Eine Stille für Frau Schirakesch. Kriegsgroteske di Theresia Walser

Nadia Centorbi

Alle Künstler in casa Walser, si direbbe. E non a torto. Poiché dal padre (Martin Walser) le quattro figlie hanno ereditato la vocazione all’arte: Franziska è dedita al palcoscenico; Johanna alla scrittura; Alissa, nota anche al pubblico italiano dopo la recente traduzione del romanzo Am Anfang war die Nachtmusik (La musica della notte, Neri Pozza, trad. it. di R. Cravero, 2010), alla pittura e alla scrittura; Theresia al teatro. Quest’ultima, la più giovane delle quattro, nasce nel 1967 a Friedrichshafen, assolve lo studio di arte drammaturgica nella città di Berna e inizia presto a scrivere per le scene.

I suoi pezzi iniziali sono contrassegnati dal confronto tra l’artista e il mondo dello spettacolo, un confronto che avviene ora in termini comico-grotteschi, come in Das Restpaar (La coppia residua), la commedia con la quale l’autrice esordisce nel 1997, incentrata sulle difficoltà di due giovani amiche, attrici di professione, di inserirsi nel mondo teatrale; ora in termini di crisi esistenziale, come avviene invece in Kleine Zweifel (Piccoli dubbi), un monologo recitato da una giovane cantante assalita improvvisamente dal dubbio sul proprio talento nel momento in cui attende il suo turno per un’audizione. Ironia, neurosi, onnipotenza mediatica e confronto con i problemi della società moderna sembrano contraddistinguere la produzione dell’autrice, che non di rado attinge dalla fornace del presente con lo scopo di problematizzarlo sulla scena. In Die Heldin von Potsdam (L’eroina di Potsdam), per esempio, una commedia del 2001, la Walser traeva spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1994. Nella storia di Paula Wündrich disincanto e pantomima si confondono come la menzogna e la verità: decantata dai media come modello di Zivilcourage, dopo che ha raccontato (mentendo) di essere finita in ospedale per salvare una donna turca da un gruppo di teste rasate, la presunta eroina, disoccupata e madre di figli, cede al fascino della menzogna che attira su di lei i riflettori dei media, fino al momento cruciale in cui dovrà confessare la verità.

Guardando alla più recente produzione dell’autrice, si constaterà che il grottesco e l’ironia non emergono da azioni, bensì dall’arte del dialogo. Sul dialogo, infatti, si imperniano quasi tutte le più recenti commedie della Walser, che se da un lato risultano scarnificate all’essenziale per quanto attiene all’aspetto dell’azione e delle resa scenica, dall’altro guadagnano spessore e vivacità nel turbinio di parole che avviluppano i personaggi come in una rete invisibile. In Die Kriegsberichtstatterin (L’inviata di guerra, 2005) il giardino di un imprenditore fungeva da scenario per l’ininterrotto dialogo degli impiegati, possibili suoi successori, dal quale emergeva la vacuità morale, la spregiudicatezza, l’ipocrisia dell’alta borghesia. Mentre in Ein bisschen Ruhe vor dem Sturm (Un poco di quiete prima della tempesta, 2006), la commedia che rappresenta il precedente ideale all’ultima, il dialogo coinvolgeva tre attori prima del loro ingresso in un talkshow.

L’ultima commedia della Walser, Eine Stille für Frau Schirakesch (Un momento di silenzio per la signora Schirakesch), ha esordito in forma di Uraufführung il 2 settembre presso lo emma-Theater di Osnabrück, mentre la premiere si è tenuta il 21 ottobre presso lo Stadttheater di Freiburg im Breisgau, la città nella quale Theresia Walser attualmente vive.

Una scenografia scarna, costituita da elementi che sembrano fare a pugni l’uno con l’altro, catalizza subito l’attenzione dello spettatore: un divano, una poltrona, un tavolino con alcune bottigliette d’acqua rimandano con verosimiglianza allo studio di un talkshow; ma sul palcoscenico fa da tappeto la sabbia e sul lato sinistro vi è una tenda militare, mentre su quello destro campeggiano alcune casse di legno, come quelle usate per trasportare merci o aiuti umanitari, su una delle quali siede immobile una giovane donna in abito casual e scarponi militari. Si tratta di Rose, soldatessa rientrata da una missione militare a Tschundakar, un paese musulmano che condivide non poco con l’attuale Afghanistan. La sua figura si esaurisce in poche parole, in pochi gesti, che posseggono tuttavia una forza dirompente, in grado di imprimere una svolta decisiva in quel “dialogo prima del dialogo” che impegna senza tregua i personaggi sulla scena. E la scena fa presto a riempirsi: Hilda Ludowski, conduttrice del talkshow, siede sulla poltrona e si prepara all’evento mediatico del giorno con i suoi ospiti: il signor Gert, un generale di ritorno da una missione di guerra a Tschundakar, vestito ancora in tenuta militare; Ruth e Heildrun, due reginette di bellezza che hanno ‘eroicamente’ partecipato ad una Bikiniparade a Tschundakar; il signor Fahnenberg, padre di Rose. Nervosa per l’evento del giorno del quale si occuperà nella sua trasmissione Hilda non contiene l’eccitazione: «tra settantasette minuti», annuncia all’inizio della commedia, una donna di Tschundakar sarà lapidata sulla piazza del mercato e la trasmissione seguirà in diretta l’evento. Donde nasce l’urgenza di seguire in diretta una lapidazione? Hilda è invasata dall’idea di poter opporre resistenza all’orrore con una trasmissione che lo manderà in scena. Il suo postulato, ribadito con convinzione, suona: «man muss dem Schrecken etwas entgegensetzen» («all’orrore si deve contrapporre qualcosa»).

