con giudizio unanime dalla commissione, Joachim Wilhelm von Brawe, autore di un Freigeist palesemente modellato sul primo esempio veramente popolare di ‘dramma borghese’ in Germania (Miß Sara Sampson di Lessing, la cui prima rappresentazione era avvenuta destando enorme impressione nel luglio 1755), e infine Cronegk, il quale per l’occasione porterà a compimento quel Codrus che aveva iniziato qualche anno prima quando era studente all’università di Lipsia. Non è azzardato ipotizzare che la dichiarazione resa da Cronegk all’atto dell’invio del Codrus – in caso di vittoria avrebbe rinunciato alla cifra messa in palio dai promotori lasciandola a disposizione di chi si fosse aggiudicato la seconda edizione, che avrà luogo effettivamente nel 1759 – abbia avuto una certa influenza sull’esito di un concorso al quale, per adoperare una celebre espressione di Lessing, si erano iscritti non più che autori “zoppi”[2]. Fatto sta che il Codrus riceve il primo premio, anche se la decisione viene presa solo all’indomani della morte di Cronegk.

Benché oltre un secolo più tardi, nel 1883, Jacob Minor, introducendo una ristampa di Olint und Sophronia inserita in un volume nel quale Cronegk viene annoverato non a caso tra i “Lessings Jugendfreunde”[3], si esprimesse in termini del tutto disincantati circa il rilievo della presenza di Cronegk nel disegno generale della letteratura tedesca del Settecento[4], e l’autore di una dissertazione che rappresenta ancora oggi una fonte affidabile per la ricostruzione della breve esistenza dello scrittore affermasse qualche anno dopo che la scomparsa di Cronegk era caduta nella sostanziale indifferenza dei suoi contemporanei, poiché la sua opera “era pressoché sconosciuta a un pubblico ampio”[5], in realtà il conferimento del premio assegnato dai curatori della «Bibliothek» non restò privo di conseguenze sulla fama postuma del drammaturgo e sulla circolazione dei suoi scritti. Ancora Lessing scrive a Nicolai che Cronegk “possedeva una certa genialità, alla quale mancava unicamente ciò che adesso non potrà mai più raggiungere: la maturità”[6]; la raccolta in due volumi delle sue opere, approntata sulla base del lascito dall’amico Johann Peter Uz (benché tra grandi difficoltà, come confessa lo stesso Uz, vista l’indecifrabilità della grafia di Cronegk), riappare sette volte – tra edizioni accresciute e ristampe – tra 1760 e 1777[7], mentre la stroncatura di Olint und Sophronia a opera di Lessing viene seguita da proteste e polemiche che inducono il recensore, una settimana dopo, a rettificare il tono dei suoi giudizi (anche se non certamente la loro sostanza), esprimendo apprezzamento almeno per la “schietta intelligenza, la fine sensibilità e il limpido senso morale” dello scrittore[8]. La scelta di inaugurare la stagione del Teatro Nazionale di Amburgo con una messinscena del dramma incompiuto di Cronegk, del resto, è di per sé una testimonianza chiara del favore che al giovane drammaturgo era stato procurato dalla vittoria nel concorso organizzato da Nicolai.

