Jenny Erpenbeck, Di passaggio

Anna Ruchat

Un libro duro e bellissimo questo breve romanzo di Jenny Erpenbeck, autrice nata nel 1967 a Berlino est da padre di origini russe e madre polacca, cresciuta nella DDR in una famiglia che conta diversi scrittori tutti politicamente schierati e impegnati. Dopo un apprendistato in legatoria e dopo aver lavorato come trovarobe e guardarobiera nei teatri di Berlino, la Erpenbeck ha intrapreso studi teatrali e musicali prima alla Humbold Universität, poi presso il conservatorio “Hanns Eisler” di Berlino, dove è stata allieva tra gli atri di Heiner Müller e di Ruth Berghaus. Heimsuchung che la coraggiosa casa editrice Zandonai pubblica ora con il titolo forzatamente impoverito Di passaggio (la parola Heimsuchung ha in sé la ricerca di una casa, ma anche la punizione divina, il destino che fatalmente colpisce) è il suo terzo romanzo. In epigrafe, con un ironico e un po’ sinistro richiamo: Quando è finita la casa arriva la morte, il proverbio arabo (o turco?) che Thomas Mann fa pronunciare al suo Johannes Buddenbrook.

Ma questo non è il romanzo di una famiglia, è l’avventura di una casa, di una quinta teatrale, di un fondale che rimane spesso vuoto a far risuonare gli echi della storia e sul quale passano (in questo senso il titolo italiano mi convince) scorci di vite che solo brevemente la narratrice ci fa seguire in un altrove sospeso e misterioso.

Protagonista del racconto è dunque la casa che sorge sul terreno di Klara, ultima delle quattro figlie di un possidente locale, che impazzita in giovane età, si uccide buttandosi nel lago. Sarà un giovane architetto, allievo di Speer ad acquistare il terreno e a costruire proprio lì la casa di villeggiatura con il grande giardino per la moglie. Qualche anno più tardi l’aggiunta della proprietà vicina venduta da una famiglia ebrea costretta a partire. Anni dopo ancora, sarà l’architetto a scappare mentre la moglie si rifugerà per giorni dentro un armadio a muro ricavato nella preziosa boiserie della stanza dell’uccellino, nel tentativo di nascondersi dai soldati sovietici. Proprio nella stanza dell’uccellino una scrittrice della DDR se ne starà seduta a scrivere durante l’estate la mentre la nipote, che decenni più tardi vivrà la caduta del muro e l’abbandono della casa, gioca in giardino con il figlio dei vicini.

«In tempo di pace la povertà, in tempo di guerra era il fronte che spingeva in avanti le persone come una lunga fila di tessere del domino, l’uno dormiva nel letto dell’altro, cucinava sul suo fornello, consumava le provviste che l’altro aveva dovuto lasciar lì», si legge nel capitolo dedicato all’ospite, un’anziana donna depositata sulla sponda del lago con la nipote da una di queste carovane della fame.

La casa sul lago del Meclemburgo è un luogo fermo nel vortice tedesco delle migrazioni, delle guerre delle persecuzioni, delle lacerazioni e ricomposizioni. In un alternarsi di capitoli dedicati di volta in volta al giardiniere che è il custode della casa, e alle persone che avvicendandosi tra gli anni venti e la fine del millennio la abitano, l’autrice accompagna il lettore seguendo le orme della storia, silenziosa presenza che sembra ignorare il frutteto e l’erba, l’acqua e il capanno, il tetto di canne, mentre lontano da lì travolge e porta via, calpesta e uccide. Ma il fantasma della storia non entra veramente in questo libro rimane come un’ombra scontata e imprescindibile sullo sfondo, accompagna il racconto senza imporgli un ritmo che è invece dato dalla corrosione dei materiali, dall’inselvatichirsi delle piante, dallo spostamento del capanno o dalla distruzione delle arnie: in 150 pagine fitte di nitide immagini come incastonate nel legno di una boiserie, Jenny Erpenbeck riesce a condensare l’affresco di un secolo.

Anna Ruchat

Jenny Erpenbeck, Di passaggio, traduzione di Ada Vigliani, Rovereto, Zandonai, 2011

 

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