Ma la tragedia vera, quella della signora Schirakesch, la donna musulmana condannata alla lapidazione, è destinata a restare sullo sfondo e il suo destino, soverchiato dal cicalio che investe i personaggi in attesa dell’evento, emerge solo dal macabro countdown con il quale  Hilda ricorda ai presenti l’approssimarsi dell’esecuzione e, di conseguenza, della diretta televisiva. Sospesi nell’attesa, i suoi ospiti si intrattengono in un dialogo ininterrotto che svela il lato paradossale di quella routine dell’orrore alla quale la contemporaneità è adusa fino all’insensibilità.

Nell’intento di Hilda gli ospiti dovrebbero predisporsi al silenzio, con il quale accogliere la notizia della lapidazione della signora Schirakesch. Il silenzio, invece, sembra l’unico grande assente nella fase che precede l’evento. I personaggi, tutti ad eccezione di Rose, sono inabili a concentrarsi sull’atroce destino della donna con la giusta sensibilità e il loro dialogo rasenta ad ogni passo il grottesco. Per le due reginette di bellezza, Ruth e Heildrun, il dramma del paese di Tschundakar si risolve nella proibizione del bikini. Nondimeno perturbante è la vanagloria del generale Gert, che santifica l’azione militare a Tschundakar decantando la costruzione dei bagni pubblici come «la vittoria dell’umanità sull’umanità». Patetico e vano è altresì l’impegno umanitario di Hilda, che ha conosciuto di persona la signora Schirakesch e si è lasciata coinvolgere da un impeto umanitaristico epidermico ma del tutto inefficace.

Rose, la soldatessa traumatizzata dalla guerra, è la sola in grado di affrontare l’orrore con lucidità e realismo. Il suo silenzio è l’unica nota umana nel contesto della commedia, così come i suoi gesti di autosufficiente chiusura al dialogo. Il grottesco sommerge la scena fino al parossismo: un ballo appassionato tra Hilda e Gert dopo una disputa sul senso della guerra riconcilia le posizioni dei due; Gert ostenta il suo ginocchio ricostruito dopo una ferita sul campo di battaglia con vanità smargiassa; Hilda impone al signor Fahnenberg di indossare un burka, convinta di assicurare con ciò la presenza simbolica della signora Schirakesch nel suo talkshow; mentre le due reginette di bellezza non perdono occasione per suscitare la risata del pubblico con i loro interventi ingenui e inappropriati.

Due effetti della rappresentata “Kriegsgroteske”, tuttavia, sembrano funzionali alla resa simbolica: gli scarponi militari di Rose, che la soldatessa non si è sfilata da quando è rientrata dalla guerra, e che innescano una scenetta comica grazie ai commenti delle due reginette di bellezza, preludono alla rivelazione finale; l’improvviso sanguinamento dal naso di Hilda, che scompone comicamente il suo arciprofessionale self-control, è l’unico annuncio di quell’inutile spargimento di sangue che si verificherà sulla piazza di Tschundakar.

Solo alla fine della commedia, e prima che il talkshow abbia inizio, si assiste ad una sorta di riconduzione del comico-grottesco nel tragico-grottesco. Rose, colta da un impeto di verità, prende la parola e si rivolge al generale con arroganza: «noi due sappiamo», gli rinfaccia, ricordandogli la realtà di una guerra che entrambi hanno combattuto. Il generale cerca di prolungare la rimozione e ordina a Rose di sfilarsi quegli scarponi che sono diventati un simbolo insensato della guerra e delle sue brutture. Ma a spuntarla è la gracile soldatessa che afferra per il collo il grosso generale minacciando di strangolarlo e costringendolo ad arrendersi alla verità. A questo punto, il generale si ricompone e si fa muto come Rose. La quale, nell’ebbrezza del momento, tira fuori dallo scarpone il suo pezzo d’orrore: l’orecchio di un talebano, una «reliquia», come quella delle chiese, dice, che nella sua nuda disumanità diventa l’unico testimone di un’efferatezza non velabile, inconfutabile e per la quale non esistono parole. Il countdown finisce, Hilda, imbrattata del suo sangue, si prepara al momento di silenzio, mentre i suoi ospiti, improvvisamente composti e sgomenti sul divano dopo la scenata di Rose, attendono l’inizio della trasmissione.

Intervistata da Ruth Feindel, Theresia Walser ha descritto la sua commedia con l’efficace formula «ein Gespräch vor dem Gespräch» («un dialogo prima del dialogo»), aggiungendo: «Warum führt man ein  Gespräch vor dem Gespräch? Weil man Angst hat» («perché si conduce un dialogo prima del dialago? Perché si ha paura»). E la paura, quella davanti alla nuda crudeltà, è la vera protagonista del pezzo: è il sentimento del generale Gert che preferisce la rimozione alla realtà; è il sentimento di Hilda che cerca di contrapporre “qualcosa” all’orrore ed è il sentimento della soldatessa Rose che non riesce a sfilarsi gli scarponi militari perché non può e non vuole dimenticare ciò a cui ha assistito nel remoto paese di Tschundakar.

Nadia Centorbi

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