Cronegk nasce il 2 settembre 1731 ad Ansbach, una città della Franconia al tempo capitale del margraviato di Brandenburg-Onolzlach, in una famiglia nobile di origine carinziana stabilitasi circa un secolo prima per ragioni religiose nella Germania meridionale. Il padre, al servizio dell’amministrazione militare del piccolo Stato, lo avvia molto presto allo studio delle lingue. In un secolo dominato dagli scambi tra culture e da un’intensissima attività di ricezione a tutti i livelli del dibattito intellettuale, la morte repentina di Cronegk, che in pochi anni aveva acquisito ottime conoscenze di francese, inglese, spagnolo e italiano, ha sicuramente privato la Germania di una figura di mediatore oltremodo dotata[9]. Iniziati nel 1749 a Halle gli studi universitari, l’anno dopo Cronegk si trasferisce a Lipsia, dove viene in contatto sia con i residui ormai dispersi della scuola gottschediana, verso la quale assume peraltro un atteggiamento di radicale contestazione, sia – e si tratta di una conoscenza decisiva per il consolidamento della sua identità di scrittore – con Christian Fürchtegott Gellert, una delle figure più rilevanti nel lungo processo di transizione della letteratura tedesca dai modelli classicistici ancora legati all’ordine feudale al sensismo di impronta urbana e borghese che si affermerà con forza a partire dagli anni Settanta. L’aspirazione di Gellert a un compromesso tra le classi ancora incerto tra il soddisfacimento delle legittime attese della borghesia produttiva e il profondo turbamento suscitato da ogni ipotesi di concreto cambiamento sociale (un’ambivalenza che si rivela limpidamente nel romanzo in due parti Das Leben der schwedischen Gräfin von G***, pubblicato tra 1747 e 1748) aveva nel concetto di virtù un paradigma di notevole efficacia, poiché attingeva sì, nella sua definizione tipologica, a un corredo di attitudini universali e del tutto indipendenti da una collocazione sociale specifica, ma non poteva poi che trovare espressione in una forma pragmatica di condotta che finiva per coincidere con l’ambito di azione del terzo stato. L’influenza di Gellert sulla formazione di Cronegk si ritrova nell’onnipresenza di questa interrogazione circa l’essenza della virtù; una questione per la quale il drammaturgo cerca risposte sia nella versione eroica delle due tragedie, sia nella commedia Der Mißtrauische, in cui l’adesione ai precetti del maestro è ancora più tangibile perché Cronegk si studia qui di adattare alla costruzione dell’intreccio quanto Gellert aveva scritto nel trattato Pro comoedia commovente, ricavato da una lezione tenuta nel 1751 all’università di Lipsia, a proposito delle qualità morali della commedia.

Nel dicembre 1752, terminati gli studi, Cronegk intraprende un viaggio di formazione del tutto aderente alle consuetudini del grand tour. È in Italia, dove visita Venezia, Firenze, Roma e Napoli, e in Francia. A Parigi, in particolare, resta affascinato dalla ricchezza della cultura teatrale – un’esperienza che orienta una volta per tutte la sua attività in direzione della drammaturgia. Tornato in Germania, all’inizio del 1754 prende servizio nell’amministrazione statale presso la corte di Ansbach e parallelamente apre un multiforme cantiere creativo, che comprende lirica anacreontica, poesia sapienziale, elegie in alessandrini ed esametri nel gusto corrente di Edward Young (la seconda parte delle Einsamkeiten appare nel 1758 con una prefazione di Salomon Gessner, all’epoca un autore di enorme popolarità) e soprattutto opere teatrali. Quando muore, Olint und Sophronia è ferma alla quinta scena del quarto atto; nel 1764 il bibliotecario austriaco Ignaz von Roschmann-Hörberg aggiungerà al testo una conclusione per una messa in scena in un teatro di Vienna. Questo quinto atto, a lungo considerato perduto, verrà ritrovato e pubblicato nel 1880.

Il diffidente è un prodotto del periodo trascorso a Lipsia. Alla composizione della commedia Cronegk è spinto in particolare dalla conoscenza della compagnia teatrale diretta da Heinrich Gottfried Koch, che aveva appena rifondato un proprio gruppo dopo aver abbandonato quello diretto da Friederike Caroline Neuber, la famosissima attrice insieme alla quale aveva avviato una campagna di purificazione delle scene tedesche dai residui del teatro popolare alimentata dalle teorie di Gottsched. Cronegk non arriva a pubblicare il testo, che appare per la prima volta nella raccolta di Uz, per avere poi – unica fra le opere drammatiche dell’autore – un’edizione moderna[10]. L’intento morale sotteso all’elaborazione di un soggetto così palesemente didascalico è indebolito dall’insufficiente lavoro di definizione psicologica al quale Cronegk sottopone la figura del protagonista. La diffidenza di Timante appare più l’espressione patologica di una vera e propria ossessione che il risultato, per quanto parossistico, di un esame della realtà nella quale il personaggio deve operare. Non è un caso che le origini di questa disposizione restino vaghe e vengano riferite unicamente, per opera del domestico Filippo, ad alcune deludenti esperienze compiute in passato. La difficoltà di stabilire nessi logici e credibili tra il carattere dei personaggi e la loro condotta si manifesta qui in un accumulo sovrabbondante di asseverazioni intese a surrogare discorsivamente il difetto di azione che grava su tutto l’intreccio: la cattiva inclinazione di Timante, lungi dal risultare da una sequenza coerente di fatti, viene chiamata in causa attraverso le dichiarazioni che le altre figure rilasciano sul suo conto. Lì dove il drammaturgo prova a mettere direttamente in scena tale inclinazione, il diffidente si abbandona a comportamenti completamente immotivati nel loro estremismo, caratterizzati più da mania di persecuzione che da una strategia del sospetto (si può pensare all’effetto prodotto in Timante dalla notizia dell’arrivo del padre) e prossimi, nella maggior parte dei casi, a ribaltarsi nell’estremo di una parodia involontaria, come nel grottesco passaggio di Climene dalla posizione di donna amata contro la sua volontà a quella di immaginaria matrigna. La conversione finale di Timante si trova da questo punto di vista, per la sua inspiegabile rapidità, in perfetto accordo con il personaggio che la rende possibile, l’amico Damone, il quale è pervaso lungo l’intera durata dell’azione da uno spirito di sacrificio e da un ideale di sottomissione alle ragioni della virtù così incondizionati da apparire del tutto implausibili.

