Nuovi poeti di Berlino 1: Ulrike Draesner

Theresia Prammer 

Ulrike Draesner, arrivata a Berlino nel 1994, dopo un incarico universitario a Monaco e un soggiorno a Oxford, vanta già un passato importante come poetessa, narratrice e saggista. Unica tra le voci presenti in questa antologia a cui sia stato dedicato un intero volume in traduzione italiana, la Draesner identifica la forma poetica con il corpo stesso della poesia, che a sua volta si può rispecchiare o ripercuotere nel corpo ricettivo del suo lettore. Questa concezione sostanzialmente fisica del discorso poetico in fondo non è lontana dall’idea di Roland Barthes riguardo al «pensare del corpo in stato di lingua». Ne deriva una messa in discussione radicale delle convenzioni sia di percezione sia di ricezione dei testi poetici. Per la Draesner ciò che conta è “sentire” la parola in tutte le sue possibili accezioni, l’approfondimento e l’espansione della presenza del corpo nella lingua. Dice la Draesner: «Scappare dall’ordine – Fare spazio, fare un taglio: per sprigionare tutto ciò che è nascosto, nell’ordine e perfino nel disordine. Distillare la lingua del corpo». Se la lingua viene percepita come corpo, tanto da fare corpo essa stessa col corpo parlante, la pratica della scrittura poetica si rivela essenzialmente un insieme di «tentativi di trasmissione, traduzione del corpo in lingua». Attraverso le spinte e gli strappi sintattici, la sollecitazione del suono e della componente ritmica, proprio sul discrimine tra sensualità e senso, la lingua appare come un incrocio di lingue, un organo di trasferimento di immagini che passano, come ha scritto Camilla Miglio, «non dall’occhio al cervello, ma dalla lingua ai sensi» […] (da Ricostruzioni. Nuovi poeti di Berlino, a cura di Theresia Prammer, Milano, Libri Scheiwiller, 2011, pp. 33-34).

forsythien, die knallgelb,
noch blattlos, ihr w
ürfeln

das knospen der bäume, was für ein april.
was für ein mageres segnen, kastanien
knospen auf autochrom, was
für ein mageres regnen, knallgelb
die forsythien, was für ein blättern,
für was –  

büsche. traueraugen. an
triebe, die los. die nicht.
regen als er hernieder. wie
durch seltsamen wald ging
ich mit den seltsamen weißen
blumen, den zu kleinen füßen:
knöcheltief ein blicken, das
fehlt.

mädchenhöhe, ein
schnitt. forsythie im brust
bereich, hüpfend der pony
vor der stirn – geschnittener
schopf, der gedanke an dich
wenn du wie jetzt dort hinten
winkst, vater, in deiner rinde,
sich näherndes grün.

forsythien, die knallgelb, noch blattlos,
ihr würfeln, vorm waldrand, der kippt.
gelbe streichhölzer, sonst nichts.
touchpad stirn. klickt die lücken
des waldes an. „dich gibt es
nicht mehr für mich“, hast du gesagt.
staub auf dem autochrom. der regen. meine
füße stecken in schuhen, die drücken.
das knospen der bäume. nichts kehrt zurück.

forsizie, che giallo-stridenti,
ancora spoglie, i loro dadi

il fiorire degli alberi, ma che aprile.
ma che misera grazia, i castagni
fioriscono sull’autocromo, ma
che misera pioggia, giallo-stridenti
le forsizie, ma che sfogliare,
e perche mai –

cespugli, occhi incupiti, in
pulsioni, che sciolte, che non.
pioggia quando discese. come
attraversando un bosco strano
con quegli strani fiori
bianchi, i piedi troppo piccoli:
dal basso delle caviglie uno sguardo
che manca.

a misura di bambina, in
taglio, forsizie fino
al petto, frangetta che saltella
sulla fronte – ciuffo
ritagliato, il pensiero di te
quando come ora fai cenno
da la dietro, padre, nella tua corteccia,
il verde che si accosta.

forsizie, che giallo-stridenti, ancora spoglie, i loro
dadi gettati, al confine del bosco, che si ribalta,
fiammiferi gialli, nient’altro.
touchpad fronte. clicca
sulle lacune del bosco. “tu per me
non esisti più”, hai detto.
polvere sull’autocromo. pioggia. i miei
piedi stretti nelle scarpe, che premono.
il fiorire degli alberi. nulla torna indietro.

(A. Baldacci / T. Prammer)

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