La definizione della vicenda, compressa nelle sue inverosimili accelerazioni dall’obbligo di tenere fede alle unità pseudoaristoteliche, è in realtà per Cronegk di interesse secondario rispetto al chiarimento del carattere edificante ed esemplare della parabola spirituale di Timante. Se il compito della commedia consiste in generale, come si legge in un prologo drammatico intitolato Die verfolgte Comödie, nella promozione di “ragione e virtù”, nonché del principio secondo cui “non c’è diletto possibile fuori dalle braccia della virtù”[11], questa aspirazione nel Diffidente si appunta su una questione centrale, ripetutamente tematizzata dai personaggi che assistono sempre più sconcertati al progredire dell’ossessione del protagonista: se la diffidenza, e in generale il vizio, sortisca da un difetto della ragione, vale a dire da una conoscenza imperfetta delle condizioni contingenti, o se rifletta invece una malattia del cuore, una resistenza più profonda a lasciarsi invadere dalla potenza della virtù. Nel suggerire l’idea che il vizio nelle sue forme più radicate e inestirpabili dipenda dal cedimento alla pigrizia dell’animo (argomentano in questo senso sia Orgonte[12] che Climene[13]), Cronegk assimila evidentemente la tendenza tipica del pensiero antropologico di metà Settecento a collocare i processi della vita morale su un fondamento fisiologico e a studiare in un’ottica globale tutte le espressioni particolari dell’umano. Se il compimento degli obblighi morali risponde alla determinazione generale dell’uomo, sarà questa di lì a qualche anno una delle proposizioni centrali nelle speculazioni della Popularphilosophie illuministica, la virtù si manifesta a chi la coltiva prima di tutto nella forma del diletto, risponde cioè a un meccanismo di naturale armonia spirituale nel quale il soddisfacimento del piacere sensibile e l’adempimento del bene concorrono a uno sviluppo ordinato del singolo e della comunità nella quale è inserito. Questo pragmatico eudemonismo era a disposizione di Cronegk già nelle opere di Gellert, ma acquista una spiccata componente sensistica con la lettura dei moralisti inglesi, e in particolare dell’Essay on Man (1732-34) di Alexander Pope[14]. La concezione organica dell’umano tipica di Pope, basata sulla piena interdipendenza di ragione e sensibilità, si ritrova tanto nel vagheggiamento della natura sensibile degli impulsi virtuosi, affidato a un’intuizione di Climene[15], quanto a maggior ragione nell’accreditamento di una capacità transitiva e perfino ‘contagiosa’ della virtù[16], un’idea appartenente al corredo comune dell’empirismo inglese in quanto basata sul presupposto di una innata socievolezza della natura umana. Certo è che l’opera si caratterizza più per la dichiarazione esplicita di tali assunti che per il loro incorporamento in un intreccio dalla struttura lineare.

Si è detto in precedenza delle circostanze nelle quali si sviluppa il Codrus. Il dibattito su caratteristiche e finalità del dramma che Lessing, Nicolai e Mendelssohn portano avanti in forma epistolare nelle more del concorso bandito dalla «Bibliothek», oltre a costituire uno dei punti di più marcata cristallizzazione dei grandi temi legati alla discussione settecentesca sull’effetto tragico, traccia di fatto anche il perimetro teorico entro il quale va a collocarsi il progetto di Cronegk. In un saggio composto a illustrazione dell’opera, con lo sguardo rivolto soprattutto ai suoi difetti di composizione, Cronegk afferma che la vicenda del re di Atene non è destinata a suscitare la compassione degli spettatori: “Un eroe tragico non deve avere vizi e tuttavia deve commettere alcuni errori che ne procurino la rovina. L’amore per Fileide è l’unica debolezza che attribuisco a Codro e la sua catastrofe non avviene certo per sua responsabilità. […] Sarei lieto se soltanto Elisinde, Medonte e Fileide suscitassero la commozione del pubblico”[17]. La compassione appare qui riservata a un segmento dell’azione che corre parallelo rispetto alla linea principale, ed è incentrato non sui duri obblighi connessi all’amministrazione del potere, ma sulla contrastata storia d’amore di Medonte e Fileide. È appena il caso di rilevare che Cronegk non vede alcuna opposizione di principio tra i due piani dell’intreccio e non si spinge in alcun caso lungo la strada che verrà battuta dal ‘dramma borghese’ lessinghiano, poiché le vicende sentimentali dei due ragazzi restano prive di qualunque dimensione domestica e privata; aderendo a quanto era stato prescritto da Gellert in Pro comoedia commovente, lo scrittore si sforza al contrario di conferire un tratto eroico e sublime alle peripezie degli innamorati, innestando sulle loro avventure una vera e propria apologia della rinuncia, declinata in tutti i modi possibili e senza alcuna remora circa l’introduzione di colpi di scena inverosimili e nel complesso dannosi per l’equilibrio generale della tragedia (cosa che non sfugge alla sua stessa osservazione, lì dove ammette che “l’episodio di Medonte è di tale rilievo da indurmi a nutrire una certa preoccupazione circa il rispetto dell’unità d’azione”[18]). Ciò su cui preme in particolare attirare l’attenzione è però l’implicito corollario del ridimensionamento della compassione come affetto che la rappresentazione tragica deve risvegliare nell’animo dello spettatore: per Cronegk il miglioramento del pubblico, l’obiettivo al quale – coerentemente con l’interpretazione che un po’ tutto il suo secolo dà della teoria aristotelica delle passioni – egli subordina in ogni caso la macchina della messinscena, è garantito unicamente dall’intensità dell’ammirazione che il pubblico stesso prova nei confronti della capacità dell’eroe di dominare stoicamente il proprio rovinoso destino. Il dramma si chiude del resto su una esplicita celebrazione del primato dell’ammirazione; la dichiarazione lapidaria e conclusiva con la quale Elisinde chiosa la grandezza di Codro si propone del tutto evidentemente come un’indicazione ermeneutica volta a orientare il lavoro interpretativo dello spettatore: “Cessate, lamenti! / La sua morte non va compianta, ma ammirata”[19].

Il Briefwechsel über das Trauerspiel di Lessing, Nicolai e Mendelssohn, come è noto, prende le mosse esattamente da questa contrapposizione tra Mitleid e Bewunderung come passioni più o meno congeniali alla dimensione sensibile della rappresentazione tragica[20]. Proprio la valorizzazione dell’accordo empatico che si stabilisce tra pubblico e personaggi, e che, come Lessing scrive a Nicolai nella fondamentale lettera del novembre 1756,  si manifesta non nella disponibilità dello spettatore a riconoscere la verità delle passioni rappresentate sul palcoscenico, bensì in un ampliamento della sua sensibilità tale da indurlo a provare egli stesso in prima persona quelle passioni, è la base teorica sulla quale si innesterà la dinamica degli affetti propria del ‘dramma borghese’, il genere destinato a produrre le trasformazioni di più profonda portata nella storia delle forme drammatiche del Settecento tedesco. All’idea lessinghiana di una sorta di dominio generale esercitato dalla compassione sugli altri ambiti della vita morale (“L’uomo più compassionevole è il migliore degli uomini, quello disposto con la massima sollecitudine all’esercizio di tutte le virtù sociali, nonché a ogni forma di grandezza d’animo”[21]), Mendelssohn prova a contrapporre la natura razionale dell’ammirazione, che nell’incoraggiare all’imitazione dell’esempio di eccellenza con il quale si è venuti in contatto presuppone “la conoscenza intuitiva di una certa qualità positiva”[22]. A tale rilievo Lessing risponde con una dettagliatissima disamina che vincola di fatto la Bewunderung a un’estetica classicistica radicata in un ordinamento feudale e premoderno. L’ammirazione, così Lessing, è espressione di una visione parziale e unilaterale dell’umano, il suo slancio verso una condizione di perfettibilità illimitata finisce, nello sforzo di trascendere la condizione contingente in cui gli individui operano nel vivo delle loro relazioni reali, per ribaltarsi in vera e propria mancanza di umanità; proprio la necessità di una cognizione distinta dell’oggetto da imitare, inoltre, limita drasticamente il suo raggio di azione agli individui abilitati a maturare tale cognizione, mentre la compassione – è il punto essenziale della replica lessinghiana – “rende migliori in modo immediato; rende migliori senza che sia necessario un nostro contributo; rende migliore l’individuo dotato di ragione come lo sciocco”[23].

Il pacato sensismo appreso alla scuola di Gellert e irrobustito dal contatto con le opere dei moralisti inglesi spinge Cronegk, è chiaro, a integrare la primazia dell’ammirazione con una moderata introduzione di affetti attinenti alla sfera della compassione; poiché però si tratta di affetti coltivati da personaggi estranei al corpo centrale dell’intreccio, che il drammaturgo impernia sulla lotta tra Codro e Artandro, e poiché inoltre – è questa a ben vedere la questione decisiva – tale corpo centrale presenta un’intenzione ideologica pienamente coerente con la dottrina classicistica del genere tragico, nel senso che vi viene rappresentata una vicenda tipicamente connessa ai temi tradizionali della conquista e della difesa del potere politico, l’egemonia dell’ammirazione nella gerarchia delle passioni tragiche collegate alla produzione dell’effetto estetico non viene sostanzialmente mai messa in discussione. È d’altra parte evidente che il Codrus è percorso lungo tutta la sua superficie da segnali intesi a limitare drasticamente il congelamento degli affetti imposto dalla morale stoica che fa da supporto all’ammirazione: il tema della giusta condotta dinnanzi all’esperienza del dolore e della privazione è trattato ripetutamente, per lo più in modo conflittuale, dai personaggi coinvolti nella vicenda dell’amore di Medonte e Fileide. Se Codro rivendica per sé fin dal principio l’ideale di impassibilità del saggio[24], Elisinde e Fileide – e poi gli stessi Fileide e Medonte – dibattono vivacemente sull’opportunità di un atteggiamento del genere quando è in gioco la felicità dell’individuo. In questa indecisione circa il modello di condotta sul quale calibrare il meccanismo degli affetti tragici, o meglio nella permeabilità dell’ammirazione, esposta com’è alle istanze avanzate dalla compassione (per cui Fileide individua proprio nelle lacrime della pietà materna la segnatura dell’umanità di Elisinde, che aveva creduto sepolta sotto gli obblighi legati all’appartenenza dinastica[25]), viene in luce con una certa chiarezza il carattere ambivalente della posizione di Cronegk, e se si vuole il principale motivo di interesse di una riconsiderazione del suo lavoro drammaturgico. Mentre incentra sull’ammirazione il sistema delle passioni che fa da sfondo alla sua concezione tragica, Cronegk non può non vedere come questo implichi la subordinazione della virtù al principio formale della décence, che se deve apparirgli in grado, disciplinando la naturale carica anarchica delle passioni, di mettere a sua disposizione un paradigma sovrapersonale, indipendente nella sua universalità da qualunque condizionamento contingente, non è tuttavia minimamente compatibile con il presupposto sensistico in base al quale una concezione globale dell’umano deve fondarsi sull’equilibrio armonico di razionalità e affetti, ‘obere’ e ‘untere Seelenkräfte’, per adoperare un’espressione propria della Popularphilosophie[26].

In Olint und Sophronia questa stessa oscillazione tra disciplina e dispiegamento delle passioni viene ulteriormente amplificata dall’inserimento entro la cornice ideologicamente connotata del martirio cristiano. Accanto a difetti di composizione relativi all’eccesso di caratteristiche positive proiettate sui due personaggi principali, che si contendono l’onore del sacrificio con una determinazione ossessiva e molto lontana, nella sua unilateralità, dalla raffinata presentazione dei moventi psicologici individuali che domina invece il modello tassiano, Lessing contesta in linea di principio la plausibilità stessa di una tragedia cristiana. La tradizionale debolezza di ispirazione del Märtyrerdrama, così Lessing, è la conseguenza della contraddizione fra la natura sensibile degli affetti rappresentati nella tragedia e la condizione di pieno dominio delle passioni alla quale il martire deve innalzarsi per adempiere il proprio destino e vedervi la manifestazione diretta di una volontà trascendente. L’azzeramento della commozione nel regime spirituale di derivazione stoica che presidia la scena tipica del martirio oppone un freno invincibile alla risposta emotiva dello spettatore e la indirizza semmai verso l’espressione di un pacato consenso morale nei confronti della fermezza esibita dall’eroe.

Lo stato di frammentarietà del dramma nella versione che Cronegk fece in tempo a comporre rende d’altra parte problematico ogni pronunciamento sulle scelte di poetica che ne alimentano la configurazione. Nel quinto atto aggiunto da Roschmann, tra l’altro, i protagonisti trovano la morte in circostanze che hanno a che fare solo in modo mediato col martirio per motivi di fede, poiché Olindo soccombe alle ferite riportate in guerra e Sofronia rimane sì vittima del fanatismo di Ismenore, ma è fin troppo evidente come il sacerdote sia del tutto disinteressato a vendicare il furto del crocifisso e voglia invece contrastare la politica troppo arrendevole di Aladino, oltre che contrapporsi all’improvvisa conversione di Clorinda. Anche in Olint und Sophronia, come già nel Codrus, il meccanismo che presiede all’accensione del sentimento di ammirazione è inoltre in larga parte invalidato dalla sovrabbondanza di connotazioni positive addensate sulla condotta dei personaggi di riferimento, i quali, come rilevato da Lessing, si distinguono più per la loro “fredda uniformità”[27] che per la coerenza psicologica del loro carattere. Non deve tuttavia sfuggire come Cronegk si premuri in alcuni passaggi di problematizzare la questione del martirio, correggendo l’estremismo implicito nella vocazione sacrificale dei protagonisti attraverso motivi intesi ad allargare e differenziare il contesto ideologico-culturale in cui la scelta del martirio si colloca. La trasformazione di Olindo dall’ardente innamorato della Gerusalemme liberata, deciso al sacrificio unicamente per condividere il destino di Sofronia, in un soldato consapevole degli obblighi di lealtà politica nei confronti del sovrano (obblighi che non vengono meno anche nell’asprezza del conflitto religioso), ha per esempio l’effetto di relativizzare il ruolo della disposizione soggettiva al martirio, dandone per così dire una versione secolarizzata, aperta alla considerazione dei condizionamenti pragmatici ai quali è vincolata l’identità religiosa degli individui[28]. I cori che concludono i primi tre atti, infine, svolgono questa stessa funzione, suggerendo che il fervore dei martiri non risponda tanto a un’inclinazione personale, quanto alla volontà divina così come si rende conoscibile tramite l’intervento della Provvidenza nella storia degli uomini. In questo senso l’autocontrollo dei personaggi deve apparire allo spettatore più come il risultato di un progressivo adeguamento all’orizzonte trascendente della divinità che come l’espressione di una pura e semplice, deliberata rinuncia alle componenti sensibili della condizione umana.

Maurizio Pirro

da: Joahnn Friedrich von Cronegk, Teatro: Il diffidente, Codro, Olindo e Sofronia, a cura di Maurizio Pirro, Pisa, Edizioni Il Campano – Arnus University Books, 2011, ‘Germanistica, 1’, pp. 7-21


[1] Sulla recensione di Lessing alla tragedia di Cronegk cfr. R. K. Angress, Lessing’s Criticism on Cronegk: Nathan in Ovo?, in «Lessing Yearbook», 4 (1972), pp. 27-36, che vi legge alcune anticipazioni tematiche di Nathan der Weise.

[2] Il giudizio ricorre nella settima puntata della Hamburgische Dramaturgie, in Gotthold Ephraim Lessing, Werke und Briefe in zwölf Bänden, a cura di Wilfried Barner, vol. VI: Werke 1767-1769, a cura di Klaus Bohnen, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag 1985, p. 219: “Il Codrus ottenne sì la palma presso gli autori della «Bibliothek der schönen Wissenschaften», ma non tanto perché fosse un buon lavoro, quanto piuttosto perché era il migliore fra quelli che allora si contendevano il premio […]. In una gara di zoppi, anche chi arriva primo al traguardo rimane pur sempre uno zoppo” (trad. di Paolo Chiarini in Gotthold Ephraim Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, Bari, Laterza 1956, p. 41).

[3] Lessings Jugendfreunde. Chr. Felix Weiße, Joh. Friedr. v. Cronegk, Joach. Wilh. v. Brawe, Friedrich Nicolai, a cura di Jacob Minor, Berlin-Stuttgart, Spemann, s. d. [ma 1883]. Si tratta del volume LXXII della serie Deutsche National-Litteratur. Historisch kritische Ausgabe, a cura di Joseph Kürschner.

[4] “È certo che in questo caso la morte non ha privato la letteratura tedesca di una speranza destinata a realizzarsi” (ivi, p. 127).

[5] Walther Gensel, Johann Friedrich von Cronegk. Sein Leben und seine Schriften, Leipzig 1894 (Diss.), p. 104.

[6] Lettera del 21 gennaio 1758, in Gotthold Ephraim Lessing, Werke und Briefe in zwölf Bänden, cit., vol. XI/1: Briefe von und an Lessing 1743-1770, a cura di Helmuth Kiesel, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag 1987, p. 266.

[7] Des Freyherrn Johann Friedrich von Cronegk Schriften, Leipzig, Posch 1760.

[8] In Gotthold Ephraim Lessing, Werke und Briefe in zwölf Bänden, cit., vol. VI, p. 218 (trad. it. cit., p. 41).

[9] Questa capacità di intendere i tratti fondamentali di altre culture e presentarli in modo ragionato al pubblico tedesco è ben documentata da uno scritto di Cronegk sul teatro barocco in Spagna (Die Spanische Bühne), che inizia appunto con una chiara espressione di consapevolezza circa la necessità di estendere i margini del Kulturtransfer anche a contesti abitualmente poco frequentati: “Si deve rilevare con rammarico quanto scarse siano in Germania le occasioni per venire in contatto con le opere teatrali prodotte in Spagna negli ultimi anni” (cito le opere di Cronegk da una ristampa recente dell’edizione di Uz: Des Freyherrn Johann Friedrich von Cronegk Schriften, a cura di Werner Gundel, Ansbach, Alte Post 2003, p. 194. Di qui in poi mi riferisco a questa edizione con la sigla CS).

[10] Johann Friedrich von Cronegk, Der Mißtrauische. Ein Lustspiel in fünf Aufzügen, a cura di Sabine Roth, Berlin, de Gruyter, 1969.

[11] CS, p. 22.

[12] “È possibile che la sua follia possa arrivare a tal punto? Finora credevo che la sua diffidenza fosse un difetto della ragione, ora ho paura che sia un difetto del cuore” (CS, p. 65).

[13] “La sua rovina le insegni che i difetti della ragione, quando si spingono troppo avanti, diventano difetti del cuore” (CS, p. 69).

[14] Sull’influenza esercitata dal sensismo inglese per la fondazione antropologica della categoria di ‘virtù’ nella Germania del Settecento cfr. Lothar Jordan, Shaftesbury und die deutsche Literatur und Ästhetik des 18. Jahrhunderts. Ein Prolegomenon zur Linie Gottsched-Wieland, in «Germanisch-Romanische Monatsschrift», 44 (1994), pp. 410-424, Jan Engbers, Der «Moral-Sense» bei Gellert, Lessing und Wieland. Zur Rezeption von Shaftesbury und Hutcheson in Deutschland, Heidelberg, Winter 2001 e Mark-Georg Dehrmann, Das“Orakel der Deisten”. Shaftesbury und die deutsche Aufklärung, Göttingen, Wallstein 2008.

[15] “Per un cuore nobile il compimento del dovere è sempre fonte di piacere” (CS, p. 47).

[16] Così Damone illustra la decisione di lasciare Climene all’amico e sollecita Orgonte a perdonare Timante: “Cedendo Climene al mio amico, lo miglioro, lo rendo virtuoso, lo rendo felice. Ora sta a lei: si lasci toccare, si lasci convincere a perdonarlo” (CS, p. 71).

[17] Johann Friedrich von Cronegk, Gedanken über das Trauerspiel Codrus (CS, p. 134).

[18] CS, p. 133.

[19] CS, p. 131.

[20] Sulla portata di questo dibattito e in generale sulle oscillazioni tra i poli dell’ammirazione e della compassione nell’estetica del tragico a questa altezza della cultura tedesca del Settecento cfr. Peter Michelsen, Die Erregung des Mitleids durch die Tragödie. Zu Lessings Ansichten über das Trauerspiel im Briefwechsel mit Mendelssohn und Nicolai, in «DVjs», 40 (1966), pp. 548-566, Jochen Schulte-Sasse, Stellenwert des Briefwechsels in der Geschichte der deutschen Ästhetik, in Gotthold Ephraim Lessing – Moses Mendelssohn – Friedrich Nicolai, Briefwechsel über das Trauerspiel, a cura di Jochen Schulte-Sasse, München, Winkler 1972, pp. 168-237, Arnold Heidsieck, Der Disput zwischen Lessing und Mendelssohn über das Trauerspiel, in «Lessing Yearbook», 11 (1979), pp. 7-34,  Hans-Jürgen Schings, Der mitleidigste Mensch ist der beste Mensch. Poetik des Mitleids von Lessing bis Büchner, München, Beck 1980, Matthias Luserke, “Wir führen Kriege, lieber Lessing”. Die Form des Streitens um die richtige Katharsisdeutung zwischen Lessing, Mendelssohn und Nicolai im Briefwechsel über das Trauerspiel, in Streitkultur. Strategien des Überzeugens im Werk Lessings, a cura di Wolfram Mauser e Günter Saße, Tübingen, Niemeyer 1993, pp. 322-332,  Jutta Golawski-Braungart, Furcht oder Schrecken: Lessing, Corneille und Aristoteles, in «Euphorion», 93 (1999), pp. 401-431, Thomas Martinec, The boundaries of “Mitleidsdramaturgie”. Some clarifications concerning Lessing’s concept of “Mitleid”, in «The Modern Language Review», 101 (2006), pp. 743-758 e Ulrich Profitlich, Mitleid und Entsetzen. Zur Deutung der Briefe Lessings an Mendelssohn und Nicolai über das Trauerspiel, in «Euphorion», 103 (2009), pp. 1-12.

[21] Gotthold Ephraim Lessing, Werke und Briefe in zwölf Bänden, cit., vol. III: Werke 1754-1757, a cura di Conrad Wiedemann, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag 2003, p. 671.

[22] Ivi, p. 675.

[23] Ivi, p. 683. Per una ricostruzione globale dell’estetica tragica in Lessing cfr. Gisbert Ter-Nedden, Lessings Trauerspiele. Der Ursprung des modernen Dramas aus dem Geist der Kritik, Stuttgart, Metzler 1986, Thomas Martinec, Lessings Theorie der Tragödienwirkung. Humanistische Tradition und aufklärerische Erkenntniskritik, Tübingen, Niemeyer 2003 e Francesca Tucci, Le passioni allo specchio. “Mitleid” e sistema degli affetti nel teatro di Lessing, Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici 2005.

[24] “[…] uno spirito meschino è in costante agitazione, / Arde d’impazienza, audace se deve ripiegare, / Dubbioso senza cagione. Il saggio resta impassibile, / Trae vantaggio dal caso fortunato, si domina nelle sventure, / Non è mai troppo sicuro, mai privo di speranza, / Sempre fedele a se stesso, ha in sé la vera grandezza” (CS, p. 89).

[25] “Stai piangendo! Ritrovo in te la madre. / Il dolore e l’affetto discacciano l’audacia incontrollata” (CS, p. 85).

[26] Su questi elementi di ambiguità nell’opera drammatica di Cronegk sono molto interessanti i lavori di Cornelia Mönch, Abschrecken oder Mitleiden. Das deutsche bürgerliche Trauerspiel im 18. Jahrhundert. Versuch einer Typologie, Tübingen, Niemeyer 1993, pp. 229-240 e Wolfgang Ranke, Theatermoral. Moralische Argumentation und dramatische Kommunikation in der Tragödie der Aufklärung, Würzburg, Königshausen & Neumann 2009, pp. 346-395.

[27] Gotthold Ephraim Lessing, Werke und Briefe in zwölf Bänden, cit., vol. VI, p. 189.

[28] Cfr. Raimund Neuß, Tugend und Toleranz. Die Krise der Gattung Märtyrerdrama im 18. Jahrhundert, Bonn, Bouvier 1989, pp. 117-188